Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1215 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1215 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BERGAMO il 05/11/1961
avverso la sentenza del 11/11/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso riportandosi alle conclusioni scritte.
udito il difensore
È presente l’avvocato COGNOME del foro di BERGAMO in difesa di COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 11 novembre 2022, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Bergamo limitatamente al capo F) dell’imputazione e ha condannato NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 23, I. n. 110 del 1975 per la raccolta illegale di p di armi da guerra e di armi comuni da sparo clandestine. Il reato è stato ravvisato soltanto in relazione a tre delle ventitré armi indicate nel capo di imputazione, e precisamente a quelle di cui ai numeri 1 (una pistola semiautomatica UZI 9×21), 16 (una carabina semiautomatica NOME COGNOME) e 18 (una carabina semiautomatica marca Fal). Tali armi sono state qualificate come clandestine in quanto non portate al Banco nazionale di prova (BNP) per la cd. bancatura (art. 11, I. n. 110 del 1975) entro 30 giorni dall’importazione.
Il COGNOME, armaiolo di professione, a seguito di perquisizione eseguita in data 11.6.2015 nei locali della società di cui è titolare, era stato trovato in possesso delle suddette armi, importate dall’estero dall’armeria COGNOME, prive della punzonatura del Banco di prova di Gardone Val Trompia, ovvero di altro banco di prova straniero riconosciuto.
La sentenza d’appello, nel confermare la pronuncia del GUP limitatamenh’ al reato di cui all’art. 23, I. n. 110 del 1975 ed in relazione a talune soltanto dell armi sequestrate, ha affermato che, a seguito dell’importazione delle armi dall’estero è previsto l’immediato inoltro delle stesse al Banco di prova, non rilevando eventuali prassi differenti e non potendosi ipotizzare che vi sia un termine indeterminato per la corretta importazione delle armi.
Ha inoltre rilevato che il provvedimento doganale demandava all’importatore NOME COGNOME la presentazione delle armi per la verifica e non all’imputato, il quale dunque non aveva alcun titolo per la detenzione delle armi che non erano state sottoposte al vaglio del Banco di prova, sicché esse dovevano essere considerate clandestine.
Secondo la Corte territoriale, inoltre, poiché il COGNOME è soggetto esperto, essendo di professione un armaiolo, egli era consapevole della clandestinità delle armi detenute, in quanto non ancora sottoposte a verifica.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolando quattro motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 11, 14 e 23, I. n. 110 del 1975 in ordine alle modalità di importazione delle armi e della loro detenzione al fine di presentarle al Banco di prova.
Sotto un primo profilo il ricorrente rileva che le armi erano state importate dal titolare della armeria COGNOME il quale, con l’avallo dell’Agenzia delle dogane, le aveva consegnate al COGNOME ai fini del successivo inoltro al BNP. La legge non prevederebbe che tale inoltro debba essere immediato, dovendo piuttosto seguire le procedure descritte dal consulente di parte, ing. COGNOME, rese al GUP. Secondo quanto chiarito dal consulente, l’ingresso delle armi dall’estero avviene ad opera dell’Agenzia delle dogane competente che verifica in via preliminare la conformità alla documentazione di importazione. Quindi essa invia le armi al Banco di prova per la demilitarizzazione e la definitiva importazione. Tuttavia, essa può delegare tale operazione all’importatore. Se la prova dà esito negativo, l’importatore deve rispedire le armi nello Stato di provenienza, ovvero procedere alla loro distruzione. Non vi sarebbe alcun divieto di delegare un armaiolo autorizzato a verificare le armi in vista dell’invio al BNP.
Nella specie, secondo la difesa, le armi non erano state distolte dalla procedura di invio al BNP, ma, previa regolare licenza di PS, esse erano state inviate all’imputato per effettuare le verifiche di conformità prima di presentarle al Banco. Pertanto, le armi non potevano considerarsi clandestine in quanto era ancora in corso l’iter degli artt. 11, 13, 14, I. n. 110 del 1975 per le operazioni d cd. Bancatura; inoltre, di tale circostanza l’autorità di PS era al corrente, avendo rilasciato apposite licenze.
Il secondo profilo di censura attiene alla manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Si sostiene che la Corte territoriale avrebbe del tutto pretermesso la valutazione dei dati provenienti dalle indagini e in particolare come risulta dalla nota del ROS del 5.6.2016 riportata nell’atto di appello e riprodotta nel ricorso – della documentazione di trasporto, dalla quale emergerebbe che il COGNOME aveva ricevuto le armi solo il 13.5.2015, che l’armeria COGNOME aveva informato il Banco della delega conferita al ricorrente per la successiva presentazione delle armi e che anche la Questura ne era al corrente, avendo autorizzato il trasporto delle armi nel termine di 90 giorni. Da tale documentazione, secondo il ricorrente, emergerebbe che egli aveva ricevuto le armi meno di trenta giorni prima del sequestro.
Illogica sarebbe, inoltre, la mancata considerazione da parte dei giudici d’appello del provvedimento doganale che autorizzava l’armeria all’invio delle armi al Banco.
La Corte territoriale avrebbe altresì totalmente omesso di considerare il provvedimento, prodotto con i motivi aggiunti in appello, con il quale il GIP presso il Tribunale di Monza aveva disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti del COGNOME. Il Pubblico ministero presso quel Tribunale, con la richiesta di archiviazione accolta dal GIP, aveva evidenziato la diversa procedura seguita da
molti uffici doganali dopo la nazionalizzazione delle armi, che fissavano un termine entro il quale l’importatore si impegnava autonomamente a spedire le armi al Banco di prova ai fini della punzonatura e della successiva importazione definitiva. Aveva altresì evidenziato che il termine di 30 giorni previsto per tale inoltro rileva solo ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa.
La difesa, inoltre, ha richiamato le dichiarazioni rese dal responsabile delle dogane che aveva confermato che le armi erano state regolarmente importate. Pertanto, la regolare importazione delle armi e la conoscenza dei loro movimenti da parte della Questura di Monza che ne aveva autorizzato il trasporto escluderebbero la clandestinità delle armi.
Non coglierebbe nel segno l’osservazione svolta dalla Corte territoriale in ordine alla inverosimiglianza della possibilità di modificare le armi prima di inviarle al Banco, in quanto ciò nella specie era finalizzato ad assicurarne la demilitarizzazione in modo da consentirne la definitiva importazione, oltre che assicurarne la regolarità.
La detenzione delle armi da parte del ricorrente non poteva ritenersi illecita, trattandosi di un soggetto professionalmente abilitato alla detenzione, verifica e modifica delle armi, la cui detenzione era stata avallata dalla Questura che aveva consentito il trasporto presso il suo laboratorio.
In ogni caso, secondo la difesa, avrebbe dovuto trovare applicazione nella specie l’art. 23, comma 6, I. n. 110 del 1975 il quale prevede la non punibilità di chi effettua il trasporto delle armi al Banco di prova per la verifica prescritta dall legge, per la quale comunque non sarebbe previsto alcun termine.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, al mancato riconoscimento della buonafede dell’agente, nonché dell’errore scusabile. Si censura altresì il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo.
La Corte territoriale avrebbe dedotto l’elemento soggettivo dalla condizione di esperto di armi propria del ricorrente, il quale dunque doveva ritenersi consapevole dell’antigiuridicità della condotta. In realtà, la procedura seguita ai fini dell’importazione delle armi in questione, consistente nella attribuzione di un codice di classificazione al momento della presentazione della domanda di importazione, la delega indirizzata al BNP in favore del Mangiovini, i documenti di trasporto e le autorizzazioni concesse a tal fine dalla Questura sarebbero elementi idonei ad attestare la consapevolezza nell’imputato della legittimità della detenzione delle armi. D’altra parte, il mero dubbio in ordine alla regolarità della procedura seguita, non consentirebbe di configurare l’esistenza dell’elemento soggettivo, atteso che il dolo eventuale non sarebbe compatibile con un reato di mera condotta, quale quello contestato al ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. di cui contestualmente si chiede il riconoscimento da parte della corte di cassazione, come consentito dal d.lgs. n. 150 del 2022 entrato in vigore il 30.12.2022 e dunque successivamente alla pronuncia di appello, rientrando il reato contestato tra quelli cui tale causa di non punibilità è applicabile. Nella specie sussisterebbe la condotta posta in essere sarebbe di minima lesività in quanto la movimentazione e detenzione delle armi era stata autorizzata e l’imputato è stato indotto in errore dalla prassi dell’Amministrazione.
2.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione all’art. 535 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla condanna del ricorrente all’integrale pagamento delle spese processuali. La Corte territoriale negando la parziale revoca della condanna alle spese del giudizio disposta in primo grado, nonostante la parziale assoluzione del ricorrente, avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 535 cod. proc. pen., il quale configura un’obbligazione civile, come tale soggetta alle regole civilistiche. Nella specie, sarebbero state poste a carico del ricorrente le spese per la consulenza disposta dal PM, la quale si sarebbe rivelata del tutto erronea alla luce della perizia e della consulenza di parte, tanto che il COGNOME sarebbe stato in parte assolto.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va annullata, senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
Il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento delle restanti censure.
È contestato al COGNOME il reato di cui agli artt. 697 cod. pen., 1 e 7, I. n 895 del 1967 e 23, I. n. 110 del 1975 in quanto trovato in possesso di armi ritenute clandestine perché alle medesime non era stata apposta la punzonatura del Banco nazionale di prova di Gardone Val Trompia nel termine di 30 giorni dalla loro importazione.
Conviene innanzitutto premettere che ai fini dell’importazione dall’estero di armi comuni da sparo è necessario il rilascio di apposita licenza del Questore
(ex art. 12, I. n. 110 del 1975, art. 31, TU PS; artt. 46 e 48, d.P.R. n. 635 del 1940).
L’art. 13, I. n. 110 del 1975 stabilisce che per l’importazione definitiva la dogana, cui sono presentate le armi, dopo la nazionalizzazione deve curarne l’inoltro al Banco di prova di Gardone Val Trompia, a spese dell’importatore. Il Banco è l’ente di diritto pubblico al quale il comma 12-sexiesdecies dell’art. 23, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha attribuito – a seguito della soppressione del Catalogo nazionale delle armi – il compito di verificare, per ogni arma prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo, nonché la sua corrispondenza alle categorie di cui alla normativa europea.
Devono pertanto essere sottoposte a prova, oltre alle armi fabbricate in Italia e a quelle demilitarizzate, anche le armi importate dall’estero qualora non portino il marchio della prova già subìta presso un Banco riconosciuto (art. 11, commi 4 e 5, I. n. 110 del 1975). In tal caso l’importatore deve curare i necessari adempimenti (comma 4), presentando motivata richiesta al BNP, vistata dall’ufficio di Pubblica sicurezza.
Effettuate le verifiche prescritte, il Banco imprime uno speciale contrassegno sull’arma e annota l’operazione in uno specifico registro (art. 11, commi 2 e 3).
Qualora le armi non superino la prova prescritta dalla legge (art. 1, I. n. 186 del 1960), ovvero la verifica prevista dall’art. 23, comma 12-sexiesdecies, dl. n. 95 del 2012, il Banco ne dà avviso all’importatore (o produttore) il quale entro i successivi 30 giorni, può chiederne la rispedizione all’estero, ovvero scegliere di rottamarle (art. 14, I. n. 110 del 1975).
L’art. 23, I. n. 110 del 1975, definisce armi clandestine: 1) le armi comuni da sparo non sottoposte alla verifica del Banco di prova (ex art. 23, comma 12sexiesdecies, d.I.95 del 2012); 2) le armi comuni sprovviste dei contrassegni di cui all’art. 11 della medesima legge.
I successivi commi dell’art. 23 puniscono chi fabbrica, introduce nello Stato, commercia, cede armi clandestine (comma 2); chi detiene quelle armi (comma 3), nonché colui che le porta in luogo pubblico o aperto al pubblico (comma 4).
Il comma 6 introduce una causa di non punibilità in relazione a colui che effettua il trasporto di armi comuni da sparo prive dei segni di identificazione prescritti al Banco nazionale di prova per l’importazione.
La ratio della norma incriminatrice di cui all’art. 23 legge 18 aprile 1975, n. 110 è stata pacificamente ravvisata nell’esigenza di sottoporre a costante controllo tutte le armi comuni da sparo e le persone legittimate a detenerle, e a garantire
la facile ed immediata controllabilità dell’arma ai fini di un pronto riconoscimento della sua provenienza (Sez. 1, n. 2618 del 08/11/1984, dep. 1985, Rv. 168370; Sez. 1, n. 7914 del 11/04/1988, Rv. 178828).
Si è pertanto ritenuto che la mancanza anche di uno solo degli elementi prescritti dall’art. 11 della legge n. 110 del 1975, ivi compreso il numero progressivo di matricola e contrassegno speciale del Banco nazionale di prova di Gardone Val Trompia, rende le armi prodotte in Italia clandestine (Sez. 1, n. 18778 del 27/03/2013, Reccia, Rv. 256014. Si veda, altresì, Sez. 1, n. 25118 del 09/06/2010, Erion, Rv. 247712).
Venendo al caso in esame, si rileva che le armi sequestrate al ricorrente erano state importate in Italia dall’armeria COGNOME e, pur essendo state nazionalizzate, non erano ancora state inviate al Banco di prova, sicché esse erano prive dei relativi punzoni, nonché di quelli di altro banco riconosciuto.
Ciononostante, non potevano ancora qualificarsi come clandestine. Esse, infatti, erano perfettamente tracciabili: la Questura di Milano aveva rilasciato apposita autorizzazione alla loro importazione; erano transitate dalla dogana che le aveva nazionalizzate; la Questura era informata del loro trasporto al COGNOME, avendolo specificamente autorizzato. Gli stessi Uffici doganali avevano incaricato dell’inoltro delle armi al Banco di prova l’importatore NOME COGNOME il quale aveva comunicato a tale ente di aver delegato il COGNOME.
Tutti tali elementi attestano come non solo l’ingresso delle armi in Italia fosse a conoscenza dell’Autorità di pubblica sicurezza, la quale aveva rilasciato apposita licenza, nonché della dogana, ma anche i successivi spostamenti, e in particolare la consegna al ricorrente, erano stati resi noti alla Questura che aveva rilasciato apposita autorizzazione.
Emerge, dunque, con chiarezza che la detenzione delle armi da parte dell’imputato /* oltre ad essere tracciata, era temporanea, in quanto finalizzata alla consegna al Banco di prova per le operazioni di cd. “bancatura”, come risultante dalla delega a tal fine effettuata dal Ratti e comunicata al Banco. D’altra parte, la normativa vigente non prevede alcun termine per l’effettuazione di tale operazione, men che meno un termine perentorio, non rilevando quello previsto dall’art. 14, comma 2, I. n. 110 del 1975, il quale si riferisce alle armi che non abbiano superato la verifica del Banco e che entro tale termine devono essere rottamate ovvero rispedite all’estero; e neppure rileva il termine assegnato all’importatore dagli Uffici doganali per la consegna delle armi al Banco di prova, termine che non è previsto come perentorio.
In assenza di una specifica previsione in tal senso, illogica risulta la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale, la quale ha ritenuto che l’inoltro
al BNP delle armi importate debba essere immediato, e ciò tanto più alla luce dell’art. 11, comma 5, I. n. 110 del 1975, il quale stabilisce che, qualora le armi comuni da sparo introdotte dall’estero manchino dei segni distintivi apposti da altro banco di prova riconosciuto, è a carico dell’importatore l’onere di «curare i necessari adempimenti», senza stabilire alcun limite temporale. Neppure risulta esclusa la possibilità per l’importatore di delegare un altro soggetto per effettuare tale inoltro.
Alla luce di tali elementi, deve ritenersi che al momento del sequestro delle armi presso il Mangiovini, era ancora in corso l’iter per la loro importazione definitiva, di tal che deve escludersi la sussistenza del reato contestato.
A tale conclusione segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in quanto il fatto non sussiste.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.