Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10330 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10330 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a VIAREGGIO il 18/12/1964
avverso la sentenza del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria inviata in forma scritta dal Pubblico Ministero, in persona d Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze confermava la decisione del 7 giugno 2021, con la quale il G.U.P. del Tribunale di Lucca, assolto NOME COGNOME dal capo 1) della rubrica, lo aveva condannato, con rito abbreviato, alla pena, condizionalmente sospesa, di dieci mesi di reclusione per i reati di cui al capo 2) (art. 23 I. 110 del 1975) e al capo 3) (art. 697 cod. pen.), commessi in Viareggio il 4 gennaio 2020.
Nell’affrontare il tema centrale agitato dalla difesa, i giudici di merito aderendo alle conclusioni del C.T. del P.M., avevano fatto discendere il carattere “clandestino” delle armi descritte al capo 2) (pistola ZORAKI mod. RI F 4,5 cal. 4 mm. e pistola EKOL ARDA cal. 4 mm), dalla circostanza che esse presentavano una “marcatura unica”, ritenuta difforme da quanto previsto dalla legge e, in particolare, rilevavano l’assenza delle punzonature del Banco nazionale di prova o di altro ente riconosciuto per legge.
La Corte di appello ribadiva che, ai sensi dell’art. 23 I. 110/75, le armi comuni da sparo non sottoposte alla verifica del Banco nazionale di prova dovevano considerarsi clandestine e che l’art. 14 della stessa legge (“Armi inidonee e non catalogate”) prevedeva, in caso di armi importate dall’estero, la necessità del superamento del controllo/classificazione al Banco nazionale di prova, in mancanza del quale l’arma andava considerata inidonea e non importabile nel nostro Paese.
La Corte di merito disattendeva, inoltre, come fallace la linea difensiva prospettante il difetto di dolo generico per la mera presenza sulle armi di un qualsivoglia numero, che, a suo avviso, sarebbe stato apposto al fine di creare un’apparente liceità e che non era sufficiente a rendere lecito l’acquisto, circostanze di cui l’imputato – in considerazione della consapevolezza della capacità offensiva di quelle armi che aveva appositamente condotto in luogo isolato per provarle; della conoscenza che aveva più in generale delle armi, in qualità di collezionista – era perfettamente conscio, essendo di immediata rilevabilità la non riconducibilità dei segni impressi e dei numeri riportati a quel prescritti dalla legge.
Andava, infine, considerato, a giudizio della Corte territoriale, che le modalità di acquisto tramite intemet delle armi, canale privilegiato per acquistare anche merci di cui è vietata la vendita, imponevano all’imputato, che era in grado di farlo per le sue competenze specifiche, di accertarsi delle condizioni dell’acquisto.
Quanto al diniego di riconoscimento delle attenuanti generiche, i giudici del gravame confermavano la valutazione operata dal primo giudice, facendo richiamo
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alla pluralità delle armi clandestine detenute e alla presenza di un precedente specifico a carico dell’imputato.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, a mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, la difesa del ricorrente denuncia l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 11 della legge n. 110 del 1975, nella sua formulazione previgente alla riforma dell’anno 2012, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto necessaria la validazione dei caratteri numerici impressi sulle armi da parte del Banco Nazionale di prova.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce vizio di motivazione in riferimento alla sussistenza dell’errore sul fatto, con conseguente esclusione dell’elemento psicologico del reato, non avendo la Corte di merito adeguatamente argomentato sull’assoluta buona fede del ricorrente rispetto a quanto acquistato su intemet.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo, si eccepisce violazione dell’art. 62-bis cod. pen. in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, dolendosi, in particolare, della errata valutazione, a carico dell’imputato, di un Precedente “sostanzialmente” estinto.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
L’avv. NOME COGNOME nell’interesse del suo assistito, ha fatto pervenire memoria di replica, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato, perché, nel complesso, infondato.
È, anzitutto, destituito di fondamento il primo motivo dell’impugnazione.
2.1. Sul tema della clandestinità di un’arma, occorre mettere a raffronto le due fondamentali disposizioni previste dagli artt. 11 e 23 I. 18 aprile 1975, n. 110.
Nel precisare quali armi (comuni da sparo) siano da considerare clandestine, l’art.23 indica, al n. 2) del primo comma, «le armi comuni e le canne sprovviste dei numeri, dei contrassegni, e delle sigle di cui al precedente articolo 11».
Dal piano tenore letterale di tale disposizione si desume, con evidenza, che la elencazione degli elementi di identificazione non è fatta in termini di alternatività, nel senso cioè che, per escludere il carattere di clandestinità dell’arma, sia sufficiente la presenza di uno o più dei suddetti elementi, ma è fatta in termini di compresenza, nel senso che l’arma è regolare solo quando sia riscontrata la concorrenza di tutti i segni richiesti dalla legge, e cioè dei numeri
dei contrassegni e delle sigle specificati dall’art. 11: basta, perciò, l’assenza di uno di tali elementi perché l’arma sia da considerare clandestina.
2.2. L’art. 11 sopra citato prevede, a sua volta, una regolamentazione parzialmente differenziata a seconda che si tratti di armi prodotte nello Stato (commi 1 e 2), ovvero di armi prodotte all’estero o importate dall’estero, come le due pistole oggetto del caso in esame (commi 3, 4, 5 e 6).
2.2.1. Per quelle prodotte in Italia, è prescritta l’apposizione, in modo indelebile, ed a cura del produttore, della gigla o del marchio (si intende dello stesso produttore) idonei (sigla o marchio) a identificare le armi, nonché del numero di iscrizione del prototipo nel catalogo nazionale e del numero progressivo di matricola.
Inoltre, le armi devono recare uno speciale contrassegno (con l’emblema della Repubblica Italiana e la sigla di identificazione del Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia o di una sua sezione), che serve come attestazione che si è proceduto ad accertare la presenza delle tre indicazioni sopra specificate.
Giova rammentare che il Banco nazionale di prova di cui all’art. 11, secondo comma, legge n. 110 del 1975 è l’Ente di diritto pubblico cui il comma 12sexiesdecies dell’art. 23 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha attribuito, a seguito della soppressione del Catalogo nazionale delle armi, il compito di verificare, per ogni arma prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo, nonché la sua corrispondenza alle categorie di cui alla direttiva europea CEE/477/91, e succ. mod., inserendo la relativa valutazione in database pubblico, liberamente consultabile.
Detta valutazione, da cui dipende la possibilità di legale detenzione dell’arma nel nostro Paese, ha valore vincolante “in negativo” per il giudice, che non può disattenderne il contenuto implicito di esclusione dal novero delle armi da guerra.
Gli elementi richiesti per una corretta identificazione di armi prodotte in Italia sono, pertanto, quattro: 1) sigla (o marchio) del produttore; 2) numero di iscrizione nel catalogo nazionale delle armi; 3) numero progressivo di matricola e 4) speciale contrassegno del Banco nazionale di prova.
Come già accennato, è sufficiente la mancanza di uno solo di tali elementi perché l’arma sia considerata clandestina (Sez. 1, n. 18778 del 27/03/2013, Reccia, Rv. 256014 – 01; Sez. 1, n. 2230 del 17/03/1999, COGNOME, Rv. 213059 01).
2.2.2. Per quelle prodotte all’estero, recanti i punzoni di prova di uno dei banchi riconosciuti per legge in Italia, non è necessario quest’ultimo speciale contrassegno quando rechino gli altri tre elementi di cui sopra.
Le condizioni richieste dalla legge perché le armi prodotte all’estero siano considerate regolari sono, quindi, due: a) che rechino i punzoni di prova e b) che rechino gli altri tre elementi sopra specificati.
Grava sull’importatore l’obbligo di curare i necessari adempimenti qualora manchi anche uno solo dei quattro segni distintivi di cui sopra, che verrà apposto dal Banco Nazionale di prova su richiesta motivata dell’avente diritto, vistata dall’ufficio locale di pubblica sicurezza: in tal caso, invece, del numero di matricola, verrà impresso il numero progressivo di iscrizione della operazione.
Come si vede, si tratta di un insieme di disposizioni precise e non derogabili, che sono dettate allo scopo di sottoporre a costante controllo tutte le armi comuni da sparo e di procedere alla pronta identificazione, oltre che del produttore, del modello (o tipo) e della singola arma.
2.3. Nel caso di specie, le due pistole in sequestro, di fabbricazione cecoslovacca, non recavano i punzoni di prova di un banco riconosciuto per legge in Italia, la presenza dei quali, unitamente agli altri elementi indicati al prim comma dell’art. 11, avrebbe consentito – come preteso dal difensore – il non assoggettamento alla presentazione delle armi medesime al Banco di prova di Gardone Valtrompia.
In assenza dei prescritti elementi, l’avente diritto (l’imputato) avrebbe dovuto, viceversa, presentare le armi al suddetto Banco di prova che avrebbe provveduto ad apporli.
Non avendo l’imputato assolto ai previsti adempimenti di legge, le armi in discussione, seppure munite di numero di matricola, non potevano che considerarsi clandestine nei sensi di cui agli artt. 11 e 23 della legge n. 110 del 1975.
Ciò anche in considerazione della diversa finalità degli obblighi prescritti dalla suddetta legge: da un canto, l’esigenza di accertare che un’arma sia da riconoscere come arma comune e non da guerra; dall’altro, la necessità di accertarne la legittima provenienza e di pervenire alla pronta identificazione di essa ai fini di sicurezza pubblica, esigenze che valgono sia per le armi prodotte in Italia sia, a maggior ragione, per quelle prodotte all’estero (Sez. 1, n. 2230 del 1999, cit.).
Corretto, in conclusione, è l’approdo cui è pervenuta la Corte di appello di Firenze nel ritenere configurata la fattispecie di reato di cui all’art. 23 I. n. 110 1975 in relazione alle due pistole detenute dall’imputato.
Il secondo motivo, con cui si lamenta la mancata valutazione della buona fede del ricorrente, costituisce mera reiterazione dell’analogo motivo di gravame, adeguatamente confutato dalla Corte di merito nei termini sintetizzati nella superiore esposizione in fatto.
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Infondato, infine, è l’ultimo motivo di ricorso, atteso che, ai fini de diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il giudice, alla luce dei criteri di determinazione della pena di cui all’art. 133 cod. pen., può considerare i precedenti giudiziari, ancorché non definitivi, e, pertanto, a maggior ragione, può tener conto dei reati estinti (Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013, Paderni, Rv. 257200 – 01), diversamente da quanto sostenuto dal difensore del ricorrente.
In conclusione, il ricorso va rigettato, dal che discende ex lege la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente