Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8353 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8353 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TORINO nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a TORRE DEL GRECO il 12/02/1971
COGNOME NOME nato a PEDIVIGLIANO il 06/04/1974
NOME COGNOME nato a CAPACCIO il 01/06/1962
NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 23/06/1970
NOME nato a CASTELLAMONTE il 22/08/1967
inoltre:
RAGIONE_SOCIALE
COMUNE DI LIMONE PIEMONTE
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME per la parte civile RAGIONE_SOCIALE si associa alle conclusione rassegnate dal Procuratore Generale; deposita conclusioni e nota spese.
L’avvocato COGNOME nell’interesse del Comune di Limone Piemonte, chiede l’accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata; deposita conclusioni e nota spese unitamente alla procura speciale e al verbale della giunta comunale del Comune di Limone già anticipati a mezzo pec.
L’avvocato COGNOME per il responsabile civile RAGIONE_SOCIALE chiede che il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino venga dichiarato inammissibile; in subordine ne chiede il rigetto.
L’avvocato COGNOME nell’interesse dell’imputato COGNOME chiede l’inammissibilità del ricorso presentato dal Procuratore Generale; in subordine il rigetto.
L’avvocato COGNOME per l’imputato NOME COGNOME chiede il rigetto del ricorso depositato dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa il 9.5.2024, all’esito di trattazione orale, la Corte di Appello dì Torino, in riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME e COGNOME Giuseppe Antonio, che, per quanto qui di rilievo, li aveva dichiarati colpevoli del reato di furto, aggravato, di cui al capo A – nonché dichiarato i primi tre colpevoli anche della contravvenzione di cui all’art. 20 della I. 110/1975, ricompresa nel capo C, ed il primo anche della ulteriore contravvenzione di cui agli artt. 110 c.p., 256 comma 1, lett. a), d. lgs 152/2006, di cui al capo N – ha, riqualificata la condotta ascritta imputati al capo A quale appropriazione indebita, dichiarato non doversi procedere nei confronti dei medesimi per mancanza di querela (ha, altresì, dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati COGNOME COGNOME e COGNOME in relazione alla condotta di cui al capo C per cui vi è stata condanna, essendo il reato estinto per prescrizione, nonché dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui al capo N perché estinto per prescrizione), revocando le statuizioni civili, confermando nel resto la sentenza di primo grado quanto alla confisca e al dissequestro dei rimanenti beni.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino, deducendo la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per essersi definiti i poteri che avevano gli autor del fatto sulla res oggetto di appropriazione in via pregiudiziale, dandosi però rilievo ad elementi che erano irrilevanti o presupponevano un giudizio nel merito mai effettuato. Si deduce, per altro verso, l’erronea applicazione della legge penale in ordine all’art. 646 cod. pen., per essersi confuso nella definizione di possesso rilevante in tale fattispecie il potere sulla res, autorizzato dal proprietario ad un terzo, tanto da far sì che questo operi al di fuori della sua sfera di sorveglianza, con il rapporto materiale sulla cosa acquisito di fatto dal terzo anche grazie alla trascurata o omessa vigilanza del proprietario. Indi, esaminati gli aspetti fattuali ritenuti salienti ai fini della d qualificazione, sì è concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – con l’intervento delle parti:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi, con rinvio, la sentenza impugnata;
ì difensori delle parti civili hanno chiesto accogliersi il ricorso, allegando not spese;
il difensore del responsabile civile, in replica agli argomenti del P.G., ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, in subordine il rigetto.
i difensori degli imputati, a loro volta, hanno chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, in subordine il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
La vicenda, giunta al vaglio di questa Corte, si inserisce nell’ambito della costruzione del nuovo tunnel, cd. Tenda bis, e delle opere di urbanizzazione primaria allo stesso connesse, sul cantiere sito in Limone Piemonte.
In particolare, si contesta agli imputati di essersi impossessati – in concorso tra loro, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Antonio, presenti sul cantiere quali dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente nei ruoli di direttore tecnico e di capi cantiere, COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME, quali operai incaricati dell’esecuzione materiale, mediante più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto per sé e per altri – di centine, tondini aderenza migliorata, micropali, piedritti ed altri profilati di nuova fornitura in accia per un peso complessivo di almeno 100.000 chilogrammi, sottraendoli a RAGIONE_SOCIALE, società consortile a responsabilità limitata – di cui faceva parte anche la RAGIONE_SOCIALE – che li deteneva per gli scavi, la posa, il consolidamento e più in generale la costruzione del nuovo tunnel cd. Tenda bis. Con le aggravanti di avere commesso il fatto utilizzando mezzi fraudolenti e violenza sui manufatti in acciaio, sopra descritti, occultandoli, tagliandoli per facilitarne il trasporto e cedendoli a tit oneroso a soggetti collettori di ferro e rifiuti ferrosi, cui fornivano formular identificazione recanti dati incompleti, falsi o comunque idonei a celare la proprietà dei suddetti manufatti in capo alla Galleria Di Tenda. Con l’ulteriore aggravante di aver commesso il fatto su cose destinate al pubblico servizio ed alla pubblica utilità, quali strutture portanti e manufatti direttamente destinati alla realizzazione e alla tenuta del nuovo traforo stradale di collegamento dei versanti francese ed italiano delle Valli Roja e Vermenagna sull’itinerario europeo E74, fatto oggetto di appalto integrato da parte di Anas s.p.aRAGIONE_SOCIALE, quale committente delegato dalla commissione intergovernativa per il miglioramento dei collegamenti Franco-Italiani nelle Alpi del Sud.
Il Tribunale di Cuneo riteneva che tale condotta integrasse il reato dì furto, come contestato, e non quello dì appropriazione indebita che presuppone l’esercizio da parte dell’agente di un potere di fatto sulla cosa, autorizzato dal titolare, al di fuori della s
sfera di sorveglianza. Veniva citata, ai finì di tale differenziazione, tra le tante sentenza di questa Corte Sez. 4 n. 23091 del 14 Marzo 2008, dep 10 giugno 2008.
Tale potere, secondo il Tribunale, era inesistente non solo in capo a COGNOME e COGNOME, semplici operai, e ad Apone e Palazzo, titolari di mere deleghe in materia ambientale e di sicurezza sul lavoro, loro conferite dall’ing. COGNOME ma anche in capo a quest’ultimo, direttore tecnico di cantiere. Questi, seppur titolare di due procure speciali conferite da RAGIONE_SOCIALE in data 16 giugno 2014 – attributive, tra gli altri, dei poteri di “rappresentare la società presso qualsiasi amministrazione o ente pubblico o privato ed intrattenere rapporti e condurre trattative commerciali con fornitori e subappaltatori della società, di incassare tutte le somme per qualsivoglia causa dovute alla società., ,sia da pubbliche amministrazioni che da persone fisiche e giuridiche, rilasciando la relativa quietanza nelle debite forme, con facoltà di esonerare il committente da ogni qualsiasi responsabilità” – era, secondo l’impostazione dei giudici di primo grado, “comunque vincolato alle istruzioni e alle direttive impartitegli dai vertici societari e soprattutto era soggetto ai controlli da parte della datrice lavoro”.
Il giudice di primo grado non accoglieva la tesi della difesa secondo la quale dal cantiere sarebbero usciti solo stridi di lavorazione e materiale di scarto non più utilizzabile, correttamente qualificati come rifiuto, mettendo, tra l’altro, in risalto c dai servizi di osservazione della Guardia di finanza risultasse che il materiale metallico “smaltito” fosse “nuovo, bello e talvolta anche imballato” (e quindi non era rappresentato da in prevalenza da rifiuti) , come solo per una piccola parte del notevole flusso di materiali metallici uscito dal cantiere del INDIRIZZO fosse costituita da materiali pervenuti fallati o derivanti da rotture accidentali; e come, comunque, non risultassero “scostamenti” dalle previsioni del progetto esecutivo e come le centine e i manufatti metallici risultassero dai SAL utilizzati nella costruzione come da progetto (e quindi senza operare variazioni in diminuzione).
In appello, í giudici, fatte le dovute, corrette, premesse in diritto quanto all differenza in sede penale tra possesso e mera detenzione materiale del bene, hanno ritenuto, quanto al caso concreto, che COGNOME avesse il possesso sia dei rifiuti ferrosi che delle centìne presenti in cantiere e che quindi il fatto fosse da qualificare come appropriazione indebita. Ha, in particolare, evidenziato la Corte di merito come COGNOME rivestisse nel cantiere del Tenda bis il ruolo di direttore tecnico e fosse un dipendente della società incaricata di eseguire i lavori, proprietaria, in quanto tale, si dei materiali destinati alla realizzazione delle opere, sia dei rifiuti ferrosi prodotti cantiere stesso. Ed ancora, si è valorizzato il fatto che COGNOME era pacificamente la figura apicale di riferimento della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, facente parte di tale società consortile, ed operava in forza delle due
già citate procure, l’una per intrattenere rapportì e condurre trattative con fornitori subappaltatorì, l’altra che gli aveva dato il potere dì ottemperare, quale datore di lavoro, a tutti gli adempimenti connessi a tale ruolo conferendogli i relativi poteri d spesa (aveva, in particolare, ricevuto anche la delega ad operare sul conto Unicredit intestato a Galleria Di Tenda).
Secondo l’impostazione seguita nella sentenza impugnata, COGNOME quindi, operava in cantiere con ampi poteri, in particolare, anche nei rapporti coi fornitori e in materi ambientale e dì smaltimento dei rifiuti, essendo munito dei relativi poteri di rappresentanza e di spesa senza necessità di previa autorizzazione della società per cui lavorava.
Sulla base di tale ricostruzione la Corte di appello ha, in buona sostanza, ritenuto che COGNOME avesse i poteri decisionali di disposizione dei beni aziendali, funzionali alla realizzazione dell’opera commissionata a RAGIONE_SOCIALE. E, quanto al potere di sorveglianza di quest’ultima, la sentenza impugnata ha osservato come non risultasse, d’altra parte, che la società, o chi per essa, avesse mai inviato in cantiere qualcuno al fine di sorvegliare l’attività del COGNOME o di verificare quale uso egli facesse dei be della società. E, per altro verso, si è ritenuto che il mero controllo a distanza sull contabilità di cantiere, di carattere sostanzialmente documentale, sarebbe stato “inidoneo a porre la condotta materiale del COGNOME nell’ambito della sorveglianza della società” e a far venir meno in capo all’imputato il possesso dei beni di cui si discute.
Tale impostazione è stata fortemente criticata dal Procuratore Generale col ricorso in scrutinio, che, in particolare, lamenta la manifesta illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge penale laddove ha dato rilievo ad elementi irrilevanti ai fini della qualificazione della situazione di fatto esistente tra il direttore tec COGNOME NOME ed i beni sottratti, trascurando gli aspetti, in fatto e in diri effettivamente salienti a tal fine, ed ha finito col confondere, nella definizione d possesso rilevante, il potere sulla res, autorizzato dal proprietario ad un terzo, tanto da far sì che questo operi al di fuori della sua sfera di sorveglianza, con il rapporto materiale sulla cosa, acquisito di fatto dal terzo, anche grazie alla omessa vigilanza del proprietario.
Tale doglianza è fondata.
Ed invero, preliminare ai fini del corretto inquadramento della vicenda in esame, è, innanzitutto, la ricostruzione dei poteri in capo al direttore tecnico COGNOME – oltre ch degli altri soggetti coinvolti – il quale, di là della qualifica formalmente rivestita, av evidentemente visto assegnatigli dei compiti precisi sulla base del progetto esecutivo di cui sì doveva, tra l’altro, dare conto neì RAGIONE_SOCIALE che, secondo quanto precisa il Tribunale, invece indicavano come posate centine che in realtà erano state vendute.
Tuttavia, di tali compiti, la sentenza impugnata non fa menzione, limitandosi genericamente a fare riferimento, appunto, alla qualifica formale e ai contenuti delle procure speciali al predetto conferite.
Né si considera che, peraltro, vi erano anche, secondo quanto si prospetta puntualmente in ricorso, altre figure, quale quella del direttore dei lavori e de responsabile unico del procedimento – oltre quelle indicate nella sentenza di primo grado a pag. 40 – con le quali, secondo il ricorrente, il COGNOME si doveva interfacciare e rispetto alle quali difetta parimenti un benché minimo approfondimento, di indubbio rilievo ai fini di una compiuta valutazione.
Si deve, per altro verso, rilevare che il contenuto di tali procure non è stato adeguatamente vagliato dai giudici di merito alla luce dello stesso oggetto della imputazione che fa riferimento all’impossessamento di centine, tondini ad aderenza migliorata, micropali, piedritti ed altri profilati di nuova fornitura in acciaio per un p complessivo di almeno 100.000 chilogrammi – e non, quindi, alla sottrazione di rifiuti la cui gestione era stata oggetto di procura speciale. Sicché, giustamente, il ricorrente fa rilevare che è del tutto fuori luogo il ripetuto richiamo dei poteri di COGNOME rifiuti. I beni – non costituenti ab origine rifiuti ma fatti passare come tali – secondo l’impostazione accusatoria, recepita dagli stessi giudici di merito, sarebbero stati poi rivenduti come rifiuti, laddove si trattava di materiali da impiegare per la costruzione del tunnel ed opere connesse. E’, dunque, in relazione al potere di impiego dei materiali che va quindi approfondito l’esame della vicenda in scrutinio (che, secondo quanto si prospetta in ricorso, avrebbe, peraltro, visto il crollo di una parte dell’oper proprio a causa dell’uso ridotto di armature di sostegno e della difformità dell’esecuzione rispetto al progetto). In alcuni casi, il materiale sarebbe stato addirittura ordinato, volutamente, a monte, in eccesso rispetto a quello occorrente per i lavori da eseguire per potere essere venduto come rifiuto con introito del relativo prezzo (cfr. quanto si riporta a pag. 26 della sentenza di primo grado). E rispetto a tale ultimo aspetto difetta del tutto ogni approfondimento valutativo, in fatto e i diritto, nella sentenza impugnata, laddove si tratta dì evenienza idonea ad assumere una propria specifica valenza ai fini che occupano. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ciò di cui si duole, innanzitutto, il ricorso è, proprio, il mancato approfondimento dei poteri facenti capo al COGNOME – incaricato dì dirigere, quale direttore tecnico, cantiere, di Limone Piemonte, per la realizzazione della nuova galleria cd. Tenda bis, e alla RAGIONE_SOCIALE, che era la società consortile cui era stata affidata d RAGIONE_SOCIALE l’esecuzione delle opere per la realizzazione del secondo tunnel e per l’ampliamento di quello esistente nel territorio del Comune di Limone Piemonte – e alle altre figure emerse o comunque esistenti.
È sulla carenza della premessa in fatto, essenziale nel caso di specie perché pregiudica la valutazione in diritto, che si appunta il ricorso, e sotto tale profilo esso coglie segno, lamentandola sotto il profilo della insufficienza della motivazione – vizio deducibile nella presente sede. Ed invero, per giungere alla conclusione della diversa qualificazione in diritto, si sarebbe dovuto procedere a ben più approfondita ricostruzione e più attento vaglio dei poteri effettivamente facenti capo, da un lato, a COGNOME ed agli altri imputati, e, dall’altro, alle altre figure emerse, valutando anche rispettivi poteri di controllo e vigilanza ad esse facenti capo.
Quanto al potere di vigilanza e controllo in capo alle varie figure coinvolte la sentenza impugnata si limita, in buona sostanza, ad osservare che, di fatto, esso non veniva posto in essere, laddove la creazione della situazione di possesso rilevante ai fini della configurazione del reato di appropriazione indebita – come giustamente fa rilevare il ricorso – non può essere fatta discendere dal mancato esercizio di tale potere da parte di chi lo detiene, quanto, piuttosto, dalla inesistenza, o meno, di tale potere in capo ad altro soggetto.
Il mero approfittarsi del mancato controllo da parte di chi avrebbe dovuto esercitarlo non fa sì che la situazione di mera detenzione materiale del bene si trasformi in detenzione qualificata ovvero in possesso idoneo a determinare, in caso di impossessamento del bene, quell’interversione – illecita – propria dell’appropriazione indebita.
Si tratta, quindi, di approfondire tutti tali aspetti, laddove la sentenza impugnata ha sbrigativamente esaurito la valutazione dei poteri dei soggetti coinvolti nella vicenda in esame, appellandosi a categorie generiche e ai meri contenuti delle procure speciali, senza minimamente confrontarsi con le previsioni dei progetti esecutivi e con le regole tecniche che presiedono all’attività di realizzazione di una galleria, che, secondo quanto si appunta in ricorso, pure avrebbero potuto avere un qualche rilievo ai fini che occupano, tralasciando, per altro verso, di considerare le altre figure rilevanti emerse.
Fermo restando, ovviamente, che l’eventuale potere dispositivo-decisionale, quanto all’impiego dei beni in argomento, che dovesse risultare ritagliabile in capo agli ìmputatì, in particolare a COGNOME, non va confuso con l’utilizzo improprio che di esso, gli stessi, abbiano potuto fare, che, ove sfoci nell’impossessamento del bene, realizza la fattispecie dell’appropriazione indebita e non quella del furto. Furto, che si configura, invece, nel caso in cui difetti, a monte, il potere di disporre del bene potere di disporre del bene che non va, quindi, inteso come potere di decidere una qualunque sorte del bene stesso, e quindi non va confuso – è il caso di precisare – col potere di distogliere il bene dall’impiego a cui era destinato, che ovviamente nessuno degli imputati poteva avere).
Si tratta, quindi, piuttosto, innanzitutto, di stabilire l’eventuale esistenza di un pot decisionale, autonomo, rispetto all’acquisto ed impiego del bene nell’opera e fino a che punto, esso, si potesse, legittimamente, spingere, al punto da conferire all’egente un potere autonomo sulla res.
I contenuti delle procure speciali, genericamente segnalati, pur avendo, ovviamente, il loro rilievo, non esauriscono il tema in argomento, trattandosi di ricostruire gli esatti rapporti instauratisi tra tutte le parti, rilevanti, in g trattandosi, per altro verso, anche di confrontarsi con le plurime modalità di impossessamento dei beni che in alcuni casi appaiono, del tutto, esorbitanti da ogni potere dispositivo ed in alcun modo idonee a trovare la loro genesi in una situazione di possesso (si allude, in particolare, al caso, parimenti da approfondire, degli ordini di materiale in eccesso rispetto alle necessità finalizzati all’impossessamento, di cui pure fa cenno la sentenza di primo grado).
Il Collegio, non può che, infine, rammentare, come, di là da alcune distonie interpretative pure rinvenibili nella risoluzione di fattispecie concrete, nel giurisprudenza di legittimità si afferma da tempo che è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita ove l’agente abbia la detenzione della cosa ma non un autonomo potere dispositivo sul bene (Sez. 4, n. 54014 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 274749; Sez. 5, n. 31993 del 5/3/2018; COGNOME, Rv. 273639; Sez. 4, n. 10638 del 2/2/2013, COGNOME, Rv. 255289). Il reato di cui all’art. 646 cod. pen., infatti, si distingue da quello di furto proprio per la situazione di possesso della cosa altrui, là dove la nozione di possesso cui allude la fattispecie incriminatrice coinvolge ogni situazione giuridica che si concretizza nel potere di disporre della cosa in modo autonomo al di fuori della sfera di vigilanza del proprietario. Quando, invece, l’agente non ha alcuna facoltà idonea ad esercitare il possesso, deve ravvisarsi il delitto di furto e non di appropriazione indebita (Sez. 4, n. 23091 del 14/3/2008, COGNOME, Rv. 240295; Sez. 4, n. 10638 del 20/2/2013, COGNOME, Rv. 255289; Sez. 5, n. 7304 del 17/12/2014, dep. 2015, Sono, Rv. 262743; Sez. 4, n. 6617 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269224).
È bene ribadire un’affermazione molto chiara pronunciata da questa Corte sul tema, sebbene non recentemente: il presupposto del delitto di appropriazione indebita è costituito da un preesistente possesso della cosa altrui da parte dell’agente, cioè da una situazione di fatto che si concretizzi nell’esercizio di un potere autonomo sulla cosa, al dì fuori dei poteri di vigilanza e di custodia che spettano giuridicamente al proprietario o a chi da questi, a tal fine, incaricato. Viceversa, quando sussiste un semplice rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento condizionato e conseguente ad un preciso rapporto di lavoro, soggetto ad una specifica regolamentazione, che non attribuisca all’agente alcun potere di autonoma
disponibilità sulla cosa stessa, si ricade nell’ipotesi di furto e non di appropriazion indebita (Sez. 2, n. 7079 del 17/3/1998, COGNOME, Rv. 178616).
Ciò che è decisiva, quindi, è l’indagine circa il potere di disponibilità sul bene da parte dell’agente: se questo sussiste, il mancato rispetto dei limiti in ordine all utilizzabilità del bene integra il reato di appropriazione indebita; in caso contrario, configurabile il reato di furto (Sez. 2032 del 15/1/1997, COGNOME, Rv. 208668).
Sulla base di tali coordinate interpretative deve essere condotta l’analisi delle fattispecie concrete e, per quel che qui importa, deve (rDesaminarsi il caso da parte del giudice del rinvio, previ i dovuti approfondimenti fattuali nei termini sopra indicati.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Spese di parte civile al definitivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Spese di parte civile al definitivo.
Così deciso il 20/1/2025.