Appello tardivo e Rito Abbreviato: la Presenza non è (solo) Fisica
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione procedurale riguardante i termini per l’impugnazione. Il caso verteva su un appello tardivo presentato da un imputato giudicato con rito abbreviato. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: la scelta di questo rito speciale determina la “presenza” legale dell’imputato, con conseguenze dirette sulla decorrenza dei termini per appellare la sentenza di primo grado.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine da un’ordinanza della Corte d’Appello che dichiarava inammissibile l’appello di un imputato. La ragione addotta dai giudici di secondo grado era la mancanza di una procura speciale rilasciata al difensore dopo la sentenza di condanna, come richiesto da una specifica norma del codice di procedura penale (art. 581, comma 1-quater). L’imputato, tramite il suo legale, ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che tale norma non dovesse applicarsi al suo caso. La sua tesi si basava sul fatto di essere stato giudicato con rito abbreviato, richiesto tramite una precedente procura speciale, e che quindi non poteva essere considerato “assente” nel giudizio di primo grado.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’appello tardivo
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ma per una ragione diversa e “assorbente” rispetto a quella sollevata dal ricorrente. I giudici hanno rilevato d’ufficio che l’appello originario era stato presentato fuori tempo massimo, configurandosi quindi come un appello tardivo.
La Corte ha smontato la logica del ricorrente, focalizzandosi non sulla procura ma sul calcolo dei termini per l’impugnazione. La legge prevede un’estensione di quindici giorni per il difensore dell’imputato giudicato in assenza. Tuttavia, questo beneficio non si applica a chi, come nel caso di specie, ha scelto il rito abbreviato.
Giudizio Abbreviato e Presenza Legale dell’Imputato
Il punto cruciale della decisione risiede nell’interpretazione della presenza nel processo. Secondo la Cassazione, la richiesta di giudizio abbreviato, avanzata tramite procuratore speciale, equivale a una piena partecipazione al procedimento. L’imputato, in virtù di questa scelta processuale, è considerato legalmente “presente”, anche se fisicamente non compare in aula. È irrilevante che la sentenza di primo grado lo abbia erroneamente qualificato come “assente”.
Questa finzione giuridica di presenza implica che i termini per impugnare la sentenza sono quelli ordinari, senza alcuna proroga. Nel caso specifico, il termine per depositare l’appello era scaduto il 16 maggio 2023, ma l’atto era stato depositato solo il 24 maggio, rendendolo irrimediabilmente tardivo.
Le Motivazioni della Sentenza
La motivazione della Suprema Corte si fonda su un’interpretazione sistematica delle norme processuali. Il principio cardine è che l’estensione dei termini di impugnazione (art. 585, comma 1-bis c.p.p.) è una garanzia per l’imputato giudicato in assenza, il quale potrebbe non avere avuto tempestiva conoscenza della sentenza. Tale garanzia non ha ragione di esistere quando l’imputato, attraverso la scelta del rito abbreviato, manifesta la sua volontà di partecipare al giudizio e di accettarne gli esiti, affidandosi al suo difensore.
La Corte ha sottolineato come la scelta del rito abbreviato sia un atto che implica la conoscenza del procedimento e la volontà di definirlo in quello stato. Di conseguenza, l’imputato è posto nelle condizioni di conoscere la sentenza e di decidere se impugnarla entro i termini ordinari. La tardività dell’appello è una questione pregiudiziale che assorbe ogni altra doglianza, inclusa quella sulla necessità della procura speciale post-sentenza. La dichiarazione di inammissibilità è quindi seguita, come per legge, dalla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, data l’evidente colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa sentenza offre un monito cruciale per gli operatori del diritto. La scelta del rito abbreviato non è neutra ai fini del calcolo dei termini di impugnazione. I difensori devono essere consapevoli che, in questo scenario, i loro assistiti sono considerati legalmente presenti, e non possono quindi beneficiare della proroga di 15 giorni concessa nei casi di assenza. La massima attenzione al calendario processuale è fondamentale per evitare di incorrere in un appello tardivo e nella conseguente declaratoria di inammissibilità, che preclude ogni possibilità di vedere esaminate nel merito le ragioni dell’impugnazione.
Quando un appello è considerato tardivo nel caso di un imputato giudicato con rito abbreviato?
L’appello è considerato tardivo se viene depositato oltre il termine ordinario stabilito dalla legge (in questo caso, 45 giorni dal deposito della sentenza). La proroga di 15 giorni prevista per l’imputato assente non si applica, perché la scelta del rito abbreviato rende l’imputato legalmente presente al processo.
Perché un imputato che sceglie il rito abbreviato viene considerato legalmente presente?
Secondo la Corte, la richiesta di definire il processo con il rito abbreviato, presentata tramite un procuratore speciale, è una chiara manifestazione di volontà di partecipare al giudizio. Questa scelta processuale, secondo l’art. 420, comma 2-ter, del codice di procedura penale, equivale alla presenza, a prescindere dal fatto che l’imputato sia fisicamente in aula.
Perché la Corte di Cassazione non ha esaminato la questione della procura speciale sollevata dal ricorrente?
La Corte ha rilevato d’ufficio una causa di inammissibilità più grave e pregiudiziale: la tardività dell’appello originario. Questa ragione, definita “assorbente”, rende inutile e superfluo esaminare qualsiasi altro motivo di ricorso, poiché l’atto di impugnazione era già viziato all’origine per il mancato rispetto dei termini.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9831 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9831 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Palermo il 28/05/1983
avverso l’ordinanza del 31/10/2024 della Corte d’Appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte d’Appello di Palermo ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello per mancanza di procura rilasciata dall’imputato dopo la sentenza di primo grado.
Avverso tale provvedimento il NOME ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione di legge con riferimento alla declaratoria di inammissibilità dell’appello, atteso che la disposizione espressa dall’art. 581, comma 1-quater,
cod. proc. pen. non avrebbe potuto trovare applicazione nella fattispecie concreta, poiché egli era stato giudicato all’esito di giudizio direttissimo chiedendo la celebrazione del giudizio abbreviato con conferimento della procura speciale in favore del difensore. Con la conseguenza che non avrebbe potuto considerarsi assente nel giudizio di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per l’assorbente ragione, rilevabile d’ufficio in sede di legittimità, della proposizione tardiva dell’appello da parte dell’imputato.
Infatti, la previsione espressa dall’art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., che eleva di quindici giorni i termini per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza, non trova applicazione in caso di appello avverso sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato richiesto dal procuratore speciale dell’imputato, che in questo caso – come peraltro dedotto dallo stesso ricorrente a fondamento delle proprie doglianze sull’applicabilità dell’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen. – deve intendersi presente in giudizio ex art. 420, comma 2-ter, cod. proc. pen., in ragione della scelta del rito effettuata, essendo irrilevante che la sentenza lo abbia indicato assente (tra le altre, Sez. 6, n. 42390 del 26/09/2024, Rv. 287199; Sez. 3, n. 43835 del 12/10/2023, Rv. 285332).
Tanto premesso, nella fattispecie in esame il termine per impugnare la sentenza di primo grado (pronunciata il 31 gennaio 2023 e depositata entro il termine di sessanta giorni indicato nel dispositivo) era dunque quello “ordinario” di quarantacinque giorni.
Di conseguenza, alla data del 24 maggio 2023, nella quale la parte ha depositato l’appello a mezzo posta elettronica certificata, essa era già decaduta dall’esercizio del relativo potere processuale (essendo il termine per proporre il gravame scaduto il 16 maggio 2023).
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro cinquecento a favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13/06/2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquecento in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/02/2025