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Appello tardivo e Riforma Cartabia: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che contestava la dichiarazione di appello tardivo. L’imputato sosteneva l’applicazione dei termini più ampi della Riforma Cartabia, ma la Corte ha ribadito la validità del principio ‘tempus regit actum’, secondo cui la legge applicabile è quella in vigore al momento della pronuncia della sentenza impugnata, non le norme successive.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Tardivo e Riforma Cartabia: La Cassazione Conferma il Principio del Tempus Regit Actum

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione relativa all’applicazione delle nuove norme sui termini per le impugnazioni introdotte dalla Riforma Cartabia, in particolare nei casi di appello tardivo. La decisione ribadisce un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il tempus regit actum, ovvero ‘il tempo regola l’atto’. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni a cui sono giunti i giudici.

I Fatti del Caso

Un imputato, condannato in primo grado dal Tribunale di Catania nel 2018, proponeva appello. La Corte d’Appello di Catania, tuttavia, dichiarava l’impugnazione inammissibile perché depositata oltre i termini di legge, risultando quindi tardiva. L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo che, pur essendo la sentenza di primo grado antecedente alla Riforma Cartabia, il processo d’appello si era celebrato quando la riforma era già in vigore. A suo avviso, avrebbe dovuto beneficiare delle nuove disposizioni, specificamente dell’art. 585, comma 1-bis del codice di procedura penale, che prevede un aumento di 15 giorni dei termini per l’impugnazione per l’imputato giudicato in assenza.

La Questione dell’Appello Tardivo e la Disciplina Transitoria

Il cuore della questione risiedeva nell’interpretazione della disciplina transitoria della Riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022). Il ricorrente auspicava un’applicazione retroattiva della norma più favorevole, dato che al momento del giudizio d’appello questa era pienamente efficace. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha respinto tale interpretazione, qualificando il ricorso come ‘manifestamente infondato’.

Il Principio del Tempus Regit Actum

La Corte ha riaffermato con forza che in materia di impugnazioni vige il principio del tempus regit actum. Ciò significa che la legge applicabile per determinare i termini e le modalità di un’impugnazione è quella in vigore al momento in cui l’atto da impugnare viene emesso. Nel caso di una sentenza, questo momento cruciale non è il deposito delle motivazioni, né tantomeno la data di proposizione dell’appello, bensì la data della lettura del dispositivo.

La Normativa Transitoria

I giudici hanno specificato che la stessa Riforma Cartabia, all’art. 89, comma 3, del D.Lgs. 150/2022, stabilisce chiaramente che le nuove norme sui termini di impugnazione (artt. 581 e 585 c.p.p.) si applicano esclusivamente alle sentenze pronunciate a decorrere dal 30 dicembre 2022. Essendo la sentenza di primo grado del 2018, essa ricadeva interamente sotto l’imperio della vecchia disciplina, che non prevedeva l’allungamento dei termini invocato dal ricorrente. L’appello era stato, quindi, correttamente dichiarato tardivo e inammissibile dalla Corte territoriale.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte sono ancorate a una solida interpretazione sistematica e letterale delle norme transitorie. I giudici hanno chiarito che consentire l’applicazione retroattiva delle nuove norme processuali creerebbe incertezza giuridica e violerebbe il principio del tempus regit actum, consolidato nella giurisprudenza. La decisione della Corte d’Appello di Catania, che aveva dichiarato tardivo l’appello basandosi sulla legge in vigore al momento della sentenza del 2018, è stata ritenuta immune da censure. Inoltre, la Corte ha sottolineato che non vi erano elementi per ritenere che il ricorrente avesse proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza stabilisce un punto fermo sull’applicazione temporale delle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia in tema di impugnazioni. I nuovi e più ampi termini per l’appello, inclusi quelli per l’imputato assente, non hanno effetto retroattivo e si applicano solo alle sentenze pronunciate dopo il 30 dicembre 2022. Per tutti i provvedimenti precedenti, restano validi i termini previsti dalla normativa vigente al momento della loro emissione. La decisione comporta, per il ricorrente, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p. in caso di inammissibilità del ricorso.

La Riforma Cartabia, che ha allungato i termini per l’appello dell’imputato assente, si applica a sentenze emesse prima della sua entrata in vigore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che si applica il principio tempus regit actum. Le norme applicabili sono quelle in vigore al momento della pronuncia della sentenza impugnata, non quelle vigenti al momento della celebrazione del processo d’appello.

Qual è il momento decisivo per determinare la legge applicabile ai termini di impugnazione?
Secondo l’ordinanza, il momento di riferimento è quello della lettura del dispositivo della sentenza, non il deposito della motivazione né la data di proposizione dell’impugnazione.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, equitativamente fissata dal giudice, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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