LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Appello procuratore generale: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26555/2025, ha annullato una decisione della Corte d’Appello che aveva dichiarato inammissibile l’appello del procuratore generale per la mancata produzione di un atto di acquiescenza da parte della Procura di primo grado. La Suprema Corte ha stabilito che la proposizione dell’impugnazione da parte del solo Procuratore Generale è di per sé sufficiente a dimostrare la sua legittimazione, senza necessità di allegare documenti formali che attestino l’intesa con la Procura della Repubblica. Il giudice dell’impugnazione non può sindacare tali accordi interni.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 25 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello del procuratore generale: non serve l’atto formale di acquiescenza

Con una recente e significativa pronuncia, la Corte di Cassazione è intervenuta per fare chiarezza su un aspetto cruciale della procedura penale: i requisiti per l’appello del procuratore generale. La sentenza in esame stabilisce un principio di semplificazione e di fiducia nell’organizzazione interna degli uffici del Pubblico Ministero, affermando che non è necessario allegare alcun atto formale di acquiescenza da parte della Procura di primo grado per rendere ammissibile l’impugnazione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Enna nei confronti di un imputato per il reato di cui all’art. 341-bis del codice penale. Contro tale decisione, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta proponeva appello.

Tuttavia, la Corte d’Appello dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione? La mancata presenza agli atti di una formale richiesta di acquiescenza che, secondo i giudici di secondo grado, la Procura Generale avrebbe dovuto ottenere e documentare dalla Procura della Repubblica competente, come previsto dall’art. 593-bis del codice di procedura penale.

Contro questa declaratoria di inammissibilità, il Procuratore Generale ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando un’erronea interpretazione delle norme procedurali relative al suo potere di impugnazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’appello del procuratore generale

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata e rinviando gli atti alla Corte d’Appello per il giudizio di merito. La Suprema Corte ha censurato la decisione dei giudici di secondo grado, ritenendola fondata su un’interpretazione errata del quadro normativo e della giurisprudenza delle Sezioni Unite.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’interpretazione coordinata degli articoli 593-bis c.p.p. e 166-bis delle disposizioni di attuazione. Quest’ultima norma affida al Procuratore Generale un “potere-dovere di coordinamento” con le Procure del suo distretto per gestire le impugnazioni.

La Corte, richiamando una precedente e fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 21716 del 2023), ha chiarito i seguenti punti:

1. Nessuna formalizzazione richiesta: La legge non richiede una manifestazione di volontà formale e processuale del Procuratore della Repubblica, assimilabile a una rinuncia all’impugnazione. Le intese tra i due uffici sono frutto di un coordinamento interno.
2. Nessun obbligo di allegazione: Non è necessario allegare all’atto di appello alcun documento che certifichi l’avvenuta acquiescenza. Il fatto stesso che il Procuratore Generale proponga l’impugnazione implica che egli abbia esercitato il suo dovere di coordinamento e verificato la sussistenza dei presupposti per la sua legittimazione “sussidiaria”.
3. Insindacabilità da parte del giudice: Il giudice dell’impugnazione non ha il potere di sindacare, cioè di verificare nel merito, il contenuto dell’intesa raggiunta tra i due uffici della pubblica accusa. Il meccanismo processuale è soddisfatto quando, come in questo caso, viene presentato un solo atto di appello da parte del soggetto pubblico.

In sostanza, quando il Procuratore Generale presenta appello, si assume la responsabilità di aver correttamente attivato i canali di coordinamento previsti. Questa presunzione non può essere messa in discussione dal giudice, che deve limitarsi a prendere atto della legittimazione derivante dalla proposizione stessa dell’atto.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto fermo per la prassi giudiziaria. Essa semplifica notevolmente la procedura per l’appello del procuratore generale, evitando oneri burocratici non previsti dalla legge e che rischiavano di paralizzare il diritto di impugnazione della parte pubblica.

Questa decisione rafforza il ruolo di coordinamento del Procuratore Generale e si basa su un principio di fiducia nell’organizzazione e nella responsabilità degli uffici requirenti. Viene così garantita l’effettività del potere di impugnazione, assicurando che la valutazione sulla sua opportunità resti confinata all’interno del Pubblico Ministero, come voluto dal legislatore.

Per l’appello del procuratore generale è necessario allegare un atto formale di acquiescenza del procuratore della Repubblica?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è richiesta l’allegazione di alcun documento formale. La presentazione dell’appello da parte del solo procuratore generale è sufficiente a dimostrare l’avvenuta intesa e la sua legittimazione a impugnare.

Il giudice d’appello può verificare se c’è stata effettivamente un’intesa tra Procura Generale e Procura della Repubblica?
No, il giudice dell’impugnazione non può sindacare il contenuto dell’intesa raggiunta tra i due uffici del pubblico ministero. Il meccanismo processuale richiede esclusivamente che contro la sentenza di primo grado sia presentato un solo atto di appello da parte della pubblica accusa.

Qual è il fondamento normativo del potere di appello “sussidiario” del procuratore generale?
Il fondamento si trova negli articoli 593-bis del codice di procedura penale e 166-bis delle disposizioni di attuazione. Queste norme stabiliscono che il procuratore generale può appellare una sentenza quando il procuratore della Repubblica ha prestato acquiescenza (cioè non ha impugnato), prevedendo un meccanismo di coordinamento tra i due uffici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati