Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30555 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30555 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a CASSINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/12/2023 della CORTE di APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del P.G. che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma con ordinanza del 7 dicembre 2023 ha dichiarato inammissibile l’appello presentato da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Cassino del 22 giugno 2023, disponendo l’esecuzione del provvedimento impugnato. La Corte territoriale ha motivato rilevando che l’appello proposto avverso la sentenza impugnata mancava della dichiarazione o elezioni di domicilio dell’imputata, come invece richiesto dall’articolo 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., norma applicabile per le impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva all’entrata in vigore del D.Igs. n.150 del 2022, ossia dopo il 30/12/2022.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione svolgendo sei distinti motivi con cui chiede l’annullamento del citato provvedimento.
2.1 Con il primo motivo eccepisce l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inammissibilità. In particolare, rileva che nel caso di specie la ricorrente aveva già eletto domicilio nel corso del giudizio di primo grado, e nel giudizio di appello aveva espressamente indicato sia nel testo del ricorso sia nel mandato difensivo il proprio indirizzo di residenza ove, ad ogni buon conto, avrebbe potuto ricevere legittimamente ogni comunicazione inerente al processo penale. Ne conseguirebbe che, nel caso in esame, la dichiarazione di inammissibilità dell’appello per non aver depositato con l’impugnazione la dichiarazione di elezioni di domicilio già presente in atti costituirebbe un’inaccettabile violazione del diritto difesa.
2.2 Con il secondo motivo deduce l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
2.3. Con il terzo motivo lamenta l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 646 cod. pen., dato che dalle risultanze dibattimentali sarebbe emersa l’insussistenza del dolo. Alcuna prova è stata fornita in ordine al possesso da parte della RAGIONE_SOCIALE dei materiali di cui si discute. Nella realtà dei fatti la ricorrente avrebbe restituito tutti i beni noleggiati alla società RAGIONE_SOCIALE, ma non avrebbe terminato il pagamento dei canoni di noleggio, con la conseguenza che l’odierno giudizio rientra pienamente nella strategia recuperatoria del credito insoluto posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE Peraltro, la ricorrente osserva che alcuna richiesta di restituzione di beni noleggiati è mai pervenuta alla RAGIONE_SOCIALE, a dimostrazione della mancanza di dolo.
2.4. Con il quarto motivo lamenta la sussistenza del ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza delle condotte illecite, non essendovi prova che i beni siano rimasti nella disponibilità della ricorrente, ed essendo, invece, certo che tutti sono stat restituiti per mezzo del vettore.
2.5. Con il quinto motivo eccepisce l’erronea quantificazione della provvisionale, in quanto agli atti di causa risulta allegata solo una fattura inerente il costo di nolegg dei beni, che reca un importo di circa euro 13.000, ma tale documento non dimostra il valore appropriativo di tali beni, ma solo un valore commerciale di utilizzo degli stessi.
2.6. Con il sesto motivo lamenta la determinazione della pena inflitta ritenuta del tutto spropositata rispetto alle circostanze della vicenda trattata; la ricorrente persona incensurata e il suo comportamento processuale è stato assolutamente buono, di talché ella avrebbe meritato una pena che si accostasse al minimo edittale, con la concessione di tutti i benefici di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati.
In particolare, si osserva che il primo motivo di ricorso riguardante la ritenuta violazione dell’art.581, comma 1-ter, cod. proc. pen., è preliminare e, nel caso di declaratoria di inammissibilità, assorbe tutti gli altri motivi che attengono a censure sul merito della decisione di condanna in primo grado nei confronti di NOME COGNOME.
Va rilevato che la difesa della ricorrente ha eccepito che l’elezione di domicilio era stata fatta dall’imputata nel corso del giudizio di primo grado, aggiungendo che in grado di appello “aveva espressamente indicato sia nel testo del ricorso sia nel mandato difensivo il proprio indirizzo di residenza ove, ad ogni buon conto, avrebbe potuto ricevere legittimamente ogni comunicazione inerente al processo penale”. Da tale affermazione si ricava che l’elezione di domicilio fatta nel corso del giudizio di primo grado, non solo non è stata depositata unitamente all’atto di impugnazione, come previsto dall’art.581, comma 1-ter, cod. proc. pen., ma neppure è stata richiamata nell’atto stesso, ove, invece, sarebbe stato indicato l’indirizzo di residenza dell’appellante. Sul punto il Collegio intende ribadire principio già espresso dalla Suprema Corte circa la non equipollenza tra dichiarazione o elezione di domicilio, specifico atto processuale a forma vincolata, e l’indicazione della propria residenza. Sul punto è stato, infatti, affermato (si veda Sez. 2, n.18469, del 01/03/2022, Rv.283180-01) che: “Ai fini di una valida dichiarazione o elezione di domicilio non è sufficiente la semplice indicazione, in un atto processuale, della residenza o del domicilio dell’indagato (o dell’imputato), essendo necessaria una sua manifestazione di volontà in ordine alla scelta tra i luoghi indicati dall’art. 157 cod. proc. pen., con la consapevolezza degli effetti d tale scelta. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che costituisse valida dichiarazione di domicilio l’individuazione, nel decreto di perquisizione, del domicilio dell’indagato, non risultando dagli atti che egli fosse mai stato invitato a effettuar tale elezione o dichiarazione)’ . Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né può assumere rilevanza la sola circostanza che l’elezione di domicilio era stata fatta dall’imputata COGNOME nel corso del giudizio di primo grado, perché l’art.581, comma 1-ter, cod. proc. pen., impone un onere specifico, ossia il deposito della dichiarazione o elezione di domicilio con l’atto d’impugnazione, ciò al fine di facilitare la notificazione dell’atto di citazione in giudizio. Il Collegio è consapev che una parte della giurisprudenza non ritiene necessario che la dichiarazione o elezione di domicilio sia successiva alla sentenza impugnata, purché essa, anche se
antecedente alla sentenza, sia però allegata all’atto di appello, o quantomeno sia indicata espressamente in esso. Di recente questa Sezione ha affermato: “L’onere del deposito dell’elezione o della dichiarazione di domicilio, previsto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., può essere assolto anche con il richiamo, nell’intestazione dell’atto di appello, all’elezione dichiarazione già effettuata dall’appellante personalmente nel corso del giudizio di primo grado, da ritenersi equipollente all’allegazione dell’atto” (così Sez.2, n.23275 del 09/05/2024, Rv. 286361-01; in termini analoghi si veda anche Sez.2, n.16480 del 29/02/2024, Rv.286269-01). Nel caso di specie, tuttavia, non può trovare applicazione neppure questa interpretazione della norma connotata dal c.d. favor impugnationis, in quanto l’atto di appello, come già evidenziato, non contiene alcuna indicazione della precedente elezione di domicilio, ma solo l’indirizzo di residenza della COGNOME. Per queste considerazioni, si ritiene che l’ordinanza impugnata ha correttamente applicato l’art.581, comma 1-ter, cod. proc. pen., con la conseguente declaratoria di inammissibilità del gravame per violazione del precetto ivi contenuto.
Il primo motivo di ricorso è perciò inammissibile perché manifestamente infondato, e tale conclusione assorbe tutti gli altri motivi di ricorso. A inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili d colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa per le ammende.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente