Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10170 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10170 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/07/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, che chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 luglio 2023 la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto, nell’interesse di NOME COGNOME, avverso la sentenza pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Cassino in data 6 febbraio 2023.
La Corte territoriale ha preso atto del mancato deposito, unitamente all’atto di appello, della dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 581, comma 1 -ter, cod. proc. pen.), prevista a pena di inammissibilità, nonché dello specifico mandato ad impugnare, previsto per il caso, come quello di specie, in cui si sia proceduto in assenza (art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen., che commina anche in questo caso la sanzione dell’inammissibilità).
Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e segnatamente degli artt. 581, commi 1 -ter e 1quater, cod. proc. pen. e 89, comma 3, d. Igs. 150/2022.
Il ricorrente deduce che la corretta applicazione della disposizione transitoria da ultimo citata imponga di ritenere applicabili i commi 1 -ter e 1 -quater dell’art. 581 cod. proc. pen., introdotti dalla c.d. riforma Cartabia a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai soli processi nei quali, a tale data, non è stata ancora pronunciata l’ordinanza che dispone procedersi in assenza. Ordinanza che, nel caso di specie, sarebbe stata invece pronunciata all’udienza del 27 ottobre 2021 dinanzi al Tribunale di Cassino.
I commi invocati dalla Corte di appello non sarebbero dunque applicabili ed erronea sarebbe la conseguente declaratoria di inammissibilità dell’appello.
Aggiunge il ricorrente di non aver avuto conoscenza del processo, tenuto conto del fatto che le notificazioni sarebbero avvenute in un domicilio eletto, durante un periodo nel quale egli era invece detenuto per altra causa: la conoscenza sarebbe stata conseguita solo il 21 luglio 2023, all’atto della notificazione dell’ordinanza oggi impugnata.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
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L’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen stabilisce che «Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena di inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto citazione a giudizio». L’art. 89 dello stesso decreto precisa, inoltre, che tale norma si applica «per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022».
Una recente sentenza della Sesta Sezione di questa Corte (Sez. 6, n. 41309 del 20/09/2023, S., Rv. 285353) ha sintetizzato la genesi delle norme che qui interessano.
2.1. La legge n. 132 del 2021 contiene principi e criteri direttivi di riforma del codice di rito in tema sia di notificazioni per le impugnazioni sia di processo in assenza.
Quanto alle notificazioni all’imputato la legge prevede che, nel caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse “la notificazione dell’atto di citazione a giudizio” nei suoi confronti deve essere effettuata presso il domicilio dichiarato o eletto con l’atto di impugnazione (art. 1, comma 6, lett. f); mentre sul fronte delle impugnazioni stabilisce a carico dell’impugnante l’onere, a pena di inammissibilità, di depositare con l’atto di impugnazione “dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizi impugnazione” (art. 1, comma 13, lett. a).
Accanto a tali previsioni, la legge dedica un’apposita parte alla finalità di «rendere il procedimento penale più celere ed efficiente nonché … modificare il codice di procedura penale in materia di processo in assenza» (art. 1, comma 7), nella quale sono dettati una serie di principi e criteri direttivi tra i quali: «prevede che il difensore dell’imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo specifico mandato a impugnare l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell’imputato assente, un ampliamento del termine per impugnare» (lett. h).
La legge-delega quindi, nel contesto della riforma del procedimento in assenza, ha indicato la necessità di prevedere il rilascio di un mandato specifico al difensore impugnante nell’interesse dell’imputato assente (con il connesso ampliamento del termine per impugnare); onere al quale ha aggiunto anche quello della elezione o dichiarazione di domicilio “per il giudizio di impugnazione”.
I lavori preparatori per l’emanazione della legge delega hanno preso l’avvio dal DDL n. 2435, presentato dal Governo nel 2020, che, con riferimento alle
deleghe per l’efficienza del processo penale, proponeva, tra l’altro, la riforma del sistema delle notificazioni ed in particolare quelle all’imputato nonché taluni interventi per il giudizio di appello. Quanto a questi ultimi, il disegno di legge (art 7) prevedeva che il difensore, per impugnare la sentenza (evidentemente di primo grado), dovesse munirsi di “specifico mandato a impugnare, rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza stessa”.
La modifica, sia pur formulata in termini generali, si rivolgeva in realtà, come si evince dalla Relazione illustrativa, al difensore dell’imputato e aveva la finalità di evitare l’inutile celebrazione di procedimenti (“in appello e in cassazione”) nei confronti di imputati incolpevolmente ignari del processo, cui poteva conseguire la rescissione del giudicato.
Come noto, nel mese di marzo 2021 è stata insediata una Commissione di studio (c.d. Commissione RAGIONE_SOCIALE) per elaborare proposte di emendamenti al suddetto disegno di legge di riforma.
Tra le proposte emendative della Commissione RAGIONE_SOCIALE si poneva un’ampia parte nuova dedicata alla riforma del processo in assenza (art. 2 -ter). Nell’ambito di essa, la Commissione proponeva di «prevedere che il difensore dell’imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo specifico mandato a impugnare l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell’imputato assente, un allungamento del termine per impugnare» (art. 2 -ter, lett. h).
La COGNOME ratio dell’intervento viene COGNOME così COGNOME spiegata COGNOME dalla COGNOME Relazione di accompagnamento: «Nel contesto delle innovazioni proposte, va rimarcato che l’intervento sulla legittimazione del difensore ad impugnare costituisce uno snodo essenziale, sia in chiave di effettiva garanzia dell’imputato, sia in chiave di razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie: la misura, infatti, è volta a assicurare la celebrazione delle impugnazioni solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato giudicato in assenza e ad evitare – senza alcun pregiudizio del diritto di difesa dell’interessato, tutelato dai rimedi “restitutori” contestualmente assicurati l’inutile celebrazione di gradi di giudizio destinati ad essere travolti dall rescissione del giudicato».
Questa esigenza veniva ad iscriversi nella proposta di riformare il processo in assenza dell’imputato in modo che esso possa svolgersi solo in presenza di elementi idonei a dare “ragionevole certezza” della conoscenza da parte di questi della pendenza del processo e che l’assenza sia dovuta ad una scelta volontaria e consapevole, prevedendo in particolare che «il diritto di impugnare ogni sentenza possa essere esercitato dall’imputato giudicato in assenza solo personalmente o a
mezzo di difensore munito di mandato specifico, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, unitamente alla dichiarazione ed elezione di domicilio per il giudizio di impugnazione».
2.2. In sintesi, anche alla luce dei lavori preparatori, può concludersi che la legge-delega ha inteso da un lato riformare il giudizio di assenza anche con riferimento ai singoli gradi di impugnazione per evitarne la celebrazione nell’inconsapevole assenza dell’imputato (e quindi il possibile successivo travolgimento a mezzo dei rimedi restitutori) – attraverso il duplice onere imposto all’imputato, in caso di impugnazione proposta nel suo interesse, di rilasciare al difensore il mandato specifico e di effettuare l’elezione o dichiarazione di domicilio – e dall’altro facilitare la celebrazione dei giudizi di impugnazione, semplificando sia in via generale la “notificazione dell’atto introduttivo del giudizio d impugnazione” attraverso l’onere imposto all’impugnante di dichiarare o eleggere domicilio, sia in modo specifico “la notificazione dell’atto di citazione a giudizio” per l’impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, utilizzando la medesima dichiarazione o elezione di domicilio.
Il decreto legislativo n. 150 del 2022 ha rispettato i criteri direttivi contenu nella legge-delega.
3.1. In particolare, nell’ambito del sistema delle notificazioni nei confronti dell’imputato, il decreto ha introdotto l’art. 157-ter cod. proc. pen. per disciplinare le notifiche “degli atti introduttivi del giudizio” all’imputato non detenuto, il terzo comma, dedicato alle impugnazioni proposte dall’imputato o nel suo interesse, ha recepito il criterio della legge-delega, stabilendo che “la notificazione dell’atto di citazione a giudizio” nei suoi confronti sia eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto con l’atto di impugnazione.
Proprio in ragione del fatto che, se l’imputato è detenuto – per il reato per cui si procede – al momento della proposizione dell’impugnazione, la notifica dell’atto di citazione va effettuata in mani proprie, in tal caso non deve essere richiesto il deposito dell’elezione o della dichiarazione di domicilio (Sez. 2, n. 38442 del 13/09/2023, Toure, Rv. 285029); principio che è stato ritenuto non operante, invece, per chi sia detenuto per causa diversa (cfr. Sez. 5, n. 4606 del 28/11/2023, dep. 2024, COGNOME, allo stato non massimata), cui dunque si applica la necessità della nuova elezione o dichiarazione di domicilio contestuale all’atto di appello.
3.2. Quanto al giudizio in assenza, il decreto legislativo ha dato attuazione alla delega per il giudizio di impugnazione sia riformando la disciplina dell’assenza nella fase dell’appello (art. 598-ter cod. proc. pen.) sia prevedendo con l’art. 581 cod. proc. pen. specifiche formalità per la presentazione dell’impugnazione da parte dell’imputato giudicato in assenza (depositare con l’atto d’impugnazione
congiuntamente lo specifico mandato conferito al difensore ad impugnare e la dichiarazione o l’elezione di domicilio “ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”).
A “compensazione” dei più stringenti oneri formali per l’impugnazione, è stato previsto l’aumento di quindici giorni del termine previsto dall’art. 585, comma 1, cod. proc. pen. proprio per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza.
Inoltre, nel testo dell’art. 175 cod. proc. pen. è stato aggiunto un nuovo comma 2.1 che prevede che «l’imputato giudicato in assenza è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell’articolo 420bis, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa».
La normativa intertemporale (il citato art. 89) ha di fatto disallineato la riforma sulla assenza, rendendo operative soltanto alcune limitate disposizioni e riservandone l’entrata in vigore della gran parte ai soli procedimenti pendenti, in cui si è disposto procedersi in assenza dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo.
Le norme di “immediata” applicazione (cioè quelle che vengono applicate alle impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate dopo il 30 dicembre 2022: cfr. art. 89, comma 3, d. Igs. n. 150/2022) sono proprio gli artt. 581, commi Iter e 1-quater, 157-ter, comma 3, e 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., come pure (a mente dell’art. 6 d.l. n. 162/2022), l’art. 175 cod. proc. pen., come modificato dal decreto n. 150 cit.
Quindi, nel caso in esame, il riferimento dell’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. ai procedimenti in cui si è “proceduto in assenza” comporta che la definizione di assenza vada vagliata alla luce della previgente normativa (cfr., ancora una volta, la citata Sez. 6, n. 41309/2023).
Il quadro che emerge è dunque quello di una nuova disciplina «funzionale a garantire l’esercizio consapevole del diritto di impugnazione» (Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 285305) e tutt’altro che irragionevole: è infatti ragionevole lo «scopo perseguito dal Legislatore, ossia la proposizione di impugnazioni consapevoli da parte dell’imputato senza che dai più stringenti requisiti posti dalla stessa norma a pena di inammissibilità derivi un pregiudizio per lo stesso imputato» (ibidem).
Va allora riaffermata la piena compatibilità costituzionale dell’art. 581, commi 1 -ter e 1 -quater, cod. proc. pen. e dell’art. 89, comma 3, d. Igs. 150/2022, «nella parte in cui richiedono, a pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, unitamente all’atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio, ai fini della notificazion dell’atto di citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi “in limine impugnationis” ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine» (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324).
Più in generale, «è ragionevole la richiesta di una generalizzata dichiarazione o elezione di domicilio, obbligatoria e a pena di inammissibilità per chi, dopo la celebrazione della fase di giudizio precedente, decida di intraprendere un giudizio di impugnazione che, anche a garanzia dell’impugnante, dovrà vedere confermata o modificata la precedente elezione o dichiarazione di domicilio, ovvero effettuata la stessa per la prima volta. Per un verso, la ragionevolezza della richiesta, condizione di ammissibilità dell’impugnazione, scaturisce dall’esperienza della durata dei giudizi e del tempo trascorso dalla fase delle indagini – nel corso della quale potrebbe già essere intervenuta la dichiarazione o elezione di domicilio ai sensi dell’art. 161, comma 1, cod. proc. pen. – a quella della impugnazione. L’esperienza giudiziaria testimonia come lo scorrere del tempo del processo a fronte di una prima elezione/dichiarazione di domicilio non sempre garantisca la conoscenza della vocatio in iudicium in primo grado, e ciò ancor più nel giudizio di impugnazione. Pertanto, la scelta del legislatore di modulare la durata di efficacia della prima elezione o dichiarazione di domicilio, chiedendo di rinnovarla a chi la abbia già compiuta, attualizzandola, consegue ad una saggia e razionale presa d’atto dell’esperienza giudiziaria, in attuazione del cd. principio di realtà, che vede anche accrescersi l’esercizio del diritto alla mobilità del cittadino, il che implica l necessità di un aggiornamento quanto al domicilio eletto o dichiarato» (Sez. 5, n. 46831 del 22/09/2023, NOME, non massimata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6. Alla luce di quanto sin qui osservato, è appena il caso di aggiungere che le doglianze relative alla dedotta mancata consapevolezza della celebrazione del processo vanno, come è stato correttamente osservato dal Procuratore generale nella propria requisitoria scritta, canalizzate nei rimedi restitutori previsti d sistema, mentre non può la Corte di cassazione, investita di un ricorso avverso ordinanza che ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello, occuparsi di quella che
si atteggia come una richiesta di rescissione del giudicato o di restituzione nel termine, non sottoposta al giudice competente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/01/2024