Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30543 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30543 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Quartu Sant’Elena il 02/04/1990
avverso l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Cagliari il 09/08/2024;
visti gli atti ed esaminato il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME chiesto l’annullamento senza rinvio della impugnata ordinanza;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Cagliari con ordinanza de plano ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOMEavverso la sentenza che lo aveva condannato al del giudizio di primo grado.
L’inammissibilità è stata pronunciata dalla Corte di appello sul presuppos all’impugnazione non fosse allegata la dichiarazione o elezione di dom “necessariamente successiva alla pronuncia della sentenza impugnata”.
Ha aggiunto la Corte di appello che non avrebbe rilievo nemmeno il fatto successivamente alla proposizione dell’atto di appello, l’imputato sia stato r
stato in detenzione per altra causa, dovendo l’ammissibilità della impugnazione valutata al momento della presentazione dell’atto.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, articolando un unico motivo co deduce violazione di legge processuale.
Si richiama, da una parte, l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’art. 581, 1 ter, cod. proc. pen. non sarebbe applicabile nel caso di imputato detenuto per altra causa, e, dall’altra, si evidenzia in punto di fatto che il decreto di il giudizio di appello avrebbe potuto essere comunicato in carcere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il quadro normativo di riferimento in cui la questione si colloca è stato occasioni delineato dalla Corte di cassazione.
L’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. stabilisce che con l’atto di impugnazion delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dic o la elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a g
L’art. 164 cod. proc. pen. prevede che la determinazione del domicilio dichia eletto è valida anche per le notificazioni degli atti di citazione a giudizio, qui per quella relativa al giudizio di appello, salvo quanto previsto dall’art. 156, cod. proc. pen.
L’art. 157ter cod. proc. peri., chiarisce che le notificazioni degli atti introdut giudizio nei confronti dell’imputato “non detenuto” sono effettuate nel dom dichiarato o eletto e – specificamente nel caso dei giudizi di impugnaz esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 581, com 1-ter e 1-quater o, in mancanza di questo, nei luoghi e con le modalità di cui all’art. 15 proc. pen.
Non vi è dubbio che le disposizioni di cui all’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen. creino un collegamento tra atto di impugnazione e citazione in giudi che, richiedendo di depositare con l’atto di impugnazione la dichiarazione o elezi domicilio, siano funzionali ad agevolare la notificazione della citazione e a rend agevole la celebrazione dei processi.
Il tema attiene, tuttavia, alla interpretazione e alla portata di disposizioni p come quella in esame, che impongono oneri di attivazione per le parti e al
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inosservanza consegue la più grave delle sanzioni processuali, cioè l’inammissibilità dell’atto e, in questo caso, della impugnazione.
La questione attiene alla necessità di scongiurare il rischio di interpretare la norma in esame in modo tale da incrinare la funzionalità del processo e, in particolare, il sens della sequenza ordinata degli atti procedimentali, i diritti dell’imputato e il suo pot di impugnazione, il sistema delle invalidità processuali, la congruità delle sanzion rispetto alla difformità dell’atto dal modello legale.
Il processo penale ruota intorno ad alcuni principi costitutivi, quali l’obbligatori dell’azione, il contraddittorio come metodo, la garanzia del diritto di difesa, ragionevole durata.
In ragione di tali principi sono fissate regole, alla cui inosservanza conseguono sanzioni.
Il rapporto tra adempimenti di regole funzionali a garantire i principi cardine de processo e le sanzioni conseguenti alla inosservanza di dette regole caratterizza l’andamento del procedimento.
In particolare, si è correttamente fatto osservare, il procedimento è segnato non solo dall’esistenza o dall’assenza di sanzioni ma anche dalla congruenza tra il meccanismo sanzionatorio che consegue alla violazione della regola posta a tutela degli interessi sottostanti al processo e l’effettività della esigenza di tutela degli interessi.
Non vi è “abuso” quando vi è proporzione, congruità, tra meccanismo sanzionatorio e lesione degli interessi sottesi alla regola violata; vi potrà essere oggettivament “abuso” quando invece vi è uno scollamento, una frattura, tra la violazione della regola e la presenza o l’assenza di una sanzione, ovvero la sua congruità.
Dunque, è possibile che vi siano sanzioni processuali senza lesione in tutti i casi in cui alla violazione della regola, cioè alla difformità dell’atto dal modello legale, conseg una sanzione asimmetrica rispetto alla tutela degli interessi sottostanti la regola violat è possibile però anche che vi siano anche lesioni senza sanzione, cioè violazione di regole strumentali alla tutela dei principi fondanti del processo a cui non consegue una sanzione.
Detta esigenza di congruità e di proporzione fra sanzione processuale e violazione della regola è fortemente avvertita anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Si coglie infatti una chiara tendenza a creare un nesso obiettivo tra l’applicazione da parte delle Corti nazionali di formalità ingiustificate o irragionevoli da osservare p proporre un ricorso (e a maggior ragione un’impugnazione di merito in appello) e il rischio di svuotare di effettività il diritto di accesso alla giustizia nonchè il ruolo ce da questo assolto nel sistema complessivo dell’equo processo e dell’art. 6 CEDU.
Tale rischio si concretizza quando una interpretazione eccessivamente formalistica della legge ordinaria impedisce di fatto l’esame nel merito del ricorso proposto dall’interessato (Corte EDU, 12 luglio 2016, COGNOME c. Francia; Corte EDU 5 novembre 2015, COGNOME c. Francia; Corte EDU, 12 novembre 2002, Beles e altri c. Repubblica Ceca; COGNOME c. Regno Unito del 21 febbraio 1975).
Secondo la Corte europea limitazioni al diritto all’accesso alla giustizia possono consentirsi solo se giustificate da un fine legittimo e, soprattutto, se proporzionat (Corte EDU, Grande Camera, Zubac c. Croazia del 5 aprile 2018 (v. soprattutto parr. 76-82); COGNOME c. Italia del 28 ottobre 2021 e COGNOME e Gorjon c. Belgio del 21 settembre 2021).
Se, sotto il primo profilo, possono essere consentiti in astratto “sistemi di filtro” impugnazioni, anche attraverso la previsione di cause di inammissibilità, la questione si pone in modo più evidente quanto al rapporto tra strumento di filtro, sanzione processuale e principio di proporzionalità.
La Corte di cassazione ha già evidenziato in modo condivisibile come, proprio con riguardo al tema della proporzionalità, la giurisprudenza di Strasburgo sia rigorosa nell’evidenziare la necessità di una stringente valutazione in concreto della ragionevolezza della restrizione al diritto di accesso; una valutazione che deve essere compiuta in considerazione di alcuni parametri essenziali come: la prevedibilità della restrizione; la responsabilità della parte nei cui confronti viene dichiara l’inammissibilità per gli eventuali errori procedurali che abbiano impedito l’accesso alla giurisdizione superiore; l’assenza di indici di “formalismo eccessivo” nell’applicazione della regola processuale restrittiva, cui segua l’inammissibilità (sul tema, lucidamente, Sez. 5, n. 6993 del 13/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286975).
Il tema della proporzionalità della sanzione rispetto alla violazione di norme di filt del diritto di accesso alla giustizia e limitative del diritto di impugnazione appare peral ancora più stringente se riferito al giudizio di appello, che, tendenzialmente, rimane un giudizio di seconda istanza “piena” per le parti processuali.
Il principio di proporzione, certamente ancorato alla disciplina delle cautel personali nel procedimento penale ed alla tutela dei diritti inviolabili, ha nel sistema u portata più ampia: esso travalica il perimetro della libertà individuale per diveni termine necessario di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazio della loro limitazione.
In ambito sovranazionale, il principio, come è noto, è ormai affermato tanto dalle fonti dell’Unione (cfr. par. 3 e 4 dell’art. 5 TUE, art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della dei diritti fondamentali, che dal sistema della CEDU.
La Corte costituzionale ha a sua volta chiarito in più occasioni come il generale controllo di ragionevolezza, a sua volta effettuato attraverso il bilanciamento tra g
interessi in conflitto, comprenda il canone modale della proporzionalità (Corte cost., sentenza n. 85 del 2013, ma anche n. 20 del 2017).
Non diversamente, è condivisibile quanto ritenuto in dottrina, e cioè che il rango conferito dall’ordinamento interno alle fonti sovranazionali consente di affermare che, qualunque sia la natura con cui sono costruite – sostanziale o processuale – le tutele dei diritti, si deve tenere conto del cd. test di proporzionalità.
Il principio in esame è capace cioè di fungere da guida per lo sviluppo futuro della materia dei diritti fondamentali, oggetto primario delle disposizioni normative processuali penali.
Si può dunque affermare che, anche là dove non entri espressamente in gioco il tema dei diritti fondamentali, il principio di proporzionalità rappresenti un utile termin paragone per lo sviluppo di soluzioni ermeneutiche e, ancor prima, di nuovi modelli di ragionamento giuridico; in tal senso, si sostiene acutamente, il principio di proporzionalità assolve ad una generale funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, ed ad una funzione finalistica, cio come parametro per verificare la correttezza della soluzione presa nel caso concreto.
In tale accezione, il canone della proporzione e della adeguatezza si rivolgono certamente al legislatore, nel momento in cui traccia le norme ordinarie, ed alla Corte costituzionale nel vaglio di legittimità delle stesse, ma anche al giudice comune, allorquando è chiamato in concreto a valutare di norme e di atti limitativi delle istanze fondamentali.
Il principio di proporzionalità segna il limite entro il quale la compressione d un’istanza fondamentale per fini processuali risulta legittima.
Dunque, anche rispetto all’art. 581, comma 1ter cod. proc. pen., si impone la necessità di una interpretazione che scongiuri il rischio di sanzioni senza lesione, che tenga conto del principio di proporzione, che tenda a conciliare l’esigenza di filtro sottesa alla “regola” – con il fondamentale canone del diritto di accesso alla giustizia che rifugga da eccessi formalistici capaci di frustrare, svuotandone di contenuto, diritti fondamentali e garanzie soggettive.
Solo ciò scongiura i dubbi di legittimità costituzionale della norma che, non casualmente, da più parti sono stati prospettati.
Si tratta di una norma che, lungi dal limitarsi ad imporre un mero, “leggero”, onere collaborativo ad una parte, incide in realtà fortemente sul diritto di impugnazione e sul diritto di accesso alla giustizia, prevede una sanzione – quella di inammissibilità – che è giustificata solo se congrua e proporzionata.
Ciò impone cautela nella interpretazione e la necessità di evitare eccessi formalistici. La celerità del processo deve coniugarsi con l’esigenza primaria di tutela dei diritti.
Ciò spiega il senso e la portata di alcune pronunce della Corte di cassazione, ciò spiega il principio:
a) secondo cui, nel caso in cui l’imputato sia detenuto al momento della proposizione del gravame, non opera, nei suoi confronti, la previsione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., posto che tale adempimento risulterebbe privo di concreto effetto ed utilità in ragione proprio della vigenza dell’obbligo di procedere alla notificazione a man proprie dell’imputato detenuto; diversamente, una interpretazione eccessivamente formale comporterebbe la violazione del diritto all’accesso effettivo alla giustizia sancit dall’art. 6 CEDU (Sez. 2, n. 51273 del 10/11/2023, Savoia, Rv. 285546; Sez. 2, n. 33355 del 28/06/2023, COGNOME, Rv. 285021; Sez. 2, n. 38442 del 20/09/2023, Toure, Rv. 285029; Sez.2, n.44026 del 12/10/2023, Toure Ismaila, n.m.; Sez.6, n.47172 del 31/10/2023, Alletto, n.m.; Sez.6, n.47174 del 07/11/2023, COGNOME, n.m.);
per cui la norma in esame non trova applicazione anche nei riguardi dell’imputato detenuto per altra causa (Sez. 6, n. 21940 del 07/02/2024, Janashia);
secondo cui la norma in questione non trovi applicazione nei confronti della parte civile, del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria la previsione di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall’art. 3 comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. (Sez. 5, n. 6993 del 13/11/2023, dep. 2024, COGNOME, cit., in cui in motivazione la Corte ha affermato che tale adempimento risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, in ragione dello statuto processuale di tali parti, rinvenibile negli artt. 100, commi 1 e 5, e 154, comma 4, cod. proc. pen.);
per cui la causa di inammissibilità, pur formalmente configurabile ove si faccia riferimento al contenuto dell’atto di impugnazione, non deve essere dichiarata ove l’atto di citazione per il giudizio in appello sia stato emesso e comunicato regolarmente all’imputato al suo indirizzo di residenza (Sez. 5, n. 21005 del 08/03/2024).
Si tratta di pronunce che inducono a riflettere.
In tale contesto si colloca in senso non propriamente simmetrico, Sez. 5, n. 4606 del 28/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285973, secondo cui, invece, le disposizioni di cui all’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen. sono applicabili all’atto di appello proposto dall’imputato detenuto per altra causa.
Secondo la Corte, la non perfetta coincidenza tra il momento esecutivo della notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello rispetto a quello dell presentazione dell’atto di impugnazione comporterebbe la necessità di applicare l’art. 581, comma 1ter, cod. proc. pen. anche nel caso di imputato detenuto per altra causa in ragione della possibilità che l’appellante non sia più detenuto all’atto del notificazione del decreto di citazione per l’appello e al tempo stesso non abbia dichiarato o eletto domicilio nel procedimento in cui si procede.
Se, infatti, si sostiene, l’art. 581, comma 1 ter, cod. proc. pen non trovass applicazione anche nel caso in questione rimarrebbe vanificata l’esigenza sottesa a detta norma, quella cioè di facilitazione della notificazione e di certezza della conoscenza dell’atto notificato da parte dell’imputato, cioè del decreto di citazione in appello.
Né, si aggiunge, l’esigenza in questione, che attiene alla necessità di non scindere il momento della proposizione della impugnazione rispetto a quello della notifica della citazione in appello, potrebbe considerarsi soddisfatta facendo riferimento all’art. 161, comma 3, cod. proc. pen. che impone al momento della scarcerazione di dichiarare o eleggere domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore dell’istituto ove era ristret avendo detta dichiarazione validità unicamente con riferimento al procedimento in relazione al quale è intervenuta la scarcerazione medesima e non anche per il procedimento avente ad oggetto il reato per cui si procede.
Si tratta di una pronuncia che lascia sullo sfondo rilevanti questioni, che attengono alla esigenza di interpretare la causa di inammissibilità di cui all’art. 581, comma 1 ter cod. proc. pen. in senso conforme al principio di proporzione.
In realtà, la situazione dell’imputato appellante detenuto per altra causa, a ben vedere, non è diversa da quella dell’imputato appellante detenuto per il reato per cui si procede.
Si è già detto di come, l’intero sistema delle notificazioni degli atti di citazion giudizio, e quindi anche della citazione per il giudizio di appello, sia fondato sul princi per cui la comunicazione all’imputato detenuto deve essere compiuta alla sua persona in carcere.
Si è già detto di come questo principio trovi applicazione anche nei casi in cui l’imputato sia detenuto per altra causa.
Si è già detto di come il riferimento normativo sia allo stato di detenzione e non al reato per il quale l’imputato è detenuto.
L’adempimento previsto dall’art. 181, comma 1ter, cod. proc. pen. costituisce un requisito di ammissibilità della impugnazione sicchè, al fine della sussistenza della causa di inammissibilità, è necessario riferire detto adempimento al momento della presentazione dell’atto e non a quello della citazione in giudizio.
Rispetto al momento in cui l’impugnazione è proposta, l’imputato in stato di detenzione, seppure per altra causa, non è normalmente in grado di prevedere se e quando potrà essere rimesso in libertà, soprattutto se lo stato detentivo non è conseguente ad una sentenza definitiva.
Dunque, anche nel caso di imputato detenuto per altra causa, l’appellante, al momento in cui propone l’impugnazione, sa che la citazione a giudizio, che può essere disposta anche a distanza di tempo, sarà a lui comunicata in carcere.
A voler ragionare diversamente, ne deriverebbe una restrizione del diritto all’accesso alla giustizia di fatto non prevedibile, atteso che un atto di impugnazione – rispetto quale, al momento della sua proposizione, non vi è l’esigenza sottesa alla previsione di cui all’art. 181, comma 1ter, cod. proc. pen. – sarebbe inammissibile in ragione del fatto che l’imputato potrebbe successivamente non essere più in stato detentivo al momento della citazione in giudizio in appello, cioè per ragioni che, al momento della formazione dell’atto, non esistevano e, verosimilmente, non potevano nemmeno configurarsi.
Rispetto ad un imputato che, per esempio, si trovi in stato di detenzione per altra causa per espiare una pena che sicuramente lo priverà della libertà personale per anni – e rispetto al quale non vi è il rischio di scissione tra il momento della proposizione del impugnazione e quello della citazione in giudizio- è sproporzionata la sanzione di inammissibilità di un atto di appello proposto senza l’adempimento previsto dall’art. 181, comma 1ter, cod. proc. pen.
Né, ancora, è chiaro perché l’impugnazione dovrebbe essere inammissibile anche nei riguardi di un imputato detenuto per altra causa, che dichiari o elegga domicilio per il reato per cui si procede successivamente alla proposizione della impugnazione ma prima della citazione in giudizio.
Né è chiaro perché l’imputato, al momento della rimessione in libertà disposta prima della citazione a giudizio, non potrebbe essere invitato a dichiarare o eleggere domicilio anche per il diverso procedimento per cui si procede, in modo da poter soddisfare nuovamente l’esigenza sottesa alla previsione di cui all’art. 181, comma 1 -ter, cod. proc. pen.
Ciò che deve essere scongiurato è il rischio che la sanzione di inammissibilità della impugnazione venga fatta discendere da una interpretazione eccessivamente formale e ciò nonostante la presenza di plurimi indici normativi di segno contrario.
La Corte di appello di Cagliari non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, tenuto conto, peraltro, che lo stato di detenzione dell’imputato, seppur per altr causa, le era noto e nulla le impediva di emettere il decreto di citazione a giudizio e di comunicano in carcere al ricorrente.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di appello di Cagliari per l’ulteriore corso
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Cagliari per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma il 9 maggio 2025
III C nsigliere estensore