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Appello patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo un’applicazione della pena su richiesta (patteggiamento) per reati di droga, chiedeva il proscioglimento. La Suprema Corte ha ribadito che l’appello patteggiamento è consentito solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., tra i quali non figura una rivalutazione nel merito finalizzata all’assoluzione. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: i Rigidi Limiti Imposti dalla Cassazione

L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta, comunemente noto come ‘patteggiamento’, rappresenta uno strumento fondamentale di deflazione del contenzioso penale. Tuttavia, la scelta di accedere a tale rito comporta significative limitazioni sul fronte delle impugnazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta i confini invalicabili dell’appello patteggiamento, confermando l’impossibilità di utilizzarlo per ottenere un proscioglimento nel merito.

Il Caso in Esame

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato tramite patteggiamento per reati legati agli stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990. L’imputato, dopo aver concordato la pena con il Pubblico Ministero e ottenuto la ratifica dal Giudice per l’Udienza Preliminare, si rivolgeva alla Suprema Corte. La sua doglianza non riguardava vizi procedurali o l’illegalità della pena concordata, bensì mirava a ottenere un proscioglimento nel merito, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge in tal senso.

I Motivi del Ricorso e i Limiti all’Appello Patteggiamento

La difesa del ricorrente tentava di scardinare la sentenza di patteggiamento sostenendo la sussistenza di presupposti per un’assoluzione. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha prontamente richiamato il dettato normativo dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta dalla riforma Orlando (legge n. 103/2017), elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento. Essi sono:

1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.

Come evidente, l’elenco non include la possibilità di rimettere in discussione la colpevolezza dell’imputato per ottenere una sentenza di proscioglimento. Il ricorso presentato, pertanto, si fondava su doglianze non consentite dalla legge.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile con una motivazione netta e lineare. I giudici hanno sottolineato che il ricorrente non aveva sollevato alcuna delle questioni ammesse dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La richiesta di una valutazione nel merito, finalizzata a un proscioglimento ex art. 129 c.p.p., esula completamente dal perimetro del sindacato di legittimità sulle sentenze di patteggiamento. Scegliendo il rito speciale, l’imputato accetta una definizione del processo che preclude una successiva contestazione della propria responsabilità, salvo i limitatissimi casi previsti dalla norma.

Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità ha comportato due conseguenze economiche dirette per il ricorrente. In applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, la Corte ha condannato l’imputato al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000, che esclude profili di colpa solo in casi eccezionali, ha disposto il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: l’appello patteggiamento non è uno strumento per rimettere in gioco l’esito del processo, ma un rimedio eccezionale e circoscritto a specifici vizi di legalità. La presentazione di un ricorso basato su motivi non consentiti si traduce non solo in un insuccesso processuale, ma anche in una sanzione pecuniaria.

È possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento per chiedere l’assoluzione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, basandosi sull’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., una richiesta di proscioglimento non rientra tra i motivi tassativi per i quali è ammesso il ricorso contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta.

Quali sono i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
I motivi sono strettamente limitati a: vizi nell’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro un patteggiamento?
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e, come stabilito dall’art. 616 c.p.p., condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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