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Appello patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un appello patteggiamento per riciclaggio e falso. La decisione si fonda sui limiti tassativi imposti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., che impedisce di contestare la mancata verifica di cause di proscioglimento. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: la Cassazione Ribadisce i Rigidi Limiti

L’appello patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dove le possibilità di impugnazione sono notevolmente ristrette. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 21633/2024) ha confermato questa linea rigorosa, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato che contestava la propria condanna per riciclaggio e falso. Questa pronuncia offre l’occasione per analizzare i confini dell’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di accordo tra le parti.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una sentenza del GIP del Tribunale di Napoli, con la quale era stata applicata, su richiesta delle parti, una pena di 3 anni e 9 mesi di reclusione e 4.000 euro di multa a un individuo per i reati di riciclaggio e falso. L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione della sentenza in merito all’affermazione della sua responsabilità penale.

In sostanza, la difesa contestava il fatto che il giudice di primo grado non avesse adeguatamente vagliato la posizione dell’imputato prima di ratificare l’accordo sulla pena.

L’Appello Patteggiamento e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un’interpretazione netta dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla cosiddetta “Riforma Orlando” (legge n. 103/2017).

La Norma Chiave: Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Questa disposizione limita in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. La Corte ha ribadito un principio ormai consolidato: non è consentito impugnare una sentenza di applicazione della pena per lamentare la mancata verifica, da parte del giudice, dell’insussistenza di eventuali cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p. (come, ad esempio, il fatto che il reato non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso).

Il ricorso dell’imputato, basato proprio su un presunto vizio di motivazione circa la sua colpevolezza, rientrava esattamente in questa categoria di doglianze non ammesse.

Le Motivazioni della Decisione

La logica alla base della pronuncia e della norma stessa è chiara. Con la richiesta di patteggiamento, l’imputato accetta una determinata pena in cambio di benefici, rinunciando implicitamente a contestare nel merito la propria responsabilità. Consentire un’impugnazione per motivi legati alla valutazione della colpevolezza svuoterebbe di significato l’istituto del patteggiamento, trasformandolo in una mera tattica processuale anziché in una scelta consapevole e definitiva.

La Corte, citando precedenti conformi, ha sottolineato che le uniche censure ammissibili sono quelle espressamente previste dalla legge, che riguardano aspetti come l’erronea qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena concordata o la mancata osservanza di norme processuali essenziali. La valutazione sulla sussistenza del reato e sulla colpevolezza dell’imputato, invece, è un tema che si considera superato dall’accordo stesso tra le parti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di estrema importanza per la difesa penale. L’appello patteggiamento è un’opzione da valutare con estrema cautela. La decisione di accedere a questo rito alternativo comporta una rinuncia quasi totale a future contestazioni sulla responsabilità. Di conseguenza, avvocati e assistiti devono essere pienamente consapevoli che, una volta emessa la sentenza di patteggiamento, le vie d’uscita sono estremamente limitate e circoscritte a vizi specifici e formali.

Inoltre, la declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato per l’imputato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e un’ulteriore somma di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende. Ciò serve da monito contro la presentazione di ricorsi esplorativi o palesemente infondati, che finiscono per aggravare la posizione economica del condannato.

È possibile fare appello a una sentenza di patteggiamento lamentando che il giudice non ha verificato la possibile innocenza dell’imputato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in base all’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, non è consentito ricorrere contro una sentenza di patteggiamento per lamentare la mancata verifica di eventuali cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.).

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese del procedimento, ma anche a versare una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Per quale motivo la legge limita così tanto l’appello contro il patteggiamento?
La legge limita l’impugnazione perché il patteggiamento è un accordo tra l’imputato e l’accusa. Con tale accordo, l’imputato accetta la pena e, implicitamente, rinuncia a contestare nel merito la propria responsabilità. I motivi di appello sono quindi ristretti a specifici vizi di legittimità o illegalità della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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