Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20714 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20714 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a SALERNO il 07/06/1978
NOME nato a SALERNO il 10/11/1987
avverso la sentenza del 22/01/2025 del GIP TRIBUNALE di SALERNO
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa in data 22 gennaio 2025, secondo il rito di cui all’art. 444 cod. proc. pen., il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno ha applicato a NOME COGNOME la pena di anni tre di reclusione ed euro 6.000 di multa, e a NOME COGNOME la pena di anni due e mesi sei di reclusione ed euro 5.500 di multa per i reati di lesioni personali gravi, porto di arma clandestina e il Boccia anche quello di violenza privata, commessi in data 18/04/2023.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore avv. NOME COGNOME
2.1. Il ricorrente NOME COGNOME articolando un unico motivo, denuncia il vizio della motivazione, per l’erroneo calcolo della pena dovuto anche alla omessa motivazione circa il percorso logico-motivazionale per cui il giudice è giunto a detto calcolo e non ha concesso la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti.
2.2. Il ricorrente NOME COGNOME con un unico motivo, denuncia la violazione di legge, per l’omesso assorbimento del delitto di cui alla legge n. 895/1967 in quello di cui all’art. 23 legge n. 110/1975.
Entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, trattandosi di impugnazioni proposte avverso una sentenza di applicazione della pena, pronunciata dopo l’entrata in vigore della novella di cui alla legge n. 103/2017, al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.
Tale norma, introdotta dalPart. 1, comma 50, legge n. 103/2017, limita la ricorribilità in cassazione delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ai «motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza».
E’ di tutta evidenza che il ricorrente Basso denuncia, inammissibilmente, una carenza di motivazione circa l’entità della pena irrogata e il bilanciamento delle circostanze, nonostante la decisione sia conforme alla volontà delle parti e la pena irrogata non sia illegale, bensì conforme al parametro normativo, secondo cui la pena può essere diminuita «fino a un terzo».
Anche il ricorso proposto dal ricorrente COGNOME è manifestamente infondato, in quanto l’imputazione contesta separatamente la detenzione e il porto di un’arma clandestina, contenendo l’esplicita indicazione della violazione dell’art.
23, commi 1, 3 e 4, legge n. 110/1975, e tali due reati assorbono i reati di cui agli artt. 2, 4 e 7 legge n. 895/1967, come ritenuto da Sez. U, n. 41588 del
22/06/2017, La Marca, Rv. 270902, ma rimangono autonomi e perciò sono stati posti correttamente in continuazione tra loro (vedi Sez. 1, n. 27343 del
04/03/2021, Rv. 281668), non risultando, dalla sentenza, che i reati di cui alla legge n. 895/1967 siano stati anch’essi posti in continuazione con quelli di
detenzione e di porto di un’arma clandestina.
Deve perciò applicarsi il principio dettato da questa Corte, secondo cui «In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche successivamente
alla introduzione della previsione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica
del fatto è limitata ai soli casi di qualificazione palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, con conseguente inammissibilità della
denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo de provvedimento impugnato» (Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, Rv. 275971; vedi
anche Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Rv. 283023).
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 08 maggio 2025
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Il Consigliere estensore