Appello Patteggiamento: Quando il Ricorso è Inammissibile
L’istituto del patteggiamento rappresenta una scelta strategica fondamentale nel processo penale, ma quali sono le reali possibilità di contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini invalicabili dell’appello patteggiamento, confermando la rigidità dei motivi di ricorso introdotti dalla riforma del 2017. Analizziamo insieme questa decisione per comprendere le implicazioni pratiche per l’imputato.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal G.U.P. del Tribunale di Lecce. Un individuo veniva condannato a una pena di due anni e otto mesi di reclusione, oltre a una multa di 13.000,00 euro, per un reato previsto dall’articolo 73 del Testo Unico sugli Stupefacenti (D.P.R. 309/1990).
Nonostante l’accordo sulla pena, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione. Il suo unico motivo di doglianza riguardava la presunta violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 del codice di procedura penale.
I Limiti dell’Appello Patteggiamento
La questione centrale su cui la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi non riguarda il merito della richiesta dell’imputato, ma la sua ammissibilità. La legge, e in particolare l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale (introdotto dalla L. 103/2017), ha infatti posto dei paletti molto precisi alla possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento.
Questo articolo stabilisce che il ricorso è consentito esclusivamente per motivi attinenti:
1. All’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
2. Al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. All’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. All’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Qualsiasi altro motivo, per quanto fondato possa apparire, non può essere fatto valere in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha dichiarato il ricorso inammissibile in modo netto e senza necessità di ulteriori formalità. I giudici hanno evidenziato come la censura mossa dal ricorrente, relativa alla mancata declaratoria di una causa di non punibilità, non rientrasse in nessuna delle quattro categorie tassativamente previste dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
La dedotta violazione dell’art. 129 c.p.p. è un motivo che esula dal perimetro disegnato dal legislatore. Di conseguenza, il ricorso è stato considerato ‘proposto con motivo non consentito’. La Corte ha quindi applicato la procedura semplificata dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., che prevede una declaratoria di inammissibilità ‘de plano’, ovvero senza udienza.
Le Conclusioni
La decisione in esame ribadisce un principio cruciale: la scelta del patteggiamento comporta una sostanziale rinuncia a far valere gran parte delle possibili contestazioni sulla sentenza. L’appello patteggiamento non è uno strumento per rimettere in discussione l’intera vicenda processuale, ma solo un rimedio eccezionale per vizi specifici e gravi. L’imputato che accede a questo rito deve essere pienamente consapevole che le porte dell’impugnazione sono quasi del tutto sbarrate. Come conseguenza diretta dell’inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, un onere economico che si aggiunge alla pena già patteggiata.
È sempre possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’appello (ricorso per cassazione) contro una sentenza di patteggiamento è consentito solo per un numero limitato di motivi, tassativamente elencati dalla legge.
Quali sono i motivi validi per impugnare una sentenza di patteggiamento?
I motivi validi, secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., riguardano esclusivamente problemi con l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se si presenta un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Se il ricorso è basato su motivi non previsti dalla legge per l’impugnazione del patteggiamento, la Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28716 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28716 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a POLLA il 16/05/1972
avverso la sentenza del 17/02/2025 del GIP TRIBUNALE di LECCE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 17 febbraio 2025 il G.U.P. del Tribunale di Lecce ha applicato a COGNOME, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni due, mesi otto di reclusione ed euro 13.000,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito, considerato che la dedotta censura non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto d correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ex art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 giugno 2025