Appello Patteggiamento: La Cassazione Ribadisce i Limiti al Diritto di Impugnazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta uno strumento fondamentale di definizione alternativa del processo penale. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Con la recente ordinanza n. 45529/2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire la natura tassativa dei motivi di appello patteggiamento, dichiarando inammissibile un ricorso basato su censure non contemplate dalla legge.
Il Caso in Esame
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Fermo. Il ricorrente lamentava, in sintesi, una carenza di motivazione da parte del giudice di primo grado. Nello specifico, si contestava la mancata valutazione circa l’eventuale sussistenza di cause di non punibilità (previste dall’art. 129 del codice di procedura penale) e la mancanza di motivazione sul fatto di reato contestato.
I Motivi di Ricorso nell’Appello Patteggiamento
La normativa di riferimento per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento è l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione stabilisce un elenco chiuso e tassativo di motivi per cui è possibile presentare ricorso. Tali motivi sono:
1. Errata espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Qualsiasi motivo di doglianza che non rientri in questo perimetro è, per definizione, inammissibile. La logica del legislatore è quella di conferire maggiore stabilità alle sentenze che derivano da un accordo tra le parti, limitando la possibilità di rimetterle in discussione solo per vizi di particolare gravità.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha dichiarato il ricorso inammissibile “senza formalità”, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis c.p.p., confermando il suo consolidato orientamento.
Le Motivazioni
I giudici di legittimità hanno chiarito che le censure sollevate dal ricorrente – ossia la mancanza di motivazione sull’insussistenza di cause di proscioglimento e sul fatto di reato – non rientrano in alcuna delle categorie previste dal citato art. 448, comma 2-bis. Si tratta, infatti, di doglianze che attengono al merito della valutazione del giudice, un ambito precluso all’esame della Cassazione quando si tratta di una sentenza di patteggiamento. La Corte ha sottolineato come i motivi ammessi siano specifici e non possano essere estesi per analogia a contestazioni di carattere generale sulla motivazione.
Le Conclusioni
La decisione ha comportato due conseguenze dirette per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, il versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle Ammende. Quest’ultima sanzione è stata giustificata dall'”elevato coefficiente di colpa” riscontrato nella proposizione di un ricorso palesemente inammissibile. L’ordinanza, quindi, non solo chiarisce i limiti dell’appello patteggiamento, ma funge anche da monito sull’importanza di fondare le proprie impugnazioni su motivi giuridicamente validi, per non incorrere in sanzioni economiche e in una declaratoria di inammissibilità.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, la sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per i motivi specifici e tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
La mancanza di motivazione sulla non colpevolezza è un valido motivo di ricorso contro un patteggiamento?
No, secondo la Corte di Cassazione in questa ordinanza, la censura sulla mancanza di motivazione in ordine alla insussistenza di cause di non punibilità non rientra tra i motivi consentiti per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende. Nel caso di specie, la somma è stata fissata in quattromila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45529 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45529 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERIGNOLA il 16/04/1984
avverso la sentenza del 24/05/2024 del TRIBUNALE di FERMO
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza in epigrafe indicata, emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è inammissibile, per indeducibilità delle censure proposte (mancanza di motivazione in ordine alla insussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod.proc.pen. e mancanza di motivazione sul fatto di reato), che non rientrano fra quelle consentite dal vigente art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., in quanto non riguardanti motivi specifici attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’odierna impugnazione va pronunciata «senza formalità» ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo all’elevato coefficiente di colpa connotante la rilevata causa di inammissibilità, appare conforme a giustizia stabilire nella misura indicata in dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2024.