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Appello patteggiamento: i limiti fissati dalla legge

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per furto. L’analisi si concentra sui limiti dell’appello patteggiamento, che non può basarsi su una richiesta di proscioglimento, non rientrando tra i motivi tassativamente previsti dall’art. 448, co. 2-bis, c.p.p.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: La Cassazione Ribadisce i Limiti Tassativi

L’appello patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dove la volontà delle parti e le norme di legge si incontrano, creando un equilibrio delicato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i confini, molto stringenti, entro cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di accordo sulla pena. La scelta del patteggiamento, infatti, comporta una rinuncia a contestare nel merito l’accusa, limitando drasticamente le successive possibilità di ricorso. Esaminiamo la decisione per capire meglio quali sono i motivi ammessi e quali, invece, conducono a una dichiarazione di inammissibilità.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza del Tribunale di Brescia. Con tale sentenza, era stata applicata, su richiesta delle parti (patteggiamento), una pena per plurimi delitti di furto in abitazione. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di impugnare la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione per il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.

La Questione Giuridica: I Motivi di Appello Patteggiamento

Il cuore della questione risiede nella corretta interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017, ha circoscritto in modo netto le ragioni per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. L’obiettivo del legislatore era quello di deflazionare il carico giudiziario, evitando impugnazioni meramente dilatorie o basate su un ripensamento tardivo dell’imputato.

Secondo la disposizione, l’impugnazione è consentita solo per motivi attinenti a:

1. L’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento è stato viziato.
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha applicato una pena diversa da quella concordata.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato inquadrato in una fattispecie errata.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza: se la sanzione applicata è contraria alla legge.

Nel caso specifico, la difesa dell’imputato chiedeva un proscioglimento nel merito, sostenendo l’insussistenza delle condizioni per una condanna. Tuttavia, come vedremo, questa doglianza non rientra in nessuna delle quattro categorie ammesse.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con una motivazione sintetica ma estremamente chiara, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che la censura sollevata dall’imputato, relativa alla richiesta di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., è ‘indeducibile’ nel contesto di un ricorso avverso un patteggiamento. La ragione è semplice: tale motivo non è compreso nell’elenco tassativo previsto dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

La Corte ha ribadito un principio consolidato, citando anche un precedente giurisprudenziale (Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020): accedere al patteggiamento significa accettare una determinata definizione del processo, rinunciando implicitamente a contestare la propria colpevolezza nel merito. Pertanto, è del tutto illogico e processualmente scorretto tentare di ottenere, in sede di impugnazione, quel proscioglimento a cui si è implicitamente rinunciato con l’accordo sulla pena.

Le Conclusioni

La decisione in esame conferma la rigidità dei limiti imposti all’appello patteggiamento. La scelta di questo rito alternativo deve essere ponderata attentamente, poiché preclude quasi ogni possibilità di rimettere in discussione il merito della vicenda processuale. L’impugnazione rimane uno strumento eccezionale, volto a correggere errori specifici e formali, e non un’opportunità per rinegoziare l’esito del giudizio. La conseguenza di un ricorso presentato per motivi non consentiti è severa: non solo viene dichiarato inammissibile, ma il ricorrente è anche condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

È possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento per chiedere il proscioglimento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una richiesta di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., non rientra tra i motivi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale per impugnare una sentenza di patteggiamento.

Quali sono gli unici motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi dalla legge sono esclusivamente quelli che riguardano: un vizio nell’espressione della volontà dell’imputato, la mancanza di correlazione tra la richiesta delle parti e la decisione del giudice, l’erronea qualificazione giuridica del fatto, o l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa succede se si presenta un ricorso contro un patteggiamento per motivi non consentiti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Questa dichiarazione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro (nel caso specifico, quattromila euro) a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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