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Appello patteggiamento: i limiti del ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento. La decisione sottolinea che le censure proposte non rientravano nei motivi tassativi previsti dall’art. 448, co. 2-bis c.p.p., ribadendo i rigidi limiti per l’impugnazione di un appello patteggiamento e condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Patteggiamento: I Limiti del Ricorso in Cassazione

L’appello patteggiamento rappresenta una delle scelte processuali più comuni, ma cosa succede se si vuole contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi confini del ricorso, chiarendo quando l’impugnazione è destinata a essere dichiarata inammissibile. Analizziamo insieme questo caso per capire le regole del gioco e le conseguenze di un ricorso presentato al di fuori dei binari stabiliti dalla legge.

I Fatti del Caso

Un imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa (patteggiamento), veniva condannato dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Brescia a una pena di tre anni di reclusione e 1.000 euro di multa per reati quali furto in abitazione in concorso, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate.

Non soddisfatto della sentenza, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso vertevano sulla presunta nullità della sentenza, l’illegalità della pena pecuniaria e la violazione di principi costituzionali e del codice penale.

La Decisione della Corte di Cassazione: L’Inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stroncato sul nascere le doglianze del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’applicazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, una norma che definisce in modo preciso e limitato i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

La Corte ha stabilito che i motivi presentati dall’imputato non rientravano in nessuna delle categorie consentite dalla legge. Di conseguenza, il ricorso non poteva essere esaminato nel merito, portando alla sua immediata declaratoria di inammissibilità e alla condanna del ricorrente a pagare non solo le spese processuali, ma anche una cospicua somma alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Cassazione sul Ricorso per Appello Patteggiamento

Le motivazioni della Corte sono chiare e dirette, e si concentrano interamente sull’interpretazione della normativa che regola l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, introdotta con la cosiddetta “Riforma Orlando” (legge n. 103/2017).

I Motivi Tassativi dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Il cuore della decisione risiede nell’analisi dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che il ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento è consentito esclusivamente per motivi che riguardano:

1. L’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento è stato viziato.
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha deciso su qualcosa di diverso da quanto concordato tra le parti.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo palesemente sbagliato.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione viola la legge, ad esempio superando i limiti massimi.

La Corte ha evidenziato che le censure mosse dal ricorrente – relative a una generica nullità, all’illegalità della multa o alla violazione di altre norme – non rientravano in questo elenco tassativo. Pertanto, il ricorso era stato proposto per motivi non consentiti dalla legge.

La Condanna alle Spese e alla Cassa delle Ammende

Come conseguenza diretta dell’inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, ha disposto il versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende. I giudici hanno giustificato l’importo elevato sottolineando l'”elevato coefficiente di colpa” del ricorrente nel proporre un’impugnazione palesemente inammissibile, un monito a non intraprendere iniziative legali prive di un solido fondamento normativo.

Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Ordinanza

Questa ordinanza della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo che, una volta ratificato dal giudice, gode di una stabilità rafforzata. La possibilità di contestarlo è limitata a vizi specifici e gravi, elencati in modo restrittivo dalla legge. Tentare di impugnare la sentenza per motivi generici o non previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. non solo è inutile, ma espone anche a significative conseguenze economiche. Per chi sceglie la via del patteggiamento, è cruciale essere consapevoli che le porte del riesame si chiudono quasi ermeticamente, salvo la presenza di difetti procedurali ben definiti.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato e specifico di motivi, tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi specifici per cui si può impugnare un patteggiamento in Cassazione?
I motivi consentiti sono: problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra la richiesta delle parti e la decisione del giudice, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa succede se si propone un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile senza che la Corte esamini il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, il cui importo può essere anche elevato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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