Appello Patteggiamento: I Limiti del Ricorso in Cassazione
L’appello patteggiamento rappresenta una delle scelte processuali più comuni, ma cosa succede se si vuole contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi confini del ricorso, chiarendo quando l’impugnazione è destinata a essere dichiarata inammissibile. Analizziamo insieme questo caso per capire le regole del gioco e le conseguenze di un ricorso presentato al di fuori dei binari stabiliti dalla legge.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa (patteggiamento), veniva condannato dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Brescia a una pena di tre anni di reclusione e 1.000 euro di multa per reati quali furto in abitazione in concorso, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate.
Non soddisfatto della sentenza, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso vertevano sulla presunta nullità della sentenza, l’illegalità della pena pecuniaria e la violazione di principi costituzionali e del codice penale.
La Decisione della Corte di Cassazione: L’Inammissibilità del Ricorso
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha stroncato sul nascere le doglianze del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’applicazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, una norma che definisce in modo preciso e limitato i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.
La Corte ha stabilito che i motivi presentati dall’imputato non rientravano in nessuna delle categorie consentite dalla legge. Di conseguenza, il ricorso non poteva essere esaminato nel merito, portando alla sua immediata declaratoria di inammissibilità e alla condanna del ricorrente a pagare non solo le spese processuali, ma anche una cospicua somma alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Cassazione sul Ricorso per Appello Patteggiamento
Le motivazioni della Corte sono chiare e dirette, e si concentrano interamente sull’interpretazione della normativa che regola l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, introdotta con la cosiddetta “Riforma Orlando” (legge n. 103/2017).
I Motivi Tassativi dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
Il cuore della decisione risiede nell’analisi dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che il ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento è consentito esclusivamente per motivi che riguardano:
1. L’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento è stato viziato.
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha deciso su qualcosa di diverso da quanto concordato tra le parti.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo palesemente sbagliato.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione viola la legge, ad esempio superando i limiti massimi.
La Corte ha evidenziato che le censure mosse dal ricorrente – relative a una generica nullità, all’illegalità della multa o alla violazione di altre norme – non rientravano in questo elenco tassativo. Pertanto, il ricorso era stato proposto per motivi non consentiti dalla legge.
La Condanna alle Spese e alla Cassa delle Ammende
Come conseguenza diretta dell’inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, ha disposto il versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende. I giudici hanno giustificato l’importo elevato sottolineando l'”elevato coefficiente di colpa” del ricorrente nel proporre un’impugnazione palesemente inammissibile, un monito a non intraprendere iniziative legali prive di un solido fondamento normativo.
Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Ordinanza
Questa ordinanza della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo che, una volta ratificato dal giudice, gode di una stabilità rafforzata. La possibilità di contestarlo è limitata a vizi specifici e gravi, elencati in modo restrittivo dalla legge. Tentare di impugnare la sentenza per motivi generici o non previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. non solo è inutile, ma espone anche a significative conseguenze economiche. Per chi sceglie la via del patteggiamento, è cruciale essere consapevoli che le porte del riesame si chiudono quasi ermeticamente, salvo la presenza di difetti procedurali ben definiti.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato e specifico di motivi, tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi specifici per cui si può impugnare un patteggiamento in Cassazione?
I motivi consentiti sono: problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra la richiesta delle parti e la decisione del giudice, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se si propone un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile senza che la Corte esamini il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, il cui importo può essere anche elevato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13754 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13754 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/05/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di BRESCIA
dato avv o alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 2 maggio 2023 il G.I.P. del Tribunale di Brescia ha applicato a COGNOME NOME, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni tre di reclusione ed euro 1.000,00 di multa in ordine ai reati di cui agli artt. 81, 110, 624-bis e 625, comma 1, n. 2 cod. pen. (capo A); 337, 582 e 585 in relazione all’art. 576 cod. pen. (capo B).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, nullità della sentenza, illegalità della pena pecuniaria, violazione degli artt. 1, 81 cod. pen. e 25 Cost.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito.
La dedotta censura non rientra, infatti, tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ai sensi di quanto disposto dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che, avuto riguardo all’elevato coefficiente di colpa connotante la rilevata causa di inammissibilità, appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Pr s dente •