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Appello Misure di Prevenzione: la Cassazione decide

Un gruppo di persone ha proposto ricorso in Cassazione contro il rigetto di un’istanza di revoca di una confisca, misura di prevenzione patrimoniale disposta anni prima. La Suprema Corte ha stabilito che il mezzo di impugnazione corretto non è il ricorso per cassazione, bensì l’appello. Di conseguenza, ha riqualificato l’impugnazione come appello misure di prevenzione e ha trasmesso gli atti alla competente Corte d’Appello, applicando il principio di conservazione degli atti giuridici.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Misure di Prevenzione: la Cassazione fa chiarezza sulla corretta via d’impugnazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio procedurale fondamentale in materia di misure di prevenzione. La scelta del corretto mezzo di impugnazione è cruciale e un errore può avere conseguenze significative. Questo caso specifico riguarda l’appello misure di prevenzione e chiarisce quale sia il rimedio esperibile avverso un provvedimento che decide sulla revoca di una confisca. Analizziamo insieme la vicenda e la decisione della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un decreto del 2004 con cui il Tribunale di Teramo aveva applicato diverse misure di prevenzione, sia personali (come la sorveglianza speciale) che patrimoniali (la confisca di beni immobili), nei confronti di un gruppo di soggetti. A distanza di quasi vent’anni, nel febbraio 2023, gli stessi soggetti presentavano un’istanza al medesimo Tribunale per ottenere la revoca della confisca.

Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta. Avverso questo provvedimento di rigetto, gli interessati, tramite il loro difensore, decidevano di rivolgersi direttamente alla Corte di Cassazione, proponendo un ricorso per violazione di legge e difetto di motivazione.

La Decisione della Corte: la riqualificazione come appello misure di prevenzione

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha adottato una decisione di natura prettamente procedurale, ma di grande importanza pratica. I giudici hanno stabilito che l’impugnazione proposta doveva essere riqualificata.

Invece di un ricorso per cassazione, il mezzo corretto per contestare la decisione del Tribunale sulla revoca era l’appello. Pertanto, la Corte non è entrata nel merito delle doglianze sollevate dai ricorrenti, ma ha applicato il principio di conservazione degli atti giuridici, previsto dall’articolo 568, comma 5, del codice di procedura penale. Ha quindi qualificato il ricorso come appello e ha ordinato la trasmissione di tutti gli atti alla Corte d’Appello di L’Aquila, quale organo giurisdizionale competente per l’ulteriore corso del procedimento.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il Collegio ha infatti richiamato precedenti sentenze (in particolare la n. 37311/2015 e la n. 8530/2021) che hanno costantemente affermato un principio chiaro: avverso il provvedimento che decide su un’istanza di revoca o di modifica di una misura di prevenzione, il rimedio previsto dalla legge è l’appello, non il ricorso per cassazione.

Questa regola trova fondamento nella struttura del sistema delle impugnazioni, che prevede un doppio grado di giudizio di merito. L’appello consente alla Corte d’Appello di riesaminare sia i fatti che l’applicazione della legge, offrendo una valutazione completa della questione. Il ricorso per cassazione, al contrario, è un giudizio di sola legittimità, limitato a verificare la corretta applicazione delle norme giuridiche e procedurali, senza poter rivalutare i fatti. Permettere un ricorso diretto in Cassazione ‘saltando’ il grado d’appello (cd. per saltum) è un’eccezione che deve essere espressamente prevista dalla legge, cosa che non avviene in questo ambito.

Applicando l’art. 568, comma 5, c.p.p., che permette al giudice di qualificare correttamente l’impugnazione proposta, la Corte ha evitato una declaratoria di inammissibilità, che avrebbe pregiudicato il diritto di difesa dei ricorrenti, e ha garantito che la loro istanza fosse esaminata dal giudice competente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame è un importante promemoria sull’importanza della precisione procedurale. La scelta del corretto mezzo di impugnazione non è un mero formalismo, ma una condizione essenziale per l’efficacia dell’azione legale. In materia di misure di prevenzione, la strada maestra per contestare una decisione sulla revoca o modifica è l’appello. Affidarsi direttamente alla Cassazione costituisce un errore che, sebbene in questo caso sanato dalla Corte tramite la riqualificazione dell’atto, può comportare ritardi e complicazioni. Questa pronuncia riafferma la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, che non solo risolve i casi concreti, ma fornisce anche indicazioni chiare per orientare la corretta applicazione del diritto processuale.

Qual è il rimedio corretto contro un provvedimento che nega la revoca di una misura di prevenzione?
Secondo la Corte di Cassazione, il rimedio corretto è l’appello alla Corte d’Appello competente e non il ricorso per cassazione.

Cosa succede se si presenta un ricorso per cassazione invece di un appello in questi casi?
Il giudice, in applicazione dell’art. 568, comma 5, del codice di procedura penale, può qualificare correttamente l’impugnazione come appello e trasmettere gli atti al giudice competente (la Corte d’Appello), evitando così una declaratoria di inammissibilità.

Perché la Corte di Cassazione ha deciso di riqualificare l’impugnazione invece di dichiararla inammissibile?
La Corte ha applicato il principio di conservazione degli atti giuridici, che mira a salvaguardare gli effetti degli atti processuali, anche se erroneamente qualificati dalla parte, per garantire la massima tutela del diritto di difesa e assicurare che la questione venga decisa nel merito dal giudice competente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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