Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15161 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in ALBANIA 1’08/05/1985
avverso l’ordinanza del 20/07/2023 della CORTE di APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
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Con sentenza in data 3 febbraio 2023, il Tribunale di Torino aveva condannato NOME COGNOME alla pena di 4 anni e 3 mesi di reclusione e di 1.500,00 euro di multa.
1.1. Avverso tale sentenza aveva proposto appello lo stesso COGNOME per il tramite del suo difensore di fiducia. Tuttavia, con ordinanza in data 20 luglio 2023 la Corte di appello di Torino aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione, rilevando che il Difensore era privo di procura speciale ad impugnare rilasciata dall’imputato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e che non vi era stata la dichiarazione o la elezione di domicilio ai fini della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di app come, invece, prescritto dall’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen.
1.2. Avverso tale ordinanza, in data 7 ottobre 2024, l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOMECOGNOME aveva presentato istanza di revisione alla Corte di appello di Milano, rilevando che, nel caso di specie, l’imputato era stato dichiarato latitante, sicché l’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen. non avrebbe dovuto trovare applicazione, lamentando la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e 6, comma 3, lett. c) e d), della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, relative al giusto processo e chiedendo la “riapertura del processo”. Nella medesima richiesta, peraltro, si era anche osservato che, in ogni caso, secondo la Corte di cassazione l’art. 581, comma 1 -ter, cod. proc. pen. richiedeva il mero deposito della dichiarazione o dell’elezione di domicilio effettuata nel corso del procedimento, anche se in epoca precedente alla sentenza di primo grado e nella fase delle indagini preliminari; e che COGNOME risultava domiciliato presso il proprio difensore sin dalla fase delle indagini preliminari, apparendo pertanto ultronea una ulteriore dichiarazione o elezione di domicilio successiva alla sentenza di primo grado, tanto più che, come detto, egli era latitante. Dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto addivenire a una interpretazione «meno formalistica» dell’art. 581, comma 1 – quater, cod. proc. pen., coerentemente con la giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui l’applicazione, da parte delle corti nazionali, di formalità ingiustificate o irragionevoli nella proposizion di un ricorso rischia di violare il diritto di accesso alla giustizia, compromettendolo nella sua essenza (Corte Edu, 12 luglio 2016, COGNOME c. Francia; 5 novembre 2015, COGNOME c. Francia; Beles e a. c. Repubblica ceca, 2002; Zvolské c. Repubblica Ceca, 2002). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In data 9 gennaio 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, come condivisibilmente rilevato dalla Corte di appello di Torino, l’istanza formulata dalla Difesa di COGNOME, pur qualificata come revisione, deve essere correttamente ricondotta all’alveo delle richieste di restituzione nel termine per proporre impugnazione.
Ne consegue che essa deve essere devoluta alla cognizione del giudice dell’esecuzione, nella specie individuato nella Corte di appello di Torino, soltanto quando l’istanza, ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., sia logicamente subordinata all’accertamento della validità del titolo esecutivo (Sez. 1, n. 46226 del 28/09/2004, Merah, Rv. 230157 – 01) e, dunque, sia accompagnata dalla richiesta di declaratoria di non esecutività della sentenza per invalidità della notificazione e, quindi, per inesistenza del titolo esecutivo (cfr. Sez. 1, n. 16645 del 20/04/2010, COGNOME, Rv. 247561 – 01). Nondimeno, nel caso di specie, la richiesta in esame non conteneva alcun riferimento al titolo esecutivo, essendo stata proposta esclusivamente per ottenere la restituzione nei termini ai sensi dell’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen. e, dunque, per impugnare l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, di modo che la competenza a decidere appartiene, funzionalmente, al giudice dell’impugnazione, secondo quanto stabilito dall’art. 175, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 29114 del 23/05/2019, COGNOME Rv. 277017 – 01; Sez. 1, n. 36357 del 20/05/2016, COGNOME Rv. 268251 – 01; Sez. 1, n. 15526 del 07/04/2006, COGNOME, Rv. 234134 – 01), correttamente identificato dalla Corte di appello torinese nella Corte di cassazione.
Tanto premesso, va osservato che la Corte territoriale ha fondato la declaratoria di inammissibilità sull’art. 581, commi 1 -ter e quater, cod. proc. pen., che all’epoca prescrivevano il deposito dello specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza da impugnare e contenente la dichiarazione o elezione di domicilio.
Secondo la difesa, tuttavia, tale disposizione non sarebbe stata applicabile, in considerazione dello status di latitante dell’imputato, di modo che COGNOME avrebbe dovuto essere rimesso nei termini per proporre ricorso per cassazione.
Rileva, sul punto, il Collegio che la declaratoria di inammissibilità dell’appello è avvenuta nel rispetto della normativa applicabile ratione temporis e, dunque, prima delle modifiche introdotte dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024, la quale ha ristretto l’obbligo di cui all’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen. al solo imputato – giudicato in assenza – difeso di ufficio.
Al contrario, la disciplina anteriore esigeva sempre, a pena di inammissibilità, per l’imputato giudicato in assenza, il deposito con l’atto di impugnazione di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronunzia della sentenza e contenente la
dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione d decreto di citazione a giudizio.
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Alla situazione ora descritta, relativa all’assente, la giurisprudenza di legittimit equipara, come ribadito anche recentemente, il caso dell’imputato latitante, al quale
pertanto è parimenti tenuto al rilascio dello specifico mandato a impugnare e alla dichiarazione o elezione di domicilio, tenuto conto del chiaro tenore delle disposizioni
richiamate e dell’assenza di eccezioni in ordine alla posizione processuale del latitante
(Sez. 6, n. 45842 del 19/11/2024, Albornoz, Rv. 287340 – 01; Sez. 1, n. 25935 del
16/04/2024, COGNOME, Rv. 286598 – 01; nella giurisprudenza successiva v. Sez.
1, n. 47240 del 22/11/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 42531 del
24/10/2024, COGNOME, non massimata). Infatti, ove si ritenesse che la disciplina in questione non si applicasse al latitante si accederebbe a un’interpretazione incoerente
con il sistema processuale delle impugnazioni come riformato con l’introduzione di essa. Ciò in quanto l’imputato latitante non è, per ciò solo, impossibilitato a prendere
contatti con il suo difensore, a concordare con lui strategie difensive, a rilasciargl nomine o ad affidargli altri incarichi, pur potendo la sua condizione rendere più
difficoltosa l’attività richiesta, ma non tanto da giustificare la predisposizione trattamenti processuali di favore.
Nel caso di specie, come detto, COGNOME non aveva provveduto all’indicato adempimento, sicché del tutto correttamente era stata dichiarata la inammissibilità dell’appello, donde la manifesta infondatezza dell’odierno ricorso.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 25 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente n