Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17310 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17310 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2025
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 553/2025
IRENE SCORDAMAGLIA
UP – 30/04/2025
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. 6554/2025
NOME COGNOME
NOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a PALERMO il 30/08/1960
avverso la sentenza del 21/01/2025 della Corte d’appello di Palermo Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica dell’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il 21 gennaio 2025 dalla Corte di appello di Palermo, che ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la decisione del Tribunale di
Palermo del 15 marzo 2024, che lo aveva condannato per il reato di furto aggravato di energia elettrica.
La ragione di inammissibilità è stata individuata dalla Corte territoriale nella violazione dell’art. 581, comma 1ter , cod. proc. pen. applicabile ratione temporis , giacché l’appello (presentato il 27 marzo 2024) non era corredato dalla necessaria elezione di domicilio né conteneva un richiamo ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio.
Avverso detta sentenza ricorre l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, lamentando che l’imputato era presente all’udienza dinanzi alla Corte di appello che, su richiesta della difesa, aveva disposto la trattazione orale del procedimento ed aveva ricevuto regolarmente la notifica del decreto di citazione in appello sia presso la casa di abitazione, sia ai sensi dell’art. 157bis , comma 1, cod. proc. pen.
La violazione di una norma processuale, oggi abrogata, era stata sanata dalla presenza dell’imputato all’udienza, senza pregiudizio per le attività di Cancelleria.
A sostegno della censura, il ricorrente ricorda come il diritto ad impugnare costituisca un precipitato degli artt. 13, 24, 27 e 111 Cost. e dell’art. 14 § 5 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Patricolo contro Italia del 23 maggio 2024, in cui, sebbene in un settore diverso, l’Italia è stata condannata per eccessivo formalismo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, affinché si proceda alla celebrazione del giudizio di appello.
La doverosa verifica degli atti processuali funzionale a controllare la correttezza della decisione avversata ha permesso di verificare che l’imputato appellante NOME COGNOME
aveva ricevuto notifica a mani proprie del decreto di citazione per il giudizio di appello il 20 settembre 2024,
aveva presenziato al giudizio di appello,
non aveva sollevato eccezioni circa la notifica in suo favore del decreto di citazione per quel giudizio.
Ciò posto, è necessario interrogarsi sulla rilevanza di questi indiscussi dati di fatto rispetto alla tenuta della sentenza di inammissibilità impugnata, pur a
fronte di un altro dato incontestato, ossia che all’atto di appello di COGNOME non era allegata alcuna dichiarazione o elezione di domicilio, né l’una o l’altra erano richiamate nel corpo dell’impugnazione medesima.
2. Nell’affrontare tale interrogativo, un riferimento esegetico di assoluto rilievo è la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 13808 del 24/10/2024, depositata l’8 aprile 2025 (successivamente alla sentenza impugnata e al ricorso), ricorrente COGNOME decisione che ha dato innanzitutto risposta all’interrogativo ” Se la previsione, a pena di inammissibilità, del deposito, insieme con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, della dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.), debba essere interpretata nel senso che, ai fini indicati, sia sufficiente la sola presenza in atti della dichiarazione o elezione di domicilio, benché non richiamata nell’atto di impugnazione od allegata al medesimo “.
A fronte di questo quesito, la sentenza COGNOME ha sancito che ” L’onere del deposito dell’elezione o della dichiarazione di domicilio, previsto, a pena di inammissibilità dell’atto d’impugnazione, dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., può essere assolto anche con il richiamo espresso e specifico, in esso contenuto, ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca indicazione de/luogo in cui eseguire la notificazione “.
La Sezioni Unite, chiamate anche a precisare quale fosse l’ambito temporale di applicabilità della norma di cui all’art. 581, comma 1ter , cod. proc. pen., pur a fronte della sua abrogazione, ha altresì sancito che ” La disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024 “.
Orbene, prendendo le mosse da quest’ultimo principio, va innanzitutto escluso che il ricorrente possa giovarsi dell’abrogazione nelle more intervenuta dell’art. 581, comma 1ter , cod. proc. pen. perché l’appello era stato presentato prima del 24 agosto 2024, sicché all’impugnazione presentata si applicava ancora la disposizione oggi espunta dall’ordinamento.
Neanche l’altro principio affermato dalla sentenza COGNOME è di immediato rilievo in bonam partem nella presente regiudicanda, dal momento che, nel caso di Raccuglia, la dichiarazione o l’elezione di domicilio non solo non erano allegate all’atto di appello, ma non erano neanche richiamate nel corpo dell’impugnazione medesima.
Quello che, tuttavia, orienta comunque la decisione in senso favorevole alle ragioni del ricorrente è la ricostruzione della ratio della disposizione di cui all’art. 581, comma 1ter , cod. proc. pen., che si deve alla sentenza COGNOME, ratio che come ripetutamente sottolineato dalle Sezioni Unite è esclusivamente quella di agevolare la citazione a giudizio dell’appellante; tale dato, peraltro, emerge nitidamente dallo stesso dettato normativo, che specifica che la dichiarazione o l’elezione di domicilio sono funzionali a consentire la « notificazione del decreto di citazione a giudizio », dando così attuazione dell’art. 1, comma 13, lett. a della l. 27 settembre 2021, n. 134, recante la delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
Se, dunque, lo scopo della norma è quello di garantire la vocatio in ius dell’imputato appellante, tale scopo, nel caso di specie, è stato conseguito con la presentazione dell’imputato all’udienza e con la sua partecipazione al giudizio di appello, senza che fosse stata sollevata alcuna eccezione sulla notifica del decreto di citazione a giudizio, notifica che, comunque, come sostenuto dallo stesso ricorrente e come rilevato dagli atti, si era perfezionata mediante notifica a mani proprie dell’imputato.
Ne consegue che la pur avvenuta divaricazione rispetto alla regola enunciata a pena di inammissibilità dal legislatore oggi non più applicabile per le impugnazioni presentate a far data dal 25 agosto 2024 deve essere ridimensionata nei suoi effetti concreti, perché la funzione della formalità omessa era stata comunque conseguita a prescindere dalla dichiarazione o elezione di domicilio e l’applicazione della norma previgente da parte della Corte territoriale, pur formalmente corretta, nei fatti ha costituito un’ingiustificata compressione del diritto di accesso al giudizio impugnatorio, del tutto stravagante ed ultronea rispetto alla ratio legis e non in linea con la disciplina convenzionale sul punto.
A questo riguardo, si osserva, infatti, come le Sezioni Unite abbiano rimarcato la necessità di attuare un’esegesi convenzionalmente orientata delle disposizioni che regolano il diritto di accesso al giudizio impugnatorio, pena la sostanziale mortificazione di tale diritto, garantito dall’art. 6, par. 1, CEDU (richiamando Corte EDU, 28/10/2021, Succi e altri c. Italia). L’autorevole precedente ha altresì ricordato che, in questa stessa direzione, si pongono l’art. 14, par. 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l’art. 2 del Protocollo n. 7 della CEDU, che prevedono il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato.
A questa stessa conclusione, prima che le Sezioni Unite venissero investite della tematica, era già giunta Sez. 5, n. 21005 del 08/03/2024, C, Rv. 286391 01, sia pure in un caso in cui l’imputato non aveva presenziato al giudizio di appello che si era tenuto con rito cartolare ma comunque la notifica era stata regolarmente effettuata presso il suo indirizzo di residenza; ebbene, anche nella sentenza appena evocata, il Collegio aveva esaltato la ratio legis alla base dell’introduzione dello sbarramento di ci all’art. 581, comma 1ter , cod. proc. pen., dando rilievo, nel senso dell’ammissibilità dell’appello, alla circostanza che l’effetto che la riforma intendeva perseguire si era comunque realizzato grazie alla regolare instaurazione del contraddittorio.
Da tanto consegue la fondatezza del ricorso e la necessità di annullare con rinvio la sentenza impugnata, onde consentire la celebrazione del giudizio di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo
Così deciso il 30/04/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME