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Appello inammissibile: Domicilio mancante, ricorso out

La Corte di Cassazione ha confermato la declaratoria di appello inammissibile per un imputato giudicato in assenza. La causa risiede nella mancata elezione di domicilio nell’atto di impugnazione, un requisito formale introdotto dalla Riforma Cartabia. La Corte ha chiarito che la semplice indicazione della residenza non è sufficiente a soddisfare la norma, sottolineando l’importanza del rigore formale negli atti processuali.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Inammissibile: La Trappola Formale dell’Elezione di Domicilio

Nel complesso mondo della procedura penale, i dettagli formali possono fare la differenza tra una difesa efficace e un appello inammissibile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22306/2024) ha ribadito con forza questo principio, facendo luce su uno dei requisiti introdotti dalla Riforma Cartabia per l’impugnazione da parte dell’imputato giudicato in assenza: la dichiarazione o elezione di domicilio. Vediamo insieme cosa è successo e quali lezioni possiamo trarne.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale inizia con la condanna di un uomo da parte del Tribunale di Lecce per violazioni contributive. Il suo difensore propone appello, ma la Corte d’appello lo dichiara immediatamente inammissibile. Il motivo? L’imputato era stato processato in assenza e, nell’atto di impugnazione, mancava un elemento cruciale richiesto dalla legge: la dichiarazione o elezione di domicilio per le notifiche del giudizio d’appello.

Nonostante il difensore avesse allegato uno specifico mandato ad impugnare, non aveva inserito questa indispensabile dichiarazione, violando così uno dei requisiti di ammissibilità previsti dalla normativa. Di conseguenza, l’impugnazione è stata bloccata sul nascere, senza nemmeno entrare nel merito delle questioni sollevate. Contro questa decisione, il difensore ha proposto ricorso per Cassazione.

L’Appello Inammissibile secondo la Cassazione

Il nucleo del ricorso alla Suprema Corte si basava su una tesi difensiva precisa: l’indicazione della residenza dell’imputato, presente sia nella nomina del difensore sia nell’atto di appello, avrebbe dovuto essere considerata equivalente alla dichiarazione di domicilio. Secondo il ricorrente, se domicilio e residenza coincidono, la semplice menzione della residenza dovrebbe bastare.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto categoricamente questa interpretazione. I giudici hanno chiarito che la tesi difensiva è “del tutto sfornita di supporto normativo”.

La Distinzione tra Residenza e Domicilio

La sentenza sottolinea un punto fondamentale: l’indicazione della residenza è un requisito già richiesto per la nomina del difensore e ha una sua finalità. La dichiarazione o elezione di domicilio, introdotta dall’art. 581, comma 1-quater del codice di procedura penale, è un atto distinto, aggiuntivo e specifico, finalizzato a garantire la corretta notificazione degli atti nel giudizio di impugnazione per l’imputato assente. Non si tratta di una formalità superflua, ma di una precisa volontà del legislatore di assicurare che l’imputato che sceglie di non partecipare al processo abbia comunque un canale certo per ricevere le comunicazioni.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono lapidarie. La norma richiede una “dichiarazione o l’elezione di domicilio” e non ammette equipollenti. Confondere questo atto specifico con la generica indicazione della residenza significa contestare il significato letterale e la ratio della legge. L’obiettivo della norma è proprio quello di responsabilizzare l’imputato assente, costringendolo a prendere una posizione chiara su dove vuole ricevere le notifiche per la fase successiva del processo. La mancata osservanza di questa prescrizione, imposta a pena di inammissibilità, non lascia spazio a interpretazioni estensive.

La Corte ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della cassa delle ammende.

Le Conclusioni

Questa pronuncia offre una lezione cruciale per tutti gli operatori del diritto: le riforme processuali, come la Riforma Cartabia, introducono novità che devono essere studiate e applicate con il massimo rigore. Nel caso dell’imputato assente, l’atto di appello deve contenere, oltre al mandato specifico, anche una chiara ed esplicita dichiarazione o elezione di domicilio. La semplice indicazione della residenza non è sufficiente. Omettere questo passaggio porta a una conseguenza drastica: un appello inammissibile, che preclude ogni possibilità di discutere il merito della sentenza di condanna e la rende definitiva.

Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello?
L’appello è stato ritenuto inammissibile perché, essendo stato l’imputato processato in assenza, il suo difensore non ha incluso nell’atto di impugnazione la specifica dichiarazione o elezione di domicilio, un requisito obbligatorio previsto a pena di inammissibilità dall’articolo 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale.

La semplice indicazione della residenza dell’imputato può sostituire l’elezione di domicilio?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’indicazione della residenza è un atto distinto e non può essere equiparata alla formale dichiarazione o elezione di domicilio richiesta dalla legge per l’ammissibilità dell’appello dell’imputato assente.

Quali sono state le conseguenze finali per il ricorrente?
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile anche il ricorso contro la decisione della Corte d’appello. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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