Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15802 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15802 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME CODICE_FISCALE nato in Tunisia il 23/10/1991 avverso la sentenza del 27/09/2024 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità
del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza depositata in data 27 settembre 2024 la Corte di appello di Firenze ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME avverso la sentenza pronunciata nei suoi confronti il 22 maggio 2023 dal Tribunale di Firenze, con la quale lo stesso, giudicato in assenza, è stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, per aver detenuto a fini di cessione sostanza stupefacente del tipo resina di cannabis da cui erano ricavabili circa 56 dosi e condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 1032 di multa, pena sospesa.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione, in difesa dell’imputato, l’avvocato NOME COGNOME che deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 581, commi 1-ter e 1-quater cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.
Si osserva che le norme che prevedono, in caso di assenza, che con l’atto di impugnazione occorra depositare procura speciale ad impugnare ed elezione di domicilio (artt. 581, comma 1-ter e 581, comma 1-quater cod. proc. pen.) sono state abrogate o comunque interpolate dall’art. 2, comma 1, lett. o, legge 9 agosto 2024 e si insiste per l’applicazione dell’indicata deposizione processuale, in quanto più favorevole, indipendentemente dal momento in cui l’atto è stato posto in essere e quindi anche per le impugnazioni proposte prima del 25 agosto 2024, come quella del ricorrente che era stato giudicato in assenza e che non era corredata, in quanto assistito da difensore di fiducia (e non d’ufficio, per il quale l’obbligo permane tuttora), da specifico mandato ad impugnare ed apposita elezione di domicilio.
Si rappresenta che nel codice di procedura penale non vi è alcun riferimento testuale che sancisca espressamente l’applicazione del principio del tempus regit actum alla fase processuale, posto che la regola della irretroattività è contenuta nell’art. 11 disp. prel. cod. civ. e che l’affermazione rigida del principio lede principio di ragionevole prevedibilità, poiché, rendendo immediatamente applicabile qualsivoglia modifica legislativa, ad atti di un processo penale pendete, si lede il principio dell’affidamento.
Si analizzano altresì il rapporto sussistente tra la norma penale sostanziale e la norma penale processuale e le ragioni sulle quali si fonda il tentativo di estendere il principio di retroattività favorevole, disciplinato nell’art. 2 cod. pe anche a norme di natura processuale.
In conclusione, si chiede di cassare la sentenza oggetto di gravame nella parte in cui ritiene inammissibile l’appello presentato in quanto non accompagnato da uno specifico mandato ad impugnare rilasciato all’imputato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e dichiarare il principio secondo cui il dettato di cui all’art. 2 cod. pen. è applicabile anche alla disciplina processualistica relativa alla successione di norme intervenute in relazione all’articolo 581 cod. proc. pen.
3. Il Sost. Proc. generale con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, in applicazione dei principi espressi da Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, Rv. 285900-01; Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Rv. 285324-01, dovendo ritenersi che la normativa applicabile al momento della sentenza di primo grado e la proposizione dell’atto di appello era la disciplina previgente alla legge 9 agosto 2024, n. 114 – recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare” e che, considerato che trattasi di norma processuale, deve trovare applicazione la precedente disciplina, come correttamente affermato nella sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è inammissibile, perché si fonda su una serie di doglianze, tutte relative all’art. 581, comma 1-ter e comma 1-quater, cod. proc. pen., che si palesano manifestamente infondate.
1.1. In premessa, va chiarito che nel caso in esame viene in rilievo (solo) la fattispecie di cui al comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen., essendosi proceduto in assenza dell’imputato, e che su tale articolo ha inciso l’art. 2, comma 1, lett. o, legge 9 agosto 2024, n. 114, abrogando il disposto di cui al comma Iter e, per quanto rileva in questa sede, interpolando quello di cui al comma 1quater, mediante l’inserimento della indicazione “di ufficio”, per cui dal 25 agosto 2025 solo in caso di impugnazione proposta dal difensore “di ufficio” di imputato assente continua ad essere richiesto, a pena di inammissibilità, il deposito dello specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, restando, per converso, esclusa l’applicazione di tale disposizione al caso, disciplinato dalla normativa previgente (che non distingueva tra il difensore di ufficio e quello di fiducia, menzionando genericamente il “difensore”), in cui l’impugnazione venga presentata dal difensore di fiducia, come nel caso di specie.
Tanto premesso, va ribadito che la prima delle due disposizioni, ossia quella di cui all’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., in relazione alla quale si sono pronunciate (allo stato solo con informazione provvisoria) le Sezioni Unite, è funzionale alla “vocatio in iudicium” (in questo senso Sez. 6, n. 22287 del 10/04/2024, Fall, Rv. 286625-01), mentre il disposto di cui all’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen., mira a garantire all’imputato la sicura conoscenza dell’incedere della progressione processuale e risponde all’esigenza che il giudizio di impugnazione si svolga nei confronti di un assente “consapevole” (Sez. 2, n. 47927 del 20/10/2023, COGNOME, Rv. 285525-01; Sez. 6, n. 2323 del 07/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285891-01).
1.2 Chiarite le differenze tra le due disposizioni e la circostanza che solo quella prevista dall’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. viene in rilievo, lo si ribadisce, nel caso in esame, non emergono le dedotte violazioni delle norme costituzionali, condividendo questo collegio il principio già affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24, 27 e 111 Cost., in quanto tali disposizioni, laddove richiedono che unitamente all’atto di impugnazione siano depositati, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio e,
quando si sia proceduto in assenza dell’imputato, lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, non comportano alcuna limitazione all’esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all’imputato, ma regolano solo le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore, sicché essi non si pongono in contrasto né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né con presunzione di non colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge (tra le altre, Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285900; Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324).
1.3 Manifestamente infondati sono i motivi volti alla enunciazione del principio secondo cui il dettato dell’art. 2 cod. pen. sarebbe applicabile anche alla disciplina processualistica relativa alla successione di norme intervenute in relazione all’articolo 581 cod. proc. pen., e ciò in ragione della circostanza che secondo il diritto vivente e l’interpretazione che la Consulta offre delle disposizioni di cui agl artt. 11 e 12 preleggi, in uno all’art. 2 cod. pen., la regola del tempus regit actum vige in materia processuale in applicazione del principio generale dell’irretroattività della legge fissato dall’art. 11, comma primo, delle preleggi rispetto al quale si pone come norma derogatoria, ispirata al principio del favor rei, la disciplina dettata dall’art. 2, comma terzo, cod. pen. in materia di successione di leggi penali nel tempo; disciplina, quest’ultima, applicabile alle sole norme penali sostanziali, ossia quelle il cui contenuto incida direttamente sul precetto o sulla sanzione, senza che possa ammettersi una sua applicazione alle norme processuali o la configurabilità di una sorta di tertium genus, costituito da norme qualificabili al tempo stesso come sostanziali e processuali, dovendosi invece, nei casi dubbi, verificare quale sia, in ogni singola disposizione, il carattere prevalente e determinante, per stabilire poi, in base ad esso, la classificazione da attribuire alla disposizione stessa (in questo senso, Sez. 1, n. 7385 del 05/06/2000, COGNOME, Rv. 216255-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Deve dunque ritenersi, in linea con la giurisprudenza costante di questa Corte, che, per quanto rileva in questa sede, anche per le impugnazioni proposte nella vigenza del comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen., come introdotto dal d. Igs. n. 150/2022, (come per quelle di cui al comma 1-ter del citato articolo) vige il principio per cui essa continua ad essere valutata, sotto il profilo della sua ammissibilità, alla stregua di tali disposizioni (in questo senso, con riferimento alla disciplina introdotta dalla legge n. 103 del 2017, Sez. 3, n. 843 del 15/11/2019, Olmo, dep. 2020, Rv 277440-01; Sez. 4. n. 7982 del 11/02/2021, n. 7982, Lamura, Rv 280599-01), tesi che trova la sua ratio nel più generale principio del tempus regit actum che regola la successione nel tempo delle leggi processuali
penali (cfr. Sez. 6, n. 14051 del 25/02/2020, Russo, Rv. 278843-01 e Sez. 2 n.
44678 del 16/10/2019, COGNOME Rv. 278000-01, che hanno precisato che il principio
tempus regit actum, si applica solo alla successione nel tempo delle leggi
processuali e non anche al mutamento delle interpretazioni giurisprudenziali di queste ultime).
1.4 Alla luce di queste considerazioni, nessuna censura può essere mossa alla
Corte di appello che, nel dichiarare inammissibile l’appello proposto dal difensore di fiducia il 14 ottobre 2023, e dunque nella vigenza della disposizione poi
interpolata dalla legge n. 114 del 2024 – in ragione del fatto che, essendosi proceduto nei confronti di un imputato assente, all’atto di impugnazione andava
allegato lo specifico mandato ad impugnare con elezione di domicilio, che nel caso di specie difettava, e ciò anche se il difensore è di fiducia, posto che la norma
vigente al momento della proposizione del gravame non distingueva tra difensore di fiducia e di ufficio – ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi di dir
in tema di successione di leggi processuali e, nello specifico, in relazione all’art.
581, comma
1-quater, cod. proc. pen.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere per il ricorrente del pagamento delle spese del procedimento nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e dalla somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 01/04/2025.