Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 140 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 140 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SERRADIFALCO il 18/07/1952
avverso l’ordinanza del 30/05/2024 della Corte d’appello di Bologna Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sost. Procuratore generale, COGNOME che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
L’ordinanza impugnata è stata pronunziata dalla Corte di appello di Bologna il 30 maggio 2024 ed ha sancito l’inammissibilità dell’atto di appello presentato nell’interesse di NOME COGNOME condannato dal Tribunale di Bologna per un reato fallimentare.
La declaratoria di inammissibilità dell’appello fonda sulla mancata allegazione all’atto di appello dello specifico mandato ad impugnare e della elezione di domicilio di cui all’art. 581, comma 1 -quater cod. proc. pen.
L’imputato ha presentato ricorso a mezzo del proprio difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge processuale perché sarebbe fallace il presupposto del ragionamento della Corte territoriale, vale a dire che l’imputato fosse stato giudicato in assenza, posto che in primo grado non vi sarebbe stata alcuna dichiarazione di assenza. Il ricorrente sottolinea, inoltre, che, nel corso del giudizio di primo grado, aveva rilasciato espresso mandato all’Avv. NOME COGNOME per assisterlo in quella fase e nelle successive.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso la parte eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. per contrasto con l’art. 24, comma 2, Cost., in quanto la relativa disciplina pregiudicherebbe il diritto di difesa dell’imputato. Il ricorrente sostiene che l’attrito con la norma costituzionale deriverebbe dalla circostanza che viene impedita la celebrazione del giudizio di appello ad un imputato che ha legittimamente scelto di non partecipare al processo – del quale è perfettamente consapevole – e che è assistito dal medesimo difensore che lo ha seguito nei precedenti gradi di giudizio, al quale ha rilasciato regolare nomina anche per i successivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va pertanto respinto.
Occorre precisare, in via preliminare, che la questione posta dal ricorso è di ordine processuale, sicché questa Corte è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito dal Giudice a quo per giustificarla. La Corte di cassazione, infatti, in presenza di una censura di carattere processuale, può e deve prescindere dalla motivazione offerta nel provvedimento impugnato e, anche accedendo agli atti, deve valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, quand’anche non correttamente giustificata o giustificata solo a posteriori (Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 275636; Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, COGNOME e altri, Rv. 255515; in termini, Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, COGNOME ed altri, Rv. 221322). Per addivenire a questo risultato, alla Corte di cassazione è riconosciuto il ruolo di Giudice «anche del fatto», che, per risolvere la questione in rito, può e deve accedere all’esame dei relativi atti processuali, viceversa precluso quando si tratti di vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F e altri, Rv. 273525; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 255304).
La declaratoria di inammissibilità dell’appello fonda sulla mancata allegazione dello specifico mandato ad impugnare e dell’elezione di domicilio dell’imputato assente in primo grado richiesta dall’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen.
2.1. Ebbene, tenuto conto di quanto sostenuto nel ricorso – cioè che mancherebbe il presupposto essenziale per l’applicazione dell’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen., ossia la dichiarazione di assenza dell’imputato, che non sarebbe mai avvenuta – è stato necessario effettuare una prima verifica in questa direzione; verifica che ha fatto emergere una realtà processuale diversa da quella prospettata nel ricorso, posto che, all’udienza del 12 aprile 2022 dinanzi al Collegio di prime cure, COGNOME era stato dichiarato assente.
2.2 La seconda verifica ha riguardato i contenuti e gli allegati dell’appello e ha confermato quanto si legge nell’ordinanza impugnata, cioè che mancavano sia il mandato ad impugnare che la dichiarazione o elezione di domicilio, elezione di domicilio che era solo indicata nell’atto di appello, sottoscritto, tuttavia, dal solo difensore.
Se ne deve dedurre che la declaratoria di inammissibilità dell’appello oggi impugnata è avvenuta nel rispetto della normativa applicabile ratione temporis, prima delle modifiche legate alla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024, che ha ristretto l’obbligo di cui all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. al solo imputato – giudicato in assenza – difeso di ufficio. La disciplina anteriore alla I. 114, cit., infatti, esigeva sempre, a pena di inammissibilità, per l’imputato giudicato in assenza, il deposito con l’atto di impugnazione di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronunzia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
2.3. Circa la perdurante applicabilità del testo appena ricordato anche al caso di un imputato giudicato sì in assenza, ma difeso di fiducia, un’indicazione di indubbio rilievo esegetico può essere tratta dalla recentissima decisione delle Sezioni Unite di questa Corte del 24 ottobre 2024 sulla previsione di cui all’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., oggetto di diffusione con informazione provvisoria.
Tale decisione – benché concernente norma diversa da quella che deve trovare applicazione per Giambra – si rivela, infatti, utile sia per escludere che le modifiche normative successive al deposito dell’appello dichiarato inammissibile siano rilevanti nella specie, sia per verificare l’attuale rilevanza dell’altra causa di inammissibilità dell’appello, cioè la mancanza della
dichiarazione o elezione di domicilio pure richieste dall’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen.
Le Sezioni Unite si sono pronunziate sulle seguenti questioni controverse:
«Se ai fini della perdurante applicazione della disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. – abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – si debba avere riguardo alla data della sentenza impugnata ovvero alla data di presentazione dell’impugnazione.
Se la previsione, a pena di inammissibilità, del deposito, insieme con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, della dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 581, comma 1-ter, cod. pen.), debba essere interpretata nel senso che, ai fini indicati, sia sufficiente la sola presenza in atti della dichiarazione o elezione di domicilio, benché non richiamata nell’atto di impugnazione od allegata al medesimo».
Riguardo ai quesiti predetti, il NOME Consesso si è espresso nei termini di seguito precisati:
«La disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024.
La previsione ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione».
Dalla lettura combinata dei quesiti e dell’informazione provvisoria (le motivazioni della sentenza, alla data dell’odierna decisione, non sono state depositate), sembra potersi ricavare, dunque, che:
la novella ex art. 2, lett. o), I. 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – che ha abrogato il comma 1-ter dell’art. 581 cod. proc. pen. – non si applica alle impugnazioni, come quella sub iudice, presentate prima della sua entrata in vigore;
ai fini dell’ammissibilità di un’impugnazione rientrante nel regime ante novella, non è sufficiente che in atti vi sia una precedente dichiarazione o elezione di domicilio, ma è necessario che l’atto di impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo
processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione.
In particolare, quanto a quest’ultimo aspetto, il Collegio ha rilevato come l’interpretazione letterale dell’informazione provvisoria delle Sezioni Unite e, precisamente, dell’utilizzo della congiunzione “e”, non possa avere altro significato che quello secondo cui, ai fini dell’osservanza della disposizione di cui all’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. ed in mancanza di una nuova elezione di domicilio rilasciata all’atto della presentazione dell’impugnazione e sottoscritta dall’imputato, possa anche essere sufficiente il richiamo espresso ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio all’interno dell’impugnativa, ma sempre che lo stesso impugnante precisi altresì la sua collocazione nel fascicolo processuale.
Dalle indicazioni esegetiche ricavabili dall’informazione provvisoria delle Sezioni Unite, quanto alla posizione di COGNOME, può dunque affermarsi che:
è corretto fare riferimento al testo dell’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. vigente al momento della presentazione dell’appello, posto che le modifiche successive, che hanno riservato alla posizione del solo imputato difeso di ufficio l’onere dell’allegazione dello specifico mandato ad impugnare, non si applicano al caso sub iudice;
resta altresì ferma, quale condizione di ammissibilità dell’impugnazione dell’imputato assente, l’allegazione anche di una dichiarazione o elezione di domicilio rilasciata dopo la pronunzia della sentenza impugnata;
quand’anche non si ritenesse necessario che la dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato assente sia rilasciata dopo la sentenza impugnata, comunque sarebbe necessario un richiamo espresso ad una precedente elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale.
Ebbene, nel caso dell’odierno ricorrente, difettano le condizioni anzidette perché manca non solo lo specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la sentenza di primo grado, ma anche la dichiarazione o elezione di domicilio ovvero, pur essendo indicata un’elezione di domicilio nell’appello, non è precisato in quale occasione tale elezione sia stata rilasciata e dove essa possa essere reperita all’interno del fascicolo processuale.
Con il secondo motivo di ricorso, la parte eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1 -quater cod. proc. pen. per contrasto con l’art. 24, comma 2, Cost., in quanto esso pregiudicherebbe il diritto di difesa dell’imputato.
Ebbene, tale doglianza è inammissibile perché la questione di legittimità costituzionale che pone è manifestamente infondata, come già persuasivamente affermato da Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285900 01 e da Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324 – 01). Nelle decisioni richiamate, si è sostenuto, in particolare, che la norma in esame non comporta alcuna limitazione all’esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all’imputato, ma si limita a regolare le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore, sicché essa non collide né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né con presunzione di non colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge.
A questa conclusione, la sentenza COGNOME è giunta ricordando che la volontà del legislatore del d.lgs 150 del 2022 è stata dichiaratamente quella di ridurre il rischio di nullità della notificazione del decreto contenente la vocatio in iudicium e, nel contempo, di scongiurare la possibilità che, all’esito del giudizio di impugnazione, l’imputato assente possa dolersi di non essere stato messo concretamente a conoscenza della esistenza dello stesso giudizio e così ottenere la restituzione nel termine per impugnare ovvero la rescissione del giudicato che eventualmente si sia formato.
Due osservazioni, tra le altre, appaiono cruciali nell’escludere una frizione dell’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. con l’art. 24, comma 2, Cost.
Una prima riflessione di entrambe le sentenze, centrale nel senso di escludere la violazione delle prerogative difensive – e nel senso di ritenere la non irragionevolezza della scelta legislativa di introdurre le condizioni di ammissibilità di cui all’art. 581, comma 1-quater codice di rito -, fonda sulla funzione di riequilibrio data dalla modifica contestualmente apportata dalla riforma alla disciplina del computo del termine per impugnare (maggiorato di quindici giorni per il difensore dell’imputato assente ex comma 1-bis dell’art. 585 del codice di rito) e dall’introduzione di un’ipotesi, rinnovata nei presupposti, di restituzione nel termine di cui all’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen. (quando l’imputato, benché correttamente dichiarato assente, provi di non avere avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non avere avuto la possibilità di impugnare nei termini senza sua colpa).
Un’altra considerazione cruciale che si coglie nella sentenza della sesta seizone è quella che concerne l’impatto della norma sulla facoltà impugnatoria della parte, che non ne esce intaccata. Per giungere a questa conclusione, pur consapevole dell’esegesi che vede una sorta di “parallelismo” tra la facoltà di impugnazione spettante all’imputato e quella riconosciuta al suo difensore, la
sentenza COGNOME ha escluso che se ne possa trarre la conseguenza che si tratti due distinti poteri spettanti ciascuno a differenti “soggetti” del processo; ciò in quanto «il potere di impugnazione resta, infatti, personale ed unico, nel senso che dello stesso è titolare il solo imputato in quanto parte necessaria del processo, mentre il legislatore può disciplinare altre possibili forme di manifestazione di quel potere, riconoscendone ad altri soggetti la facoltà di esercizio, come accade appunto per il difensore in ragione di una forma di rappresentanza legale». Di qui il ridimensionamento delle preoccupazioni circa la tenuta costituzionale della disposizione, che non intacca il potere di impugnazione dell’imputato ma che, anzi, in definitiva lo potenzia, assicurando che la facoltà di esercizio attribuita al difensore trovi la sua concretizzazione solo nella consapevolezza dell’assistito.
Il ricorso va, dunque, rigettato, dal che discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/11/2024.