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Appello improprio: la Cassazione corregge il PM

La Corte di Cassazione ha esaminato un ricorso del Pubblico Ministero contro un’ordinanza che concedeva l’indulto a un condannato. La Corte ha dichiarato il ricorso un appello improprio, poiché il rimedio corretto era l’opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento. Di conseguenza, ha riqualificato l’atto e rinviato gli atti al Tribunale competente, chiarendo la procedura da seguire in materia di estinzione della pena.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Improprio: La Cassazione e la Giusta Via per Impugnare l’Indulto

Quando un provvedimento giudiziario viene emesso, le parti hanno il diritto di contestarlo. Tuttavia, il sistema legale prevede procedure specifiche per ogni tipo di impugnazione. Scegliere la via sbagliata può portare a un appello improprio, con conseguenze significative sul processo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce proprio questo punto, riqualificando un ricorso del Pubblico Ministero e indicando il corretto percorso procedurale.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Perugia che, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva dichiarato estinta una pena detentiva di due anni e una multa di 4.000 euro. La pena era stata inflitta a un individuo con una sentenza del 2012. Il giudice aveva applicato l’indulto previsto dalla legge n. 241 del 2006, ritenendo sussistenti le condizioni necessarie.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, tuttavia, non era d’accordo. Secondo il PM, il giudice aveva trascurato un elemento fondamentale: il condannato aveva commesso un altro reato nel 2011, ovvero entro il termine di cinque anni previsto dalla legge sull’indulto come periodo di ‘osservazione’. Questa nuova condanna, divenuta definitiva, avrebbe dovuto impedire l’applicazione del beneficio.

Il Ricorso del PM e l’Appello Improprio

Convinto delle proprie ragioni, il Pubblico Ministero ha presentato ricorso direttamente alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge da parte del giudice dell’esecuzione. Qui emerge il nodo centrale della questione: il PM ha scelto lo strumento processuale sbagliato.

La Corte di Cassazione, prima ancora di entrare nel merito della questione sull’indulto, ha rilevato d’ufficio l’irritualità del ricorso. Si è trattato, infatti, di un appello improprio, poiché la legge prevede una procedura diversa per contestare le ordinanze in materia di amnistia e indulto emesse senza un’udienza formale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte Suprema ha basato la sua decisione sull’interpretazione degli articoli del codice di procedura penale che regolano la fase esecutiva. In particolare, l’art. 676 del codice affida al giudice dell’esecuzione la competenza in materia di estinzione della pena, come nel caso dell’indulto. Il procedimento da seguire è quello descritto dall’art. 667, comma 4.

Quest’ultima norma stabilisce che il giudice decide ‘de plano’, ovvero con un’ordinanza emessa senza formalità e senza udienza. Questo provvedimento viene poi comunicato al Pubblico Ministero e notificato all’interessato. A questo punto, le parti (PM, interessato e difensore) che intendono contestare la decisione non devono ricorrere in Cassazione, ma devono proporre ‘opposizione’ davanti allo stesso giudice che ha emesso l’ordinanza. Sarà solo a seguito dell’opposizione che si instaurerà un vero e proprio contraddittorio in camera di consiglio, secondo le regole dell’art. 666 c.p.p.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata su questo punto: l’unico rimedio contro i provvedimenti ‘de plano’ in materia di indulto è l’opposizione. Presentare direttamente ricorso per cassazione costituisce un errore procedurale, un appello improprio.

Le Conclusioni: Riqualificazione e Rinvio

In ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici, la Corte non ha semplicemente dichiarato inammissibile il ricorso. Applicando l’art. 568, comma 5, del codice di procedura penale, che consente al giudice di qualificare correttamente l’impugnazione proposta erroneamente dalla parte, la Cassazione ha ‘convertito’ il ricorso in opposizione.

Di conseguenza, ha disposto la trasmissione di tutti gli atti al Tribunale di Perugia. Sarà quest’ultimo, nella corretta sede dell’udienza di opposizione, a dover valutare nel merito le ragioni del Pubblico Ministero e decidere se l’indulto fosse stato concesso legittimamente o se la commissione del nuovo reato ne ostacolasse l’applicazione. La decisione, quindi, non risolve il caso, ma lo riporta sui binari procedurali corretti.

Qual è il rimedio corretto per contestare un’ordinanza sull’indulto emessa senza udienza?
Il rimedio corretto previsto dalla legge non è il ricorso per cassazione, ma l’opposizione da presentare davanti allo stesso giudice che ha emesso l’ordinanza, entro quindici giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento.

Cosa accade se si presenta un appello improprio, come un ricorso per cassazione invece dell’opposizione?
La Corte di Cassazione, in base all’art. 568, comma 5, del codice di procedura penale, non dichiara l’atto inammissibile ma lo riqualifica come l’impugnazione corretta (in questo caso, come opposizione) e trasmette gli atti al giudice competente a decidere.

Per quale motivo il Pubblico Ministero riteneva che l’indulto non dovesse essere concesso?
Il Pubblico Ministero sosteneva che il condannato avesse commesso un altro reato entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge sull’indulto, una circostanza che, secondo la normativa, costituisce una causa ostativa all’applicazione del beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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