L’Appello Erroneamente Proposto: Quando un Errore Formale Costa il Diritto di Impugnare
Nel complesso mondo della procedura penale, la forma è sostanza. La scelta del corretto mezzo di impugnazione non è un mero dettaglio burocratico, ma un requisito fondamentale per poter far valere le proprie ragioni davanti a un giudice superiore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: un appello erroneamente proposto non si converte automaticamente nel corretto strumento processuale se le sue finalità sono incompatibili con esso. Analizziamo questa decisione per comprendere le sue profonde implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da una sentenza di condanna a una pena esclusivamente pecuniaria emessa da un Giudice di Pace. La persona condannata, intenzionata a contestare la decisione, ha presentato un atto di impugnazione qualificandolo come ‘appello’ al Tribunale. Tuttavia, la legge prevede che avverso questo tipo di sentenze l’unico rimedio esperibile sia il ricorso diretto alla Corte di Cassazione. Il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, ha correttamente dichiarato l’inammissibilità del gravame.
Di conseguenza, la questione è giunta all’attenzione della Suprema Corte a seguito di un ulteriore ricorso proposto contro la decisione del Tribunale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione del giudice d’appello. I giudici supremi hanno stabilito che l’appello presentato era manifestamente infondato e non poteva essere ‘convertito’ in un ricorso per cassazione. La parte ricorrente è stata quindi condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Il Principio di Conversione e le Intenzioni Reali
Il cuore della decisione risiede nell’analisi del principio di conversione degli atti processuali. La Corte ha ribadito un orientamento consolidato: non basta guardare al nomen iuris (il nome dato all’atto), ma è necessario indagare le ‘reali intenzioni’ dell’impugnante e il ‘contenuto effettivo’ dell’atto di gravame.
Nel caso specifico, l’atto di impugnazione non si limitava a denunciare vizi di legittimità, come richiesto per un ricorso in Cassazione. Al contrario, conteneva richieste tipiche di un giudizio di merito, quali:
* Una richiesta di totale assoluzione basata su una diversa valutazione dei fatti.
* La richiesta di assunzione di ulteriori sei testimoni a difesa.
Queste istanze sono del tutto incompatibili con la natura del giudizio di legittimità, che è limitato al controllo sulla corretta applicazione della legge e non consente una nuova istruttoria o una rivalutazione delle prove. La Corte ha quindi concluso che l’impugnante aveva effettivamente voluto proporre un appello, un mezzo di impugnazione non consentito dalla legge in quel contesto. L’errore non era meramente formale, ma sostanziale, riflettendo una volontà processuale incompatibile con l’unico rimedio ammissibile.
Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa pronuncia sottolinea una lezione fondamentale per ogni difensore e cittadino: la scelta del mezzo di impugnazione è un passaggio critico che non ammette superficialità. Un errore nella qualificazione dell’atto, se unito a un contenuto non coerente con il rimedio corretto, può precludere definitivamente la possibilità di far esaminare la propria causa da un giudice superiore.
Le implicazioni sono severe: la dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la condanna alle spese, ma anche il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, rendendola definitiva e non più contestabile. Pertanto, è essenziale che l’atto di impugnazione sia non solo formalmente corretto nel nome, ma anche sostanzialmente coerente nelle richieste avanzate, rispecchiando la natura e i limiti del giudizio che si intende adire. In caso contrario, come dimostra questa vicenda, un errore procedurale può trasformarsi in un ostacolo insormontabile per la tutela dei propri diritti.
Perché un appello proposto contro una sentenza del giudice di pace è stato dichiarato inammissibile?
L’appello è stato dichiarato inammissibile perché la legge, per le sentenze del giudice di pace che comminano la sola pena pecuniaria, non prevede l’appello come mezzo di impugnazione, ma unicamente il ricorso per cassazione.
Un mezzo di impugnazione errato può essere ‘convertito’ in quello corretto?
Secondo la Corte di Cassazione, la conversione non è automatica. È necessario valutare il contenuto effettivo dell’atto e le reali intenzioni dell’impugnante. Se l’atto contiene richieste incompatibili con il mezzo di impugnazione corretto, come la richiesta di nuove prove in un contesto di legittimità, non può essere convertito.
Quali elementi hanno dimostrato che l’impugnante non intendeva presentare un ricorso per cassazione?
Gli elementi decisivi sono stati la richiesta di assoluzione basata su una rivalutazione dei fatti e, in modo particolare, la richiesta di ammettere sei nuovi testimoni. Queste sono istanze tipiche di un giudizio di appello (merito) e sono del tutto incompatibili con il giudizio di legittimità proprio della Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10670 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10670 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a GIBA il 14/04/1959
avverso la sentenza del 26/09/2024 del TRIBUNALE di CAGLIARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
osservato che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, attesa la corretta applicazione da parte del Tribunale del principio affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, secondo il quale: “l’appello erroneamente proposto avverso la sentenza di condanna a pena pecuniaria pronunciata dal giudice di pace non si converte automaticamente in ricorso per cassazione, stante la necessità di avere riguardo, al di là dell’apparente nomen iuris, alle reali intenzioni dell’impugnante e all’effettivo contenuto dell’atto di gravame, con la conseguenza che, ove dall’esame di tale atto si tragga la conclusione che l’impugnante abbia effettivamente voluto il mezzo di impugnazione voluto non consentito dalla legge, l’appello deve essere dichiarato inammissibile” (Sez.5, n. 55830 del 08/10/2018, COGNOME, Rv. 274624-01; Sez. 4, 1441 del 21/11/2023, COGNOME, Rv. 285634-01);
considerato che il giudice di appello ha correttamente dichiarato, in applicazione di tale principio e tenuto conto del contenuto (specificamente riportato a pag. 2 della sentenza del Tribunale di Cagliari) dell’atto di impugnazione, l’inammissibilità dell’appello (articolato con riferimento alla richiesta di assoluzione del ricorrente, nonché richiesta di assunzione di ulteriori sei testi, articolato dunque in modo del tutto incompatibile con l’accesso alla Corte di cassazione per il giudizio di legittimità);
che /a manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento dei residui motivi proposti;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna;10 ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.