Appello Concordato: Quando la Pena Accettata Diventa Intoccabile
L’istituto dell’appello concordato, previsto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, offre all’imputato e alla pubblica accusa la possibilità di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto tale accordo, l’imputato decide di contestare la decisione davanti alla Corte di Cassazione? Un’ordinanza recente ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo sigillato in appello preclude un successivo ripensamento.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una condanna in primo grado per il reato previsto dall’articolo 391-ter del codice penale. L’imputato, invece di affrontare un giudizio di appello ordinario, ha optato per la procedura dell’appello concordato. In accordo con la pubblica accusa, ha ottenuto una parziale modifica della sentenza di primo grado, con una riduzione della pena a dieci mesi di reclusione. Nonostante l’accordo, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione: a suo dire, la Corte d’Appello non avrebbe verificato la possibile presenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale, prima di ratificare l’accordo.
L’Appello Concordato e l’Inammissibilità del Ricorso
Il ricorrente ha tentato di scardinare la decisione basata sull’accordo da lui stesso sottoscritto, sostenendo che il giudice d’appello avesse comunque l’obbligo di valutare l’assoluzione nel merito. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha richiamato il proprio orientamento consolidato in materia. L’imputato che accede alla procedura dell’appello concordato non può, in un secondo momento, mettere in discussione la misura della pena liberamente pattuita con l’accusa. Questo perché l’accordo stesso si fonda su un presupposto logico e giuridico cruciale: l’accettazione della responsabilità penale già accertata dal giudice di primo grado.
In altre parole, l’appellante, scegliendo di concordare la pena, rinuncia a contestare la propria colpevolezza nel merito e concentra la sua strategia difensiva unicamente sull’ottenimento di una sanzione più mite. Di conseguenza, il pieno accertamento della responsabilità effettuato in primo grado diventa un punto fermo e non più oggetto di discussione. La pretesa di un controllo successivo sulle cause di proscioglimento risulta, pertanto, contraddittoria e infondata.
La Corte ha inoltre specificato che, data la manifesta infondatezza del ricorso, la declaratoria di inammissibilità viene pronunciata de plano, ai sensi dell’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. Si tratta di una procedura accelerata che non richiede un’udienza con la partecipazione delle parti, ma si basa sulla sola analisi degli atti.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un principio cardine del sistema processuale: pacta sunt servanda, anche nel processo penale. L’appello concordato è uno strumento che offre un vantaggio concreto all’imputato (la riduzione di pena) in cambio di una rinuncia a contestare l’accertamento di colpevolezza. La scelta di percorrere questa strada è strategica e definitiva. Qualsiasi tentativo di rimettere in discussione l’accordo in Cassazione è destinato a fallire, con l’ulteriore conseguenza della condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in tremila euro, a favore della Cassa delle ammende.
È possibile impugnare in Cassazione una pena che è stata concordata tra accusa e difesa in appello?
No, la Corte di Cassazione stabilisce che l’imputato non può porre in discussione la misura della pena liberamente concordata con la pubblica accusa e ritenuta congrua dal giudice d’appello nel procedimento definito ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p.
L’accordo sulla pena in appello esclude la valutazione delle cause di proscioglimento da parte del giudice?
Sì, secondo il ragionamento della Corte, l’accordo sulla pena avviene all’esito di un pieno accertamento della responsabilità dell’imputato effettuato dal giudice di primo grado, che non è più oggetto di contestazione da parte dell’appellante. Pertanto, un’ulteriore verifica ex art. 129 c.p.p. non è dovuta.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso specifico è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34749 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34749 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 06/02/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO;
N. NUMERO_DOCUMENTO Nocerino
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Che l’imputato ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, che ha parzialmente modificato la sentenza di primo grado di condanna per il reato di cui all’art. 391-ter cod. pen., riducendo la pena, su concorde richiesta delle parti, a mesi dieci di reclusione;
che il ricorrente denuncia il vizio di motivazione in relazione alla verifica delle cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.;
che è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui l’imputato non può porre in discussione la misura della pena liberamente concordata con la pubblica accusa (comunque inferiore a quella inflitta dal giudice di primo grado) e ritenuta congrua dal giudice d’appello nel procedimento definito ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., nel quale peraltro l’accordo delle parti sulla pena avviene all’esito di un pieno accertamento della responsabilità dell’imputato effettuato dal giudice di primo grado e non più oggetto di contestazione da parte dell’appellante;
che alla relativa declaratoria d’inammissibilità del ricorso la Corte provvede «senza formalità di procedura», ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. (aggiunto dalla legge n. 103 del 2017), cioè de plano con trattazione camerale non partecipata;
che l’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma alla Cassa delle ammende che va fissata in tremila euro.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/10/2025