Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30391 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30391 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato ad Acerra il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 15/04/2024 del Tribunale della libertà di Napoli; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento il Tribunale del riesame di Napoli rigettava l’appello avverso l’ordinanza del 23 febbraio 2024, con la quale il giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale aveva a sua volta rigettato la richiesta di sostituzione della misura cautelare in carcere, applicata all’odierno ricorrente nell’aprile 2023 per il delitto di cui agli articoli 56 575 e 416 bis.1 cod. pen., con quella degli arresti domiciliari, anche con strumento elettronico di controllo, in Mulazzo INDIRIZZO), presso l’abitazione della madre dell’COGNOME.
A ragione della decisione, evidenziava l’estrema gravità dei fatti oggetto dell’addebito cautelare, «sintomatici del suo inserimento in pericolosissimi contesti criminali di stampo camorristico», l’operatività della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., l’intervenuta condanna alla pena di anni 8 di reclusione all’esito del giudizio di primo grado, l’ancora elevatissimo pericolo di
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recidivanza desumibile dalle gravi ed allarmanti modalità del fatto e dalla negativa personalità dell’COGNOME («l’imputato ha detenuto, insieme ad altri componenti del suo gruppo, e portato in luogo pubblico armi micidiali, tra cui un fucile kalashnikov, destinato ad un attacco contro familiari di un gruppo avversario, L’attacco è stato sferrato di notte, con un’azione dalle modalità platealmente camorristiche, come lo sfondamento con un’autovettura del cancello di accesso al cortile condominiale, e l’esplosione di circa trenta colpi di arma da fuoco contro una casa in cui vi era la certezza che vi fossero delle persone che stavano dormendo, tra cui due bambini. Né va trascurato il movente della gravissima azione delittuosa, legata al controllo del settore dello spaccio degli stupefacenti»), nonché dagli accertati «legami profondi con un contesto delinquenziale di criminalità organizzata, tale da determinare un’azione di siffatta violenza per garantire il controllo su un settore – quello degli stupefacenti – di rilevantissimo interesse nella spartizione del territorio ad opera della RAGIONE_SOCIALE».
Evidenziava, altresì, l’inidoneità tanto del diverso ambito geografico proposto dall’istante a recidere i legami con il contesto delinquenziale di riferimento, «che si può giovare di uomini fidati che si trovano anche altrove per porre in essere le proprie attività criminali», quanto della misura gradata proposta, anche se applicata con strumenti di controllo, poiché il braccialetto elettronico non poteva di per sé «impedire contatti» dell’COGNOME con i suoi sodali.
Riteneva, infine, irrilevante il tempo trascorso in custodia cautelare (circa un anno) ad affievolire le esigenze cautelari, «a fronte dell’intensità dei legami criminali evidenziati, della gravità della condotta e dell’entità della pena inflitta»
Il difensore di fiducia dell’COGNOME, AVV_NOTAIO, ha presentato ricorso per cassazione avverso l’indicata ordinanza, articolando un unico motivo con il quale deduce vizio di motivazione e violazione di legge.
Si duole della illogicità della motivazione e della violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., evidenziando che il giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza del 23 febbraio 2024 poi impugnata, aveva ritenuto insussistente il pericolo di reiterazione del reato, ritenendo configurabile unicamente il pericolo di fuga alla luce della pena irrogata all’esito del giudizio di primo grado, e che, pertanto, è illogica la motivazione dell’ordinanza qui impugnata, che, senza fare alcun riferimento al pericolo di fuga, ha ritenuto sussistente il pericolo d recidivanza; rappresenta – anche alla luce del principio secondo cui «In tema di custodia in carcere applicata per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, prevista dall’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., che ha carattere relativo, può essere superata in presenza di elementi dai quali risulti l’insussistenza di esigenze cautelari,
desunta dal tempo trascorso dai fatti addebitati, che porti ad escludere l’attualità del pericolo di reiterazione, anche se non risulti una dissociazione espressa dal sodalizio» (Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, Cosentino, Rv. 267995 – 01) – che «l’COGNOME non risulta inserito in alcun sodalizio operante sul territorio», e che, pertanto, essendo egli incensurato, ed essendogli ascritto un delitto «legato ad un contesto strettamente territoriale», ove volessero ritenersi ancora configurabili le esigenze cautelari di cui alla lettera c) dell’art. 275 cod. pro pen., le stesse sarebbero senz’altro fronteggiabili con la misura degli arresti domiciliari in territorio siciliano, eventualmente imponendo al prevenuto ulteriori restrizioni, come il divieto di comunicare con persone diverse da quelle conviventi, non potendo ricavarsi dagli atti elementi che consentano di affermare che egli non si uniformerà alle prescrizioni che gli saranno imposte.
Il AVV_NOTAIO Procuratore generale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile, per la manifesta infondatezza dei suoi motivi, poiché «non è dato ravvisare nel provvedimento impugnato vizi rilevabili in sede di legittimità».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve, dunque, essere rigettato.
Occorre rilevare che il difensore dell’COGNOME aveva chiesto al giudice per le indagini preliminari di sostituire la misura inframuraria con quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Il giudice per le indagini preliminari aveva rilevato che, essendo in contestazione uno dei reati di cui all’art. 275, comma 3, seconda parte, cod. proc. pen., la presunzione di adeguatezza della misura della custodia in carcere avrebbe potuto essere superata ove, in relazione al caso concreto, si fosse ritenuto possibile salvaguardare le esigenze cautelari con una misura meno afflittiva; aveva ritenuto che la misura invocata dall’istante avrebbe potuto adeguatamente salvaguardare l’esigenza cautelare del pericolo di recidivanza («appare invero difficile sostenere che gli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico in località posta a notevole distanza dai luoghi ove i fatti sono stati commessi non risulti idonea a salvaguardare le esigenze di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p.»); aveva, però, ritenuto che analogo ragionamento non potesse essere svolto in relazione al pericolo di fuga, «che, a fronte di una sentenza di condanna ad una grave pena detentiva, potrebbe, con fondata previsione, indurre l’COGNOME a rendersi latitante per sottrarsi
all’esecuzione della pena», sottolineando che rientrava tra i suoi poteri quello di «valutare anche esigenze cautelari non contenute nell’ordinanza genetica»
Avverso il provvedimento di rigetto così motivato, il difensore dell’COGNOME aveva proposto appello ex art. 310 cod. proc. pen., dolendosi dell’erroneità del ragionamento del giudice per le indagini preliminari che, pur ritenendo «superato il pericolo di reiterazione del reato», aveva ritenuto sussistente il pericolo di fuga, esigenza cautelare che, per un verso, «non sussisteva all’epoca di emissione dell’originaria ordinanza di custodia cautelare», e, per altro verso, doveva comunque ritenersi insussistente, e comunque non era né concreta né attuale, alla luce della «personalità del prevenuto: trattasi infatti di un cittadin italiano, di giovane età, con legami sul territorio nazionale, privo di carichi pendenti e di precedenti giudiziari, soprattutto con riferimento al reato di evasione, dato principale su cui si fonda un giudizio prognostico di pericolo di latitanza del condannato»; peraltro, ad avviso dell’appellante la misura invocata avrebbe potuto salvaguardare anche l’esigenza di cui alla lettera b) dell’art. 274, comma 1, cod. proc. pen., grazie al «costante monitoraggio del prevenuto da parte delle forze dell’ordine» garantito dal braccialetto elettronico.
A fronte dei motivi di appello appena sintetizzati, il Tribunale del riesame di Napoli ha adottato il provvedimento oggi impugnato, le cui motivazioni fanno esclusivo riferimento alla attuale e concreta configurabilità del pericolo di recidivanza: un’esigenza cautelare che, come si è visto, il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto di poter salvaguardare con la misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
I giudici della libertà rilevavano, in particolare, che «la difesa non ha addotto elementi tali da ritenere che il pericolo di reiterazione e la adeguatezza della misura della custodia in carcere siano elisi. Come efficacemente argomentato da questo Tribunale nel provvedimento emesso ex art. 309 cpp in data 8.5.2023, sussiste nei suoi confronti il concreto pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie di quelli per i quali si procede », e che il braccialetto elettronic appariva al più presidio efficace «a segnalare evasioni», ma non «a fronteggiare il pericolo di reiterazione del reato», e concludevano nel senso che «sussistono inalterate le esigenze cautelari ritenute in sede di applicazione della misura».
Ciò posto, si deve rammentare che secondo il consolidato orientamento di questa Corte – autorevolmente fatto proprio da Sez. U, n. 8 del 25/06/1997, dep. 1998, Gibilras, Rv. 208313 – 01 – nel procedimento incidentale in materia di libertà personale l’appello partecipa della medesima natura di quello di merito, poiché entrambi integrano lo stesso strumento di verifica del provvedimento del primo giudice, sicché si giustifica l’estensione all’appello de libertate delle regole
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dell’appello sul merito, tra le quali quella del tantum devolutum quantum appellatum: per questo nell’appello ex art. 310 cod. proc. pen., a differenza di quanto accade nel procedimento di riesame, devono essere enunciati i motivi di impugnazione, i quali hanno la funzione di delimitare i poteri di cognizione e di decisione del giudice del gravame (ad eccezione dell’ipotesi – che qui non ricorre – di appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di misura cautelare).
I motivi di appello, dunque, individuano la parte della decisione oggetto di impugnazione e perimetrano – unitamente ai punti della motivazione del provvedimento impugnato attinti da quei motivi – l’area della cognizione del giudice del gravame, sicché si è statuito che «La cognizione del giudice dell’appello cautelare è limitata, in ossequio al principio devolutivo, ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame e a quelli strettamente connessi e da essi dipendenti. (In applicazione del principio, la Corte ha censurato il provvedimento del tribunale del riesame che, adito per motivi attinenti la sussistenza delle esigenze cautelari e la scelta della misura, aveva parzialmente annullato l’ordinanza applicativa della misura interdittiva, ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza)» (Sez. 5, n. 23042 del 04/04/2023, Pilla, Rv. 284544 – 01).
Tuttavia, nell’ambito di tale perimetro il giudice ha libertà di autonoma valutazione e motivazione, sicché la sua cognizione non è condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal giudice della decisione impugnata a sostegno della decisione: tale principio, ripetutamente affermato da numerose pronunce delle Sezioni semplici (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 18057 del 01/04/2014, Campana, Rv. 259712 – 01, e Sez. 3, n. 28253 del 09/06/2010, B., Rv. 248135 – 01), è stato da ultimo autorevolmente ribadito nelle motivazioni di Sez. U, n. 15403 del 30/11/2023, dep. 2024, Galati, Rv. 286155 – 01, laddove si è chiarito che i poteri cognitivi del giudice dell’appello de libertate «sono sì limitati ai punti attinti dai motivi d’appello, ma non altrettanto condizionati, all’interno del perimetro tracciato da questi ultimi, dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste a base della decisione impugnata» (§5,2).
Si è conseguenzialmente statuito che, pur se il principio devolutivo limita la cognizione del giudice dell’appello cautelare ai punti attinti dai motivi di gravame, l’appello attribuisce al tribunale della libertà tutti i poteri che ab origine rientravano nella competenza funzionale del primo giudice, compreso quello di decidere, sia pure nell’ambito dei motivi prospettati, su elementi diversi ed anche successivi rispetto a quelli utilizzati nell’ordinanza impugnata (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 9226 del 01/02/2023, COGNOME, n.m.).
In ulteriori pronunce la Corte ha ritenuto che rientra nei poteri del giudice d’appello accertare che nella fattispecie concreta ricorrano gli elementi previsti dalla legge per l’applicabilità di una determinata norma, anche a prescindere dal fatto che ciò non abbia costituito oggetto di indagine nel grado precedente o che il provvedimento di rigetto dell’istanza abbia trovato una diversa giustificazione, sì da rendere superfluo l’approfondimento di ulteriori profili: così, ad esempio, Sez. 3, n. 24649 del 08/02/2019, COGNOME, Rv. 276000 – 02, secondo cui «La pronuncia di una sentenza di condanna in grado di appello ad una pena non sospesa o non suscettibile di sospensione costituisce elemento di per sé idoneo a rafforzare le esigenze cautelari poste a base del provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere».
In maniera ancor più netta, Sez. 6, n. 13863 del 16/02/2017, Ferro, Rv. 269461 – 01, ribadendo il principio già statuito da Sez. 1, n. 19992 del 29/04/2010, COGNOME, Rv. 247615 – 01, ha statuito che «Il giudice dell’appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione, conseguente alla violazione del principio di devoluzione parziale, ove prenda in esame il punto della sussistenza di esigenze cautelari nella sua interezza, al di là delle specifiche esigenze che nell’atto di appello siano state indicate come oggetto di erronea valutazione. (In applicazione del suddetto principio la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto immune da vizi la decisione che ha accolto l’appello del P.M. avverso l’ordinanza di revoca della misura cautelare estendendo il thema dicendum ad una esigenza cautelare dedotta solo con una memoria presentata dopo la proposizione dell’appello)».
In termini può essere citata anche un’altra pronuncia del massimo consesso nomofilattico, Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME, Rv. 227359 – 01, che, in conseguenza del carattere “ibrido” dell’appello de libertate, ha riconosciuto al giudice il potere di decidere «ex novo su tutte le questioni astrattamente ipotizzabili in ordine ai punti cui si riferiscono i motivi proposti», senza essere vincolato alle singole alternative decisorie prospettate dall’appellante.
Deve, dunque, concludersi nel senso che del tutto legittimamente il giudice dell’appello de libertate può prendere complessivamente in esame il “punto” della decisione concernente la sussistenza delle esigenze cautelari, non essendo tenuto a limitare la sua indagine ai soli aspetti relativi al thema decidendum devoluti con il gravame.
L’applicazione al caso di specie dei principi fin qui illustrati disvel l’infondatezza dei motivi di ricorso.
Il tribunale del riesame napoletano aveva il potere di valutare i punti dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari attinti dai motivi di gravame e quelli strettamente connessi e da essi dipendenti, senza essere condizionato,
all’interno del perimetro così delineato, dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste a base della decisione impugnata e del ricorso presentato avverso di essa: poiché l’oggetto della decisione investiva l’attuale e concreta sussistenza delle esigenze cautelari, e la loro fronteggiabilità con la misura più blanda invocata dal difensore dell’imputato, del tutto legittimamente il provvedimento impugnato ha ritenuto la persistente sussistenza in massimo grado dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lettera c), cod. proc. pen.; tanto ha reso superflua ed inutile l’indagine relativa alla sussistenza ed all’int dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lettera b), cod. proc. pen.: ed invero quand’anche quest’ultima fosse stata ritenuta insussistente, l’appello proposto dal difensore dell’COGNOME non avrebbe potuto essere accolto, avendo i giudici della cautela esaurientemente illustrato i motivi per i quali dovevano essere ritenute ancora sussistenti in massimo grado le esigenze cautelari connesse al pericolo di recidivanza, e perché la misura della custodia cautelare in carcere doveva essere necessariamente ritenuta l’unica in grado di fronteggiarle adeguatamente.
Ciò posto, rimane da osservare che le deduzioni difensive non attaccano efficacemente la motivazione del provvedimento impugnato, né nella parte in cui ha ritenuto concretamente ed attualmente configurabile in massimo grado l’esigenza cautelare del pericolo di recidivanza, né nella parte in cui ha illustrato i motivi per i quali la misura inframuraria doveva essere ritenuta l’unica in grado di salvaguardare le ravvisate esigenze cautelali.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui .all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso il 12/07/2024.