Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23205 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23205 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Brescia il 30/12/1965 avverso la ordinanza del 10/12/2024 del Tribunale di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Brescia, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., ha riformato l’ordinanza del 29 ottobre 2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, che, per quanto di interesse in questa sede, aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari a NOME COGNOME in quanto gravemente indiziato di più delitti di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, malversazione a danno dello Stato
e bancarotta fraudolenta, ritenendo sussistenti il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie ed il pericolo di inquinamento probatorio.
In particolare, il Tribunale del riesame ha sostituito alla misura degli arresti domiciliari, ritenuta inidonea a soddisfare le esigenze di cautela, quella più grave della custodia in carcere.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inutilizzabilità degli atti relativi al procediment penale iscritto al n. 5319/2023 R.G.N.R. pendente presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza ed in particolare di una annotazione di polizia giudiziaria e dei verbali degli interrogatori dei coindagati, in que procedimento, COGNOME e COGNOME, assunti in data 26 novembre e 6 dicembre 2024,
Trattasi di prove acquisite da altra autorità giudiziaria in data successiva alla proposizione dell’appello del Pubblico ministero avvenuta il giorno 8 novembre 2024 ed aventi ad oggetto fatti diversi da quelli per i quali si procede in questa sede.
Il Tribunale del riesame ha rigettato la eccezione richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME, Rv. 227357 – 01) ed osservando che oggetto di censura era solo il punto relativo alle esigenze cautelari e che i nuovi elementi di prova rilevavano ai fini del giudizio sulla personalità del COGNOME e quindi sulla valutazione di dette esigenze.
Osserva il ricorrente che dalla lettura dei verbali emerge la loro irrilevanza, atteso che essi concernono fatti diversi da quelli per i quali si procede in questa sede, e che comunque il Tribunale ha confuso la pertinenza della prova con la sua utilizzabilità e, peraltro, è necessario che le esigenze cautelari sia attuali e concrete.
Inoltre, la sentenza delle Sezioni Unite richiamata dal Tribunale consente di acquisire nuovi elementi di prova solo nei limiti del devolutum e se essi riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta cautelare.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero per genericità dei motivi di impugnazione, atteso che essi si limitavano a reiterare il contenuto della richiesta cautelare, senza sollevare specifiche censure in ordine alla motivazione del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari.
Il Tribunale del riesame ha apoditticamente affermato che il Pubblico ministero si era confrontato con gli argomenti posti a base della decisione
impugnata. In realtà, l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari aveva diffusamente motivato in ordine alle ragioni per le quali il pericolo di inquinamento probatorio ed il pericolo di reiterazione del reato potevano essere scongiurati dalla misura degli arresti domiciliari e il Pubblico ministero si è limitato a riproporre le risultanze investigative già riportate nell’originar richiesta cautelare.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto alla motivazione dell’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale in data 28 novembre 2024 sulla richiesta di riesame proposta dal difensore ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen.
In particolare, segnala il ricorrente, il Tribunale del riesame, con l’ordinanza qui impugnata, richiamando detta motivazione, ha osservato che le «riportate notazioni» non consentono l’applicazione di un regime cautelare meno grave di quello inframurario e che tale conclusione è rafforzata dal contenuto delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da COGNOME e COGNOME, coindagati del Savio nel procedimento monzese, mentre nell’ordinanza pronunciata a seguito della richiesta di riesame si era affermato che il regime degli arresti domiciliari costituiva la minima forma di contenimento applicabile per tutelare le pregnanti esigenze special-preventive e che esso risultava proporzionata alla gravità delle condotte di reato.
Mentre nel procedimento attivato con la richiesta di riesame si era, quindi, ritenuta sufficiente la misura degli arresti domiciliari, con il provvedimento qui impugnato la medesima misura è stata ritenuta inidonea a soddisfare le esigenze cautelari.
Inoltre, nell’ordinanza qui impugnata si è sostenuto che il Giudice per le indagini preliminari avesse non solo sottovalutato il pericolo di recidiva, ma anche omesso di considerare il gravissimo pericolo di inquinamento probatorio in termini di contaminazione delle testimonianze e di distruzione di materiale di prova, rispetto al quale gli arresti domiciliari non garantivano alcuna cautela.
La ordinanza qui impugnata indica proprio in tale pericolo la ragione dell’applicazione della custodia cautelare in carcere, ma nel motivare sulla sua sussistenza il provvedimento si limita a ripercorrere le motivazioni dell’ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari, aggiungendo che la scelta dell’indagato di respingere gli addebiti e di non rispondere alle domande che gli venivano poste nel corso dell’interrogatorio di garanzia, nonostante l’evidenza delle prove a suo carico, avvalora la sussistenza del pericolo di recidiva.
Tuttavia, il Tribunale del riesame, affermando che la prova a carico dell’indagato è evidente, viene a porsi in contrasto con l’affermazione del pericolo di inquinamento probatorio.
Il Tribunale del riesame, segnala il ricorrente, giunge anche a sostenere che il pericolo di inquinamento probatorio è stato sventato dal tempestivo intervento dell’organo investigativo, cosicché, argomenta il ricorrente, non poteva essere disposto un aggravamento del regime cautelare, atteso che non può farsi ricorso alla custodia cautelare (neppure sotto la forma degli arresti domiciliari) per l’acquisizione di una prova documentale ex art. 274, lett. a), cod. proc. pen., quando il documento sia rinvenibile indipendentemente dalla condotta ostruzionistica dell’indagato, poiché in tal caso le esigenze attinenti alle indagini non sono inderogabili, sicché prevale il principio del favor libertatis (Sez. 5, n. 2475 del 31/10/1995, Cardinale, Rv. 202994 – 01).
Infine, la motivazione risulta apodittica in ordine alla necessità della misura della custodia in carcere ai fini della salvaguardia delle esigenze cautelari, essendo invece necessario precisare le specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con misure meno gravi.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, per l’ipotesi di ritenuta infondatezza degli altri motivi di impugnazione, la violazione dell’art. 292, comma 2, lett. d), cod. proc. pen., per non avere il Tribunale del riesame indicato la data di scadenza della misura cautelare.
Il ricorrente ammette che, nel silenzio della disposizione sopra citata, la giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha affermato che tale indicazione è necessaria solo laddove la misura cautelare trovi giustificazione esclusivamente nell’esigenza connessa al pericolo di inquinamento probatorio, mentre nel caso di specie è stato ritenuto sussistente anche il pericolo di recidiva, e tuttavia evidenzia che nel caso in esame l’aggravamento è stato giustificato dal Tribunale del riesame facendo esclusivo riferimento al pericolo di dispersione della prova. Sussiste pertanto l’interesse dell’indagato a conoscere il periodo di tempo necessario ad assicurare le fonti di prova, poiché in assenza di tale indicazione l’aggravamento della misura, pur essendo dovuto ad una esigenza temporanea, diventerebbe permanente.
I difensori del ricorrente hanno fatto tempestivamente pervenire una memoria difensiva contenente motivi nuovi con la quale, a sostegno del terzo motivo di ricorso, evidenziano che il Tribunale di Monza ha accolto l’appello avverso il rigetto dell’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, applicata in quel procedimento, con quella degli arresti domiciliari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
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Dall’esame dell’appello del Pubblico ministero emerge che quest’ultimo, dopo avere riportato la motivazione del Giudice per le indagini preliminari in punto di adeguatezza della misura degli arresti domiciliari, ha mosso specifiche critiche alla stessa, sostenendo la contraddittorietà della motivazione ed illustrando gli elementi di prova, già valutati dal Giudice e nuovi, che fanno apparire inadeguata la scelta operata e che imporrebbero l’applicazione della custodia cautelare in carcere, soprattutto in relazione alla spiccata capacità criminale del COGNOME e alla abilità da lui dimostrata, anche nel procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, nell’eludere le cautele adottate dagli inquirenti e di alterare l’esito delle indagini.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
È ben vero che le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per il quale «nel procedimento di appello, instaurato dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del G.i.p. di rigetto della richiesta di una misura cautelare personale, è consentito al Pubblico Ministero di produrre documentazione relativa ad elementi probatori “nuovi”, preesistenti o sopravvenuti, sempre che tali elementi riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta cautelare e, in ordine ad essi, sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa» (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME, Rv. 227357 – 01).
Tuttavia, le Sezioni Unite, laddove hanno inteso limitare tale facoltà del pubblico ministero alla ipotesi in cui i nuovi elementi probatori riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta cautelare, hanno solo voluto mantenere ferma la regola del tantum devolutum quantum appellatum prevista per l’appello cognitivo dall’art. 597, comma 1 cod. proc. pen.
In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato, con la sentenza sopra citata, che «Le singole censure racchiuse nei motivi di gravame del pubblico ministero segnano dunque le ragioni del disaccordo rispetto al provvedimento reiettivo e delimitano i confini dell’originaria domanda cautelare con specifico riguardo alle posizioni degli imputati e alle imputazioni, cioè ai fatti ed al circostanze oggetto della contestazione, che non possono essere modificati in peius se non a seguito dell’esercizio da parte del P.M. di una nuova e distinta azione cautelare ex art. 291 c.p.p.».
In sostanza, i nuovi elementi di prova non possono essere utilizzati per applicare la misura cautelare per un fatto diverso o più grave di quello per il quale era stata avanzata la richiesta di applicazione della misura cautelare e questa ipotesi non ricorre nel caso di specie.
Inoltre, sempre la sentenza delle Sezioni Unite sopra citata ha precisato che
«i poteri di cognizione e di decisione del giudice dell’appello de libertate, pur nel rispetto del perimetro disegnato dall’originaria domanda cautelare, si estendono, senza subire alcuna preclusione, all’intero thema decidendum, che è costituito dalla verifica dell’esistenza di tutti i presupposti richiesti per l’adozione un’ordinanza applicativa della misura cautelare» cosicché, con riguardo all’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari di diniego della misura cautelare, ha concluso che «al rilevato allargamento del devolutum a tutti i profili della domanda cautelare, indipendentemente dallo specifico petitum contenuto nei motivi di gravame, debba corrispondere una pari ampiezza del materiale cognitivo».
Tali principi, affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza sopra citata in relazione ad un appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto dal pubblico ministero, sono stati ribaditi ed estesi dalle Sezioni Unite con una più recente sentenza (Sez. U, n. 15403 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286155 – 01) anche all’appello proposto, ai sensi di detta disposizione, nell’interesse dell’indagato.
Nel caso di specie, oggetto dell’impugnazione è la adeguatezza della misura cautelare rispetto alle esigenze di cautela e i nuovi elementi di prova, cui si riferisce l’eccezione di inutilizzabilità sollevata dal ricorrente, sono stati alleg dal Pubblico ministero non al fine di mutare il fatto cui si riferisce la domanda cautelare, ma allo scopo di dimostrare la sussistenza e la particolare intensità del pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione di condotte analoghe e quindi la inidoneità della misura degli arresti domiciliari a soddisfare le esigenze di cautela.
Peraltro, i nuovi elementi di prova di cui si lamenta la inutilizzabilità sol solo una parte di quelli sulla base dei quali il Tribunale ha fondato il suo giudizio.
Questa Corte di legittimità ha affermato, in tema di ricorso per cassazione, che è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento a provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416). Inoltre, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta «prova di resistenza», in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014 – dep.
23/01/2015, Calabrese, Rv. 262011).
Nel caso di specie il ricorrente non ha assolto a tale onere, cosicché il motivo risulta anche generico.
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Anche a voler ritenere rilevante un eventuale contrasto tra la motivazione dell’ordinanza emessa a seguito di appello ex art. 310 cod. proc. pen. del Pubblico ministero e la motivazione del provvedimento emesso a seguito di richiesta di riesame, deve considerarsi che il Tribunale, nel decidere sulla richiesta di riesame, pur dovendo motivare in ordine alla adeguatezza della misura coercitiva prescelta rispetto alle esigenze di cautela, non potendo certo aggravare il regime cautelare, era solo chiamato ad esplicitare le ragioni per le quali non era possibile sostituire gli arresti domiciliari con una misura più tenue. Affermando che gli arresti domiciliari erano la misura minima per salvaguardare le esigenze di cautela, il Tribunale del riesame non ha, né avrebbe potuto, affermare che essi fossero pienamente in grado di soddisfare le esigenze ravvisate nel provvedimento coercitivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari
Non è, quindi, ravvisabile alcun contrasto motivazionale tra i due provvedimenti.
Quanto, poi, al denunciato contrasto interno alla motivazione del provvedimento qui impugnato, esso appare insussistente.
È ben vero che il Tribunale del riesame ha ribadito che gli indizi sono particolarmente gravi e che da essi emerge evidente la penale responsabilità dell’imputato e al contempo ha osservato che è sussistente il pericolo di inquinamento probatorio, ma non è ravvisabile alcun contrasto tra le due proposizioni ove si consideri che la prova, in particolare quella orale, si forma in dibattimento e il Savio, sulla base di quanto fattualmente accertato dal Tribunale del riesame, è reiteratamente intervenuto non solo per occultare prove documentali, ma pure per istruire diverse persone informate sui fatti sul contenuto delle dichiarazioni da rendere agli inquirenti.
In sostanza, il Tribunale del riesame ha inteso affermare che il Savio, ove non sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, potrebbe, anche attraverso persone a lui vicine, indurre questi soggetti a deporre il falso nell’eventuale giudizio dibattimentale. In tal modo, il Tribunale del riesame ha fornito adeguata giustificazione in ordine alla scelta di applicare la custodia cautelare in carcere e la censura con la quale è stata denunciata la natura apodittica della motivazione sul punto risulta del tutto infondata.
Infine, il principio invocato dal ricorrente, secondo il quale non può farsi
ricorso alla custodia cautelare (neppure sotto la forma degli arresti domiciliari) per l’acquisizione di una prova documentale ex art. 274, lett. a), cod. proc. pen., quando il documento sia rinvenibile indipendentemente dalla condotta ostruzionistica dell’indagato, poiché in tal caso le esigenze attinenti alle indagini non sono inderogabili, sicché prevale il principio del favor libertatis (Sez. 5, n. 2475 del 31/10/1995, Cardinale, Rv. 202994 – 01) opera, appunto, in relazione alle prove documentali, ma il Tribunale ha correttamente osservato che il pericolo di inquinamento probatorio sussiste soprattutto in relazione alle prove dichiarative e che la pregnanza di tale pericolo è rafforzata dal contenuto delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME nel procedimento penale monzese.
Il Tribunale, segnalando la spiccata capacità criminale del Savio e soprattutto la sua tendenza ad eludere le indagini anche inquinando il materiale probatorio, ha voluto sottolineare l’inidoneità della misura degli arresti domiciliari, anche accompagnata dal divieto di comunicare con altre persone, di soddisfare le esigenze di cautela, atteso che questa misura poggia necessariamente sull’affidamento in ordine al rispetto, da parte dell’indagato, delle prescrizioni ad essa inerenti.
Quanto all’omessa indicazione del termine di durata della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 292, comma 2, lett. d), cod. proc. pen., il quarto motivo di ricorso risulta infondato.
È costante l’affermazione, ad opera di questa Corte di cassazione, in tema di misure cautelari personali, del principio secondo il quale l’indicazione del termine di scadenza, prescritta dall’art. 292, comma 2, lett. d), cod. proc. pen., per il caso in cui le esigenze cautelari attengano al pericolo di inquinamento probatorio, non è necessaria quando concorrono anche esigenze diverse. (Sez. 1, n. 9902 del 28/01/2021, Bucaria, Rv. 280678 – 01; Sez. 6, n. 1094 del 18/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265892-01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 44809 del 06/11/2003, Segreto, Rv. 227657-01) e nel caso di specie il Tribunale del riesame ha affermato che ricorre anche il pericolo di reiterazione di condotte criminose analoghe a quelle per cui si procede.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc.
pen.
Così deciso il 20/05/2025.