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Appello cautelare: la via giusta contro il sequestro

La Corte di Cassazione interviene su un caso di sequestro probatorio. Un imputato aveva presentato ricorso diretto in Cassazione contro il rigetto della sua istanza di dissequestro. La Corte ha riqualificato il ricorso, definendolo come un appello cautelare, e ha trasmesso gli atti al Tribunale competente. La decisione sottolinea il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, specificando che la via corretta contro tale provvedimento non è il ricorso per cassazione, ma l’appello cautelare ai sensi dell’art. 322 bis c.p.p.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello cautelare: la via corretta contro il rigetto del dissequestro

Nel complesso labirinto della procedura penale, la scelta del corretto mezzo di impugnazione è un passo cruciale che può determinare il destino di un’istanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce la strada da percorrere quando ci si oppone al rigetto di una richiesta di dissequestro. La Corte ha stabilito che lo strumento corretto non è il ricorso diretto in Cassazione, bensì l’appello cautelare ai sensi dell’art. 322 bis del codice di procedura penale. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso

La vicenda ha origine da un provvedimento di sequestro probatorio di una somma di denaro a carico di un imputato. Successivamente, l’interessato presentava un’istanza al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Civitavecchia per ottenere la restituzione, totale o parziale, di quanto sequestrato. Il GIP, tuttavia, respingeva la richiesta.

Contro questa decisione, la difesa dell’imputato decideva di agire proponendo ricorso immediato per cassazione, lamentando una violazione di legge e vizi di motivazione. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, dal canto suo, chiedeva che il ricorso venisse dichiarato inammissibile, sostenendo che il provvedimento impugnato non fosse suscettibile di questo tipo di gravame.

La decisione della Corte di Cassazione

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, investita della questione, ha scelto una via diversa dalla semplice declaratoria di inammissibilità. Pur concordando sul fatto che il ricorso per cassazione fosse uno strumento errato, ha deciso di riqualificare l’impugnazione.

Il Collegio ha trasformato il ricorso in un appello cautelare e ha ordinato la trasmissione degli atti al Tribunale di Civitavecchia, individuato come l’organo funzionalmente competente a decidere nel merito. Questa operazione, basata sull’art. 568, comma 5, c.p.p., risponde al principio di conservazione degli atti giuridici, permettendo che l’istanza della difesa venga esaminata dall’autorità corretta senza essere rigettata per un mero errore procedurale.

L’appello cautelare e il principio di tassatività

Il cuore della decisione risiede nel principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (art. 568, comma 1, c.p.p.). Questo principio stabilisce che una decisione giudiziaria può essere contestata solo con gli strumenti espressamente previsti dalla legge.

Nel caso delle misure cautelari reali, come il sequestro, l’art. 325 c.p.p. permette il ricorso per cassazione solo contro le ordinanze emesse in sede di riesame (art. 324 c.p.p.) o di appello (art. 322 bis c.p.p.), ma non contro la decisione di primo grado del GIP che rigetta un’istanza di revoca. La Corte ha inoltre precisato che il cosiddetto ‘ricorso per saltum’ (che consente di ‘saltare’ un grado di giudizio) è previsto dall’art. 569 c.p.p. solo per le sentenze, non per le ordinanze cautelari.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua scelta richiamando un orientamento consolidato, supportato anche da una pronuncia delle Sezioni Unite. Secondo tale giurisprudenza, avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro non può essere proposto ricorso immediato per cassazione, ma unicamente l’appello cautelare ex art. 322 bis c.p.p.

Essendo il ricorso per cassazione un rimedio non consentito dalla legge per il caso specifico, la Corte avrebbe potuto dichiararlo inammissibile. Tuttavia, applicando il principio di conversione dell’impugnazione, ha optato per una soluzione che garantisce il diritto di difesa. Riqualificando l’atto come appello e inviandolo al giudice competente, la Cassazione ha corretto l’errore procedurale senza vanificare l’azione della parte.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: la precisione nella scelta dello strumento processuale è fondamentale. La decisione della Cassazione, tuttavia, dimostra anche la funzione ‘pedagogica’ e garantista della giurisprudenza di legittimità. Invece di sanzionare l’errore con l’inammissibilità, la Corte ha riqualificato l’atto, indirizzandolo sulla via corretta e assicurando che la richiesta dell’imputato possa essere esaminata nel merito. Si ribadisce così che l’appello cautelare è l’unico strumento idoneo a contestare la decisione del GIP che nega la revoca di un sequestro probatorio.

È possibile ricorrere direttamente in Cassazione contro il rigetto di un’istanza di dissequestro probatorio emesso dal GIP?
No, secondo l’ordinanza, il provvedimento del GIP che rigetta una richiesta di revoca del sequestro probatorio non è direttamente impugnabile con ricorso per cassazione.

Qual è il rimedio corretto contro il rigetto di una richiesta di revoca del sequestro?
Il rimedio corretto previsto dalla legge è l’appello cautelare, ai sensi dell’art. 322 bis del codice di procedura penale, da proporsi al Tribunale competente in funzione di giudice del riesame.

Cosa succede se si sbaglia a presentare il tipo di impugnazione?
In base al principio di conservazione degli atti giuridici, il giudice può ‘riqualificare’ l’impugnazione errata in quella corretta, se ne sussistono i requisiti di forma e sostanza. In questo caso, la Cassazione ha trasformato il ricorso in un appello cautelare e ha trasmesso gli atti all’organo giudiziario competente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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