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Appello cautelare: la Cassazione converte il ricorso

La Corte di Cassazione ha stabilito che il rimedio corretto contro un’ordinanza del GIP che nega la revoca o modifica di una misura cautelare non è il ricorso per cassazione, ma l’appello cautelare. In un caso recente, un imputato aveva impugnato direttamente in Cassazione il rigetto della sua istanza di revoca della custodia in carcere. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in quella sede e, applicando l’art. 568 c.p.p., lo ha convertito in appello, trasmettendo gli atti al Tribunale competente. La decisione ribadisce la netta distinzione tra i mezzi di impugnazione disponibili.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Cautelare: L’Importanza del Corretto Mezzo di Impugnazione

Nel complesso panorama della procedura penale, la scelta del corretto strumento di impugnazione è fondamentale per la tutela dei diritti. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha recentemente ribadito questo principio, chiarendo la differenza tra ricorso per cassazione e appello cautelare in materia di misure restrittive della libertà personale. La decisione sottolinea come un errore procedurale possa portare all’inammissibilità del ricorso, sebbene il sistema preveda un meccanismo correttivo: la conversione dell’atto.

I Fatti di Causa: Dalla Richiesta di Revoca al Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dalla richiesta di un imputato, sottoposto a custodia cautelare in carcere, di ottenere la revoca o la sostituzione della misura con una meno afflittiva. La richiesta era stata presentata al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale competente. Il GIP, tuttavia, aveva rigettato l’istanza, considerandola una mera riproposizione di una precedente richiesta e ritenendo che, nonostante la condanna subita nel frattempo, persistessero i collegamenti dell’imputato con un’organizzazione criminale.

Contro questa decisione, la difesa ha proposto direttamente ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione e una errata interpretazione delle norme sulla durata e le finalità delle misure cautelari, specialmente a seguito di una condanna non ancora definitiva.

La Decisione della Corte: Conversione del Ricorso in Appello Cautelare

La Suprema Corte, nell’esaminare il ricorso, ha rilevato un vizio di procedura insanabile. I giudici hanno chiarito che il provvedimento impugnato, ovvero l’ordinanza del GIP che respinge una richiesta di revoca o modifica di una misura cautelare ai sensi dell’art. 299 c.p.p., non è ricorribile direttamente per cassazione.

Il legislatore ha previsto uno strumento specifico per questo tipo di contestazioni: l’appello cautelare dinanzi al Tribunale del riesame, come disciplinato dall’art. 310 del codice di procedura penale. Di conseguenza, il ricorso è stato qualificato come un tentativo di impugnazione omisso medio, ovvero saltando il grado di giudizio intermedio previsto dalla legge.

Applicando il principio di conservazione degli atti giuridici sancito dall’art. 568, comma 5, c.p.p., la Corte non ha dichiarato la pura e semplice inammissibilità, ma ha disposto la conversione del ricorso per cassazione in appello cautelare, ordinando la trasmissione di tutti gli atti al Tribunale di Roma, quale organo funzionalmente competente per decidere nel merito.

Le Motivazioni della Conversione: Distinzione tra Appello e Ricorso per Saltum

La Corte ha basato la sua decisione su una chiara distinzione tra i rimedi processuali. L’art. 311 c.p.p. ammette il ricorso diretto in Cassazione, cosiddetto per saltum, solo contro le ordinanze che dispongono per la prima volta una misura coercitiva (le cosiddette ordinanze ‘genetiche’). Questo strumento è concepito come un’alternativa al riesame, ma non all’appello.

Al contrario, per tutte le altre ordinanze in materia di misure cautelari personali, come quelle che rigettano una richiesta di revoca, lo strumento ordinario è l’appello previsto dall’art. 310 c.p.p. La Corte ha richiamato consolidata giurisprudenza per affermare che il ricorso diretto non può essere utilizzato per contestare provvedimenti diversi da quelli che applicano inizialmente la misura.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza è un importante monito sull’importanza del rigore procedurale. La scelta del corretto mezzo di impugnazione non è una mera formalità, ma un requisito essenziale per l’ammissibilità della domanda di giustizia. Sebbene il principio di conversione dell’atto consenta di ‘salvare’ l’impugnazione errata, esso comporta comunque un allungamento dei tempi processuali. Per i professionisti del diritto, la profonda conoscenza delle norme procedurali è cruciale per garantire una difesa efficace e tempestiva dei diritti fondamentali della persona, in particolare quando è in gioco la libertà personale.

È possibile impugnare direttamente in Cassazione un’ordinanza che rigetta la revoca della custodia cautelare?
No. Secondo la Corte, il provvedimento con cui il GIP rigetta una richiesta di revoca o modifica di una misura cautelare non è ricorribile direttamente per cassazione. Lo strumento corretto è l’appello cautelare ai sensi dell’art. 310 del codice di procedura penale.

In cosa consiste la conversione del ricorso in appello cautelare?
È un meccanismo previsto dall’art. 568, comma 5, c.p.p., che permette al giudice, qualora un’impugnazione sia proposta con un mezzo non corretto, di non dichiararla inammissibile ma di qualificarla come il mezzo di impugnazione corretto e trasmettere gli atti al giudice competente, garantendo così il principio di conservazione degli atti giuridici.

Quando è ammesso il ricorso per cassazione ‘per saltum’ in materia di misure cautelari?
Il ricorso diretto per cassazione (cosiddetto ‘per saltum’, art. 311 c.p.p.) è ammesso solo per violazione di legge e unicamente contro le ordinanze che dispongono per la prima volta una misura coercitiva. Non è utilizzabile contro le ordinanze che rigettano istanze di revoca o modifica della misura stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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