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Appello cautelare: inammissibile per chat su telefono

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto terzo che chiedeva la restituzione di conversazioni chat presenti sul telefono di un imputato, sottoposto a sequestro. La Corte ha stabilito che, una volta iniziato il dibattimento, l’ordinanza che rigetta la restituzione di beni in sequestro non è immediatamente impugnabile con appello cautelare, ma può essere contestata solo unitamente alla sentenza finale. Questa decisione riafferma un principio stabilito dalle Sezioni Unite, sottolineando che l’inammissibilità dell’appello iniziale si ripercuote sul successivo ricorso per cassazione.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello Cautelare Inammissibile per Restituzione di Chat su Telefono Sequestrato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26271 del 2024, ha affrontato un’importante questione procedurale riguardante l’appello cautelare e la tutela della corrispondenza di terzi. La decisione stabilisce che, una volta iniziato il processo, non è possibile impugnare immediatamente un’ordinanza che nega la restituzione di conversazioni private trovate su un dispositivo sequestrato a un’altra persona. Analizziamo i dettagli di questa pronuncia fondamentale.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di un Sostituto Procuratore della Repubblica, estraneo al procedimento penale principale, di ottenere la restituzione e la distruzione delle sue conversazioni private intercorse via chat con un imputato. Tali conversazioni erano state estratte dal telefono cellulare di quest’ultimo, sottoposto a sequestro probatorio nell’ambito di un’indagine per corruzione.

Il Tribunale di merito aveva inizialmente rigettato la richiesta. Contro tale decisione, il Sostituto Procuratore aveva proposto un appello cautelare, sostenendo la violazione del suo diritto alla segretezza della corrispondenza, garantito dall’articolo 15 della Costituzione. Il ricorrente evidenziava come le conversazioni contenessero dati personali riservati e che, non avendo alcuna rilevanza probatoria per il processo in corso, il loro mantenimento in sequestro fosse illegittimo. Il Tribunale, tuttavia, dichiarava inammissibile l’appello, ritenendo che la legittimazione a chiedere la restituzione spettasse unicamente al titolare del dispositivo sequestrato, ovvero l’imputato.

Di fronte a questa seconda decisione, il Sostituto Procuratore ha presentato ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione.

La Procedura di Appello Cautelare e la Decisione della Cassazione

Il punto cruciale della controversia non riguarda il merito del diritto alla privacy, ma la corretta procedura da seguire. Il ricorrente sosteneva che il suo diritto fondamentale alla segretezza della corrispondenza, essendo stato leso senza una valida ragione probatoria, giustificasse un rimedio immediato come l’appello cautelare.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un consolidato principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite. Questo principio chiarisce le regole di impugnazione dei provvedimenti in materia di sequestro probatorio dopo l’esercizio dell’azione penale.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha spiegato che, una volta superata la fase delle indagini preliminari e iniziato il dibattimento, le regole procedurali cambiano. Secondo le Sezioni Unite (sentenza n. 32938 del 2023), l’ordinanza con cui il giudice del dibattimento rigetta la richiesta di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio non è immediatamente impugnabile con un appello cautelare.

La ragione di questa regola è evitare la frammentazione del processo e garantire che tutte le questioni relative alle prove, inclusa la legittimità del sequestro, vengano decise nell’ambito del giudizio principale. Di conseguenza, la parte interessata potrà contestare il diniego di restituzione solo impugnando la sentenza finale che conclude il processo.

Poiché il Tribunale aveva emesso la sua ordinanza in sede dibattimentale, il ricorrente non avrebbe potuto proporre l’appello. L’erronea proposizione dell’appello cautelare ha reso, a sua volta, inammissibile il successivo ricorso per cassazione. La Cassazione ha sottolineato che un ricorso non può essere proposto contro un provvedimento che, a sua volta, non era appellabile.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza in esame offre un’importante lezione procedurale. Anche in presenza della potenziale violazione di un diritto fondamentale come la segretezza della corrispondenza, le forme e i tempi stabiliti dal codice di procedura penale devono essere rigorosamente rispettati. Per un terzo le cui conversazioni si trovino su un dispositivo sequestrato a un imputato, la via per chiederne la restituzione dopo l’inizio del processo non è l’appello cautelare. Egli dovrà attendere la conclusione del giudizio e impugnare la decisione finale, sollevando in quella sede la questione della illegittimità del mantenimento del sequestro. Questa pronuncia ribadisce la centralità del dibattimento come sede naturale per la risoluzione di tutte le questioni, incluse quelle probatorie, garantendo così l’ordinato svolgimento del processo.

Un terzo può usare l’appello cautelare per chiedere la restituzione delle sue chat da un telefono sequestrato a un imputato durante il processo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una volta che il processo è iniziato (fase dibattimentale), l’ordinanza del giudice che nega la restituzione di beni sequestrati non è immediatamente impugnabile con appello cautelare.

Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile perché era stato proposto contro un’ordinanza che a sua volta dichiarava inammissibile un appello cautelare. Poiché l’appello cautelare non era il rimedio corretto in quella fase processuale, anche il ricorso successivo è risultato inammissibile.

Qual è la procedura corretta per contestare il diniego di restituzione di un bene sequestrato durante la fase dibattimentale?
La parte interessata deve attendere la fine del processo e può contestare il diniego di restituzione solo impugnando la sentenza finale. La questione probatoria deve essere risolta all’interno del giudizio di merito e non attraverso rimedi cautelari separati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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