Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20830 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20830 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GIOIA DEL COLLE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di TARANTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME con le quali si è chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Taranto Sezione Riesame ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del GUP del medesimo Tribunale del 28 novembre 2023, con la quale era stata sostituita la misura della custodia cautelare in carcere (in esecuzione nei suoi confronti) con quella degli arresti domiciliari nell’abitazione.
Nel corso dell’udienza preliminare tenutasi il 27 novembre 2023, dinanzi al GUP del Tribunale di Taranto, ammessa la richiesta di definizione del procedimento con rito abbreviato, la difesa di COGNOME NOME, nel presentare le proprie conclusioni relative al giudizio, aveva chiesto la revoca della misura cautelare, o in subordine la sostituzione con altra meno afflittiva, rispetto alla misura cautelare in esecuzione e il PM rendeva parere favorevole limitatamente a tale ultima richiesta.
All’esito del giudizio, il GUP dichiarava COGNOME NOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi H) ed I) della rubrica (corrispondenti ai capi O e 01 dell ordinanza cautelare) e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia, con la riduzione per il rito.
Con l’ordinanza fatta oggetto di appello, emessa il giorno successivo, il GIP dato atto del parere favorevole del P.M., della pronuncia di condanna emessa nei confronti del COGNOME, del fatto che l’istante risultava detenuto sin dal 13 dicembre 2022 e che poteva ritenersi affievolito il rischio di recidiva a fronte del tempo trascorso, per cui poteva essere disposta la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari presso la propria abitazione.
La difesa del COGNOME propose tempestivo appello, ai sensi dell’art.310 cod.proc.pen. deducendo un unico motivo, intitolato alla violazione degli artt. 274 commi 1 lett. c) , 275, 292 comma 2, lett. c) e 292 cod. proc.pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero dagli altri atti del processo richiamati dallo stesso giudice a quo.
Il Tribunale, puntualizzata l’irricevibilità della richiesta di declaratoria di null dell’ordinanza impugnata in quanto esito non previsto dal punto di vista normativo dell’impugnazione cautelare, ha rigettato l’appello ritenendo esistente e congrua la motivazione adottata considerando che dal verbale dell’udienza preliminare si evinceva che l’istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare non erano state accompagnate da istanze di merito relative alla peculiare posizione del COGNOME, per cui nessun altro contenuto avrebbe potuto avere la motivazione del provvedimento.
Avverso tale ordinanza, ricorre per cassazione NOME COGNOME‘COGNOME sulla base di due motivi, sintetizzati come segue:
con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 309 e 310 cod.proc.pen., ovvero dell’art. 546 cod.proc.pen. in relazione all’art. 292, n. 2, cod.proc.pen., nonché dell’art. 111 Cost., e comunque la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi delle lettere b) ed e) del comma 1 dell’art. 606 cod.proc.pen. Il ricorrente lamenta la violazione del disposto dell’art. 309 n. 9, cod.proc.pen., in ragione della ritenuta irricevibili della richiesta di declaratoria di nullità dell’ordinanza di sostituzione della misura, posto che proprio le differenze dell’ambito della cognizione esistenti tra riesame ed appello avrebbero dovuto condurre all’adozione di un provvedimento ablatorio del provvedimento cautelare privo di motivazione;
con il secondo motivo, si denuncia la violazione degli artt. 274 n. lett. c. cod.proc.pen. in relazione agli artt. 292, n. 2, lett. c) e c bis) cod. proc.pen. nonché in relazione all’art. 299 n. 2 cod.proc.pen. Si rileva l’erroneità della decisione in quanto aveva ritenuto adeguata la motivazione limitata al solo riferimento alla ritenuta degradazione dell’esigenza cautelare, rispetto a quelle per le quali era stata originariamente adottata la misura cautelare del carcere; di contro, non si era tenuta in considerazione l’avvenuta definizione del procedimento con il rito abbreviato ed il decorso della misura sin dal 13 dicembre 2022; tale quadro avrebbe dovuto comportare un ragionamento critico sulla permanenza, l’affievolimento in concreto o l’insussistenza del rischio di recidiva, che invece era del tutto mancato, essendo stata fornita una motivazione del tutto apparente.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Il primo motivo, con il quale si sostiene la violazione di legge processuale unitamente al vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata, si riferisce al punto della decisione inerente alla cognizione del giudice dell’appello cautelare ed alla possibilità che lo stesso annulli l’ordinanza cautelare per vizi diversi da quelli previsti dall’art. 310 cod.proc.pen. ed in particolare per affermato vizio motivazionale del provvedimento impugnato.
Il motivo è infondato, perché incentrato su una ricostruzione erronea dell’ambito della cognizione attribuito all’impugnazione cautelare in oggetto.
Va infatti ricordato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, il Tribunale che giudica in sede di appello proposto contro ordinanza in materia di misure cautelari personali ha cognizione limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Peraltro, come qualsiasi giudice di appello, non ha
potere di annullamento per vizio di motivazione, potere spettante al solo giudice di legittimità. Ne deriva che, qualora ricorra l’anzidetto vizio, il Tribunale ex ar 310 cod. proc. pen. può integrare o sostituire la motivazione del provvedimento impugnato, oppure riformare lo stesso per una diversa valutazione dei fatti, ma non annullare il provvedimento per vizio di motivazione (Sez. 3, n. 1732 del 29/07/1993, Rv. 194467 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 46274 del 2004.
5. Anche il secondo motivo è infondato.
6. In primo luogo, non risponde al vero che l’ordinanza qui impugnata abbia disatteso l’appello cautelare, limitandosi a reiterare le ragioni del primo giudice, posto che alla pagina 3, dopo aver ricordato i termini della seppur sintetica decisione del primo giudice, il Tribunale ha rilevato che in sede di udienza preliminare il difensore dell’imputato si era limitato a chiedere la revoca o, in subordine, la sostituzione della misura con altra meno afflittiva, senza addurre alcun motivo a fondamento dell’istanza e, sostanzialmente, rimettendosi all’ufficio quanto alla individuazione, nel caso di mancata revoca, della misura meno afflittiva rispetto alla custodia cautelare in carcere. Dunque, non vi erano ragioni o richieste difensive sulle quali motivare, mancando anche spontanee dichiarazioni dell’imputato in tal senso.
7. Il Tribunale ha quindi ricordato la copiosa giurisprudenza di legittimità che ha delineato il consolidato principio secondo il quale, in virtù del principio devolutivo che disciplina il giudizio di appello cautelare, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato, non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal “decisum” del provvedimento gravato, sicché con l’appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo ( Sez. 3, n. 30483 del 28 maggio 2015, e numerose altre), ferma restando la specificazione che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non determina automaticamente l’affievolimento delle esigenze cautelari, che anzi, per essere valutate diversamente, richiedono il riscontro di utili elementi sopravvenuti.
Il motivo, che non si correla neanche con tale specifica motivazione, si limita a lamentare genericamente vizi di violazione di legge sulla permanenza dei presupposti della misura cautelare, con riferimento alla sua durata, oltre che della motivazione.
Si tratta, in particolare di critica infondata in fatto, alla luce della sussisten e della congruità della motivazione sopra riferita, ed in diritto, in ragione della piena conferma che deve darsi alla decisione impugnata in punto di ambito della cognizione del giudizio di appello cautelare.
9. Ciò in applicazione del principio, correttamente richiamato nell’ordinanza impugnata, secondo cui, l’appello previsto dall’art. 310 cod. proc. pen., a differenza del riesame, ha conservato la fisionomia tradizionale del mezzo di gravame, per cui i motivi (che debbono essere indicati contestualmente a pena di inammissibilità), hanno la funzione di determinare e delimitare l’oggetto del giudizio, circoscrivendo quindi la cognizione del tribunale cosiddetto “della libertà” ai punti della decisione impugnata che hanno formato oggetto di censura, come, del resto, è dimostrato anche dal mancato richiamo, nel suddetto art. 310, del comma nono dell’art. 309. Pertanto, qualora un’ordinanza in materia di libertà personale, pronunciata ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen., venga impugnata solo dal pubblico ministero, il giudice dell’appello non può emettere un provvedimento più favorevole all’interessato di quello adottato dal primo giudice (Sez. 6, n. 1204 del 28/04/1993, Rv. 194885 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 16310 del 2022).
10, Inoltre, va pure riaffermato che in tema di misure cautelari, l’obbligo di tener conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato, previsto dall’art. 292, lett. c), nella nuova formulazione introdotta dall’art. 9, comma primo, della legge 8 agosto 1995 n. 332, non incide sulle caratteristiche dell’appello disciplinato dall’art. 310 cod. proc. pen., per il quale continua ad operare il principio di devoluzione, con la conseguenza che il suddetto fattore deve essere preso in esame dal giudice d’appello non in ogni caso ma solo se ad esso si è fatto espresso riferimento nei motivi posti a sostegno del gravame (Sez. 1, n. 3391 del 17/05/1996, Rv. 205147 – 01; Sez. 6, n. 23819 del 2019).
In definitiva, il ricorso va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2024.