Amministrazione Giudiziaria di Beni Sequestrati: I Rimedi Corretti
In una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un importante chiarimento sui rimedi esperibili contro i provvedimenti che riguardano l’amministrazione giudiziaria di beni sottoposti a sequestro preventivo. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale tra l’impugnazione del vincolo cautelare e la contestazione delle modalità di gestione del bene, indirizzando gli interessati verso il corretto percorso procedurale ed evitando ricorsi destinati all’insuccesso.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dal ricorso presentato dal titolare delle quote e amministratore di una società, proprietaria di un appartamento a Latina. L’immobile era stato oggetto di un decreto di sequestro preventivo emesso nel 2018, finalizzato alla confisca, nell’ambito di un procedimento per il reato di riciclaggio.
L’interessato non contestava la legittimità del sequestro in sé, ma si opponeva alla sottoposizione del bene ad amministrazione giudiziaria. A suo avviso, questa misura era immotivata e pregiudicava l’uso gratuito dell’immobile, che gli era stato concesso. Pertanto, aveva richiesto la revoca dell’amministrazione giudiziaria, ma il Tribunale di Latina aveva rigettato la sua istanza. Contro questa decisione, l’amministratore ha proposto ricorso per cassazione.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo proposto contro un provvedimento non impugnabile con tale mezzo. La decisione si fonda su un orientamento giurisprudenziale consolidato, che distingue nettamente tra la natura del vincolo cautelare (il sequestro) e quella degli atti di gestione del bene sequestrato.
Le Motivazioni della Sentenza sull’Amministrazione Giudiziaria
La Corte ha spiegato che la regola generale di appellabilità delle ordinanze in materia di sequestro, prevista dall’art. 322-bis del codice di procedura penale, non si applica a quei provvedimenti che hanno una natura sostanzialmente amministrativa e che intervengono nella fase di esecuzione della misura cautelare.
Rientrano in questa categoria gli atti che riguardano la gestione ordinaria dei beni sequestrati, come le autorizzazioni al compimento di atti giuridici o, appunto, la nomina o la revoca del custode o dell’amministratore. Questi provvedimenti non incidono sull’esistenza o sulla modifica del vincolo cautelare, ma ne disciplinano unicamente le modalità esecutive e attuative.
Di conseguenza, il rimedio corretto per contestare tali atti non è il ricorso ai mezzi di impugnazione ordinari (come l’appello o il ricorso per cassazione), bensì l’opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione. È quest’ultimo, infatti, l’organo competente a vigilare sulla legittimità e sulla correttezza delle modalità con cui una misura cautelare reale viene eseguita.
In sintesi, la Corte ha affermato che il ricorrente avrebbe dovuto proporre opposizione al giudice dell’esecuzione del Tribunale di Latina, e non ricorrere direttamente in Cassazione.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre un’importante lezione procedurale: è cruciale distinguere l’oggetto della contestazione. Se si intende mettere in discussione il sequestro in sé (il cosiddetto an della misura), si devono utilizzare gli strumenti di impugnazione previsti dalla legge, come il riesame o l’appello. Se, invece, la doglianza riguarda il quomodo, cioè le modalità di gestione e amministrazione del bene già vincolato, la via da percorrere è quella dell’incidente di esecuzione.
La scelta di un rimedio errato, come in questo caso, porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la conseguenza non solo di non ottenere una pronuncia nel merito, ma anche di essere condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto per il ricorrente, condannato a versare 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
È possibile impugnare in Cassazione un provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria di un bene sequestrato?
No, secondo la Corte, i provvedimenti relativi alle modalità esecutive e gestionali di un sequestro, come la nomina di un amministratore, non sono autonomamente impugnabili con ricorso per cassazione, in quanto considerati atti di natura amministrativa.
Qual è lo strumento corretto per contestare le modalità di gestione di un bene sotto sequestro preventivo?
Lo strumento corretto è l’opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione, che ha il compito di controllare la legittimità e la correttezza delle modalità con cui la misura cautelare viene attuata.
Perché la Corte distingue tra l’applicazione del vincolo cautelare e la sua gestione?
La Corte fa questa distinzione perché l’applicazione del vincolo (il sequestro) è una misura che incide sulla disponibilità del bene ed è soggetta a specifici mezzi di impugnazione. La gestione, invece, attiene all’amministrazione ordinaria del bene già sequestrato e rientra nella fase esecutiva, la cui supervisione spetta al giudice dell’esecuzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21978 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 21978 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MADDALONI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 05/12/2023 del GIP TRIBUNALE di LATINA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e IN DIRITTO
COGNOME NOME, titolare delle quote RAGIONE_SOCIALE ed amministratore della medesima, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Latina che ha rigettato la richiesta di revoca dell’amministrazione giudiziaria in relazione all’appartamento sito in Latina, alla INDIRIZZO, di proprietà della predetta società, oggetto di decreto di sequestro preventivo disposto in via diretta ai fini di confisca in data 9/4/2018 in relazione al reato di riciclaggio.
Con il ricorso lo COGNOME non ha contestato il vincolo reale sul bene, ma ha dedotto la carenza di esigenze tali da giustificare la sottoposizione dello stesso ad amministrazione giudiziaria, che si assume disposta immotivatamente e tale da pregiudicare l’uso gratuito del bene concesso al proprietario di tutte le quote sociali.
Il ricorso è inammissibile perché concernente un provvedimento non impugnabile.
E’ stato osservato che, in tema di sequestro preventivo, la disposizione di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen., che prevede la generale appellabílítà delle ordinanze adottate in materia, non trova applicazione per quei provvedimenti aventi natura sostanzialmente amministrativa che intervengono nella fase dell’esecuzione della misura cautelare e che si concretizzano in provvedimenti di autorizzazione al compimento di atti giuridici di natura privatistica concernenti le vicende e la gestione ordinaria dei beni sequestrati sottoposti ad amministrazione ovvero nella nomina o la revoca del custode (Sez. 2 n. 25045 del 10/5/2022 n.m.; Sez. 5, n. 18777 del 18/12/2014, Rv. 263674; Sez. 3, n. 39181 del 28/05/2014 Rv.260381 Sez. 6, n. 28003 del 26/03/2014, Rv. 262043).
In coerenza con tale consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano. Ed invero, per i provvedimenti emessi dal giudice delle indagini preliminari in materia di amministrazione dei beni in sequestro sono esperibili altri rimedi e non certamente il ricorso pe cassazione; in particolare questa corte ha affermato che in tema di sequestro preventivo, i provvedimenti del giudice in ordine alla nomina e all’operato dell’amministratore giudiziario, non attenendo all’applicazione o alla modifica del vincolo cautelare, ma alle modalità esecutive ed attuative della misura, non sono autonomamente impugnabili, essendo consentita la sola opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione, al quale compete il controllo di legittimità delle modalità di esecuzione della misura. Ne consegue che avverso il provvedimento impugnato con il presente ricorso per Cassazione il ricorrente avrebbe dovuto proporre l’opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione dello stesso (Sez. 2, n. 946 del 21/11/2018, Rv. 274723).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro tremila.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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