Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14109 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14109 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Carbonia, il 06/06/1979 avverso la sentenza del 15/11/2023 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che, richiamatasi a quelle già rassegnate, ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, ha concluso per il rigetto del ricorso; udite le conclusioni rassegnate dall’avv. NOME NOME COGNOME che ha integralmente richiamato i motivi di ricorso, invocandone l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 novembre 2022 il Tribunale ordinario di Roma, ha giudicato COGNOME ElenaCOGNOME nella qualità di legale rappresentante pro tempore della “RAGIONE_SOCIALE, colpevole del reato contestatole di cui all’art. 10-ter d.lgs 74/2000 (commesso il 27.12.2016) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, l’ha condannata alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e con i benefici di legge; ha disposto le pene accessorie di legge e ordinato nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE e dell’imputata la confisca della somma di euro 493.390,00, ovvero, solo quanto alla imputata la confisca di beni fino alla concorrenza della somma stessa.
Con sentenza del 15 novembre 2023 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale e condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado.
COGNOME NOME ha proposto tempestivo ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia, affidandolo a due motivi.
3.1. Col primo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett e) in relazione all’elemento soggettivo del reato ascritto alla ricorrente, nonché erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett b) con riferimento agli artt. 43, comma 1, cod.pen., e 10-ter d.lgs. 74/2000, nella parte in cui si ritiene sussistente il dolo generico.
La censura di illogicità e contraddittorietà attiene alla ritenuta sussistenz dell’elemento psicologico del reato contestato, nella specie del dolo generico, a fronte della valorizzazione dell’atteggiamento psicologico della ricorrente, ritenuto indicativo di incolpevole affidamento e infantile ingenuità manifestate verso il reale dominus dell’azienda.
La sentenza sarebbe comunque carente e contemporaneamente erronea nella applicazione della norma di cui all’art. 43, comma 1, cod.pen, con riferimento all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000, sotto il profilo della individuazione degli elementi concretamente indicativi del dolo della fattispecie, idonei a far derivare dalla accettazione della carica quegli obblighi che, non rispettati, soli consentirebbero di far discendere la positiva affermazione della sua responsabilità, nella parte in cui non specifica gli elementi indicativi del dolo della ricorrente.
3.2. Col secondo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett b) in relazione agli artt. 132 e 133 cod.pen. e 10-ter d.lgs. 74/2000, nella determinazione della pena principale e di quelle accessorie. Nonché
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, ex art. 606, comma 1, lett e) in ordine al medesimo aspetto.
Con l’atto di appello la difesa aveva lamentato, ex art. 133 cod.pen., la mancata valorizzazione da parte del Tribunale del pagamento parziale, per oltre un milione di euro, del debito tributario, le dichiarazioni rese e il comportamento processuale dell’imputata, che avrebbero consentito la determinazione della pena base nel minimo.
La Corte d’appello ha ritenuto congrua la pena già applicata dal tribunale in ragione della entità del debito tributario e della ingenuità, leggerezza e superficialità del condotta tenuta a fronte delle competenze possedute, che avrebbero dovuto condurre ad un agire corretto, con ciò errando nell’applicazione delle norme dettate in materia di determinazione della pena principale e di quelle accessorie, e comunque omettendo di adeguatamente motivare in proposito alle censure già svolte dalla difesa con l’impugnazione proposta.
3.3. Col terzo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett e) cod.proc.pen., in relazione alla confisca per equivalente di cui all’art. 12-bis d.lgs n. 74/2000 disposta nei confronti dell’imputata, nonchè erronea applicazione di legge ex art. 606, comma 1, lett b) cod.proc.pen, anche in relazione al principio di proporzionalità ed adeguatezza.
La Corte territoriale ha confermato la sentenza del Tribunale anche quanto alla confisca, per equivalente, in caso di incapienza della società, nei confronti dell’imputata per l’ammontare di € 493.390,00, importo corrispondente al profitto del reato ignorando le argomentazioni difensive relative all’animus della ricorrente (accettazione del ruolo per motivi esclusivamente sentimentali e in assenza di percezione di profitto alcuno); ha semplicemente argomentato sulla qualifica ricoperta, pur indicandone in altri il reale dominus della intera vicenda; sarebbe incorsa, dunque, in erronea applicazione di legge -così dei principi dettati in ambito sovranazionale, come di quelli dettati in materia dalla giurisprudenza sia costituzionale sia di legittimità- e non avrebbe tenuto conto del principio d proporzionalità e adeguatezza nel confermare la misura ablativa.
3.4. Invoca, conclusivamente, l’annullamento con rinvio per la rivalutazione dei profili e delle censure ritenute meritevoli di accoglimento.
Il Prouratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso; la difesa per il s accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo risulta palesemente inammissibile per genericità estrinseca.
Il ricorso ripropone in parte qua le medesime deduzioni difensive devolute alla Corte di appello e disattese con argomenti del tutto congrui.
Le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; conformi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 – 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, 3allow, Rv. 275841 – 01) hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da genericità «estrinseca» quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l’atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
1.1. In ogni caso deve rammentarsi che, ai fini dell’individuazione del soggetto obbligato in relazione al delitto di omesso versamento dell’IVA, la qualifica di legale rappresentante di una società e il connesso potere di rappresentanza sì acquistano direttamente con l’atto di conferimento della nomina (Sez. 3, n. 13319 del 07/03/2023, Albanese, Rv. 284282 – 01); che del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l’amministratore di fatt risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (Sez. 2, n. 8632 del 22/12/2020, Rv. 280723 – 01; Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018, Rv. 275830 – 01; Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, Rv. 264971 – 01).
E’ peraltro consolidato l’orientamento, che il Collegio condivide, secondo cui l’amministratore di diritto risponde, al pari dell’amministratore di fatto, dei re tributari, tra cui, come nel caso in esame, quello di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 (Sez. 2, n. 8632 del 22/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280723-01; Sez. 3, n. 15900 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 266757 – 01).
Si rammenta che il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell’operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 cod. c in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi (cfr. Sez. F, n. 42897
del 09/08/2018 Rv. 273939 – 02; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006 – dep. 04/07/2006, COGNOME, Rv. 234474).
1.2. Nel caso di specie, la Corte di appello ha comunque focalizzato le ragioni della condanna precisando che la ricorrente, legale rappresentante pro-tempore della “RAGIONE_SOCIALE, aveva omesso di vigilare e impedire l’evento che costituisce l’addebito mossole.
Ed appare supportata sul piano logico la considerazione che, essendo ella ragioniera, per esperienza lavorativa pregressa essendosi occupata delle gare e dell’ufficio commerciale presso il consorzio RAGIONE_SOCIALE di cui era stata dipendente seguendone anche gli aspetti legali, e quindi per competenze specifiche, pienamente in grado di intendere la situazione e di valutarne le implicazioni.
1.4. Va aggiunto che il delitto necessita della componente del dolo generico, non essendo richiesta la finalità specifica di evadere le imposte o consentire l’evasione a terzi (Così sin pronuncia delle Sezioni Unite , n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758). Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter: per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato.
Anche il secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett b) in relazione agli artt. 132 e 133 cod.pen. e 10-ter d.lgs. 74/2000, nella determinazione della pena principale e di quelle accessorie, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, ex art. 606, comma 1, lett e) in ordine al medesimo aspetto, è inammissibile.
Si rammenta, in premessa, che la graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen..
Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tip «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n.
12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01).
La Corte di appello ha dunque adeguatamente risposto al motivo specifico e nel giudizio di cassazione è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.).
3. Col terzo motivo, anch’esso inammissibile, la difesa denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett e) cod.proc.pen., in relazione alla confisca per equivalente di cui all’art. 12-bis d.lgs n. 74/2000 disposta nei confronti dell’imputata, nonchè erronea applicazione di legge ex art. 606, comma 1, lett b) cod.proc.pen, anche in relazione al principio di proporzionalità ed adeguatezza.
Attraverso la censura fondata sul fatto che la COGNOME non avrebbe avuto conoscenza diretta delle vicende societarie non frequentando la sede della società e non avendo accesso ai relativi documenti, e che non vi sarebbe stato alcun accrescimento patrimoniale per l’imputata, la ricorrente intende in questa sede censurare le argomentazioni esposte dal giudice di appello, adeguatamente supportate sul piano logico e dei principi.
La Corte territoriale, infatti, premesse le argomentazioni svolte in ricorso, ha, da un lato, correttamente stigmatizzato l’erroneità della concezione della figura dell’amministratore, dei suoi doveri e delle sue responsabilità, come posta a fondamento delle lagnanze difensive, conseguentemente erroneamente conducenti ad ignorare il principio esposto dall’art. 40, comma 2, cod pen, e delle conseguenze riconducibili alla posizione di garanzia assunta dalla odierna ricorrente a seguito dell’assunzione della carica di amministratore, riportandosi, in proposito, a quanto già precedentemente argomentato e da questa Corte ritenuto conforme al dettato normativo.
La Corte di appello ha, dall’altro, correttamente motivato in ordine alla allegata (dalla difesa) carenza di prova di un accrescimento patrimoniale/monetario del soggetto che dovrebbe patire la confisca, evenienza propria della seconda linea argomentativa del ricorso in parte qua. Ed ha, al proposito, precisato la corretta interpretazione dei principi della sentenza di questa Corte, nel suo supremo consesso, id est Sez Un. N. 10561/2024 -dalla ricorrente ‘travisati’- allorquando ha affermato che la confisca diretta, nei confronti della società, è ben possibile (ed
è stata infatti nella specie disposta, in primo luogo, per la somma corrispondente al tributo evaso< profitto del reato) indipendentemente dal riscontro del corrispondente accrescimento monetario/patrimoniale nella disponibilità della società; che anzi proprio il meccanismo dei finanziamenti ad altri soggetti commerciali del gruppo cui faceva riferimento la RAGIONE_SOCIALE e dei quali si offre adeguata ricostruzione nella sentenza di primo grado sulla scorta della deposizione del teste COGNOME spiega in maniera esauriente l'assenza del provato accrescimento, in quanto tali finanziamenti dimostrano come sia stata sfruttata l'evasione fiscale per finanziare e ripianare situazioni di difficoltà finanziarie di a società del gruppo sacrificando l'interesse dell'Erario cui quelle somme sono state sottratte; che tanto giustifica ampiamente la confisca diretta disposta; che, ancora, proprio l'incapienza della società ha determinato, nel caso -verificatosi in concreto- di inoperatività della stessa, quella per equivalente nei confronti dell'organo sociale che, di diritto, ha concretamente operato, consentendo, senza impedirlo, siffatto meccanismo di finanziamenti.
Si tratta di motivazione corretta in diritto, sorretta dai dati processualmente acquisiti rispetto ai quali è conforme, non manifestamente illogica, sicchè immune dalle censure difensive, che si palesano manifestamente infondate.
4. Per quanto esposto il ricorso è inammissibile.
Senza che ciò incida sulla confisca in quanto disposta con sentenza di condanna, in primo grado (15 novembre 2022), ben prima della perenzione del termine di prescrizione che non è ancora maturata, attesa la data del commesso reato al 27/12/2016 e ordinariamente in scadenza il 26/06/2024, va computato considerando i 747 giorni di sospensione risultanti dai verbali di causa in atti con rispettivamente 224, 184 e 275 giorni di sospensione per rinvii su istanza della difesa e 67 ulteriori giorni di sospensione per rinvio conseguente alla pandemia Covid-19.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue l'onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 novembre 2024
Il Presidente