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Amministratore prestanome: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per reati tributari di un amministratore prestanome, respingendo la sua difesa basata sulla mancanza di dolo. Secondo la Corte, accettare consapevolmente il ruolo di amministratore formale, pur senza gestire l’azienda, implica l’accettazione dei rischi penali connessi. La sentenza stabilisce che il dolo generico è sufficiente e può essere desunto dalla consapevolezza dell’illegalità dell’attività. Anche l’eccezione di prescrizione è stata rigettata.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore Prestanome: La Cassazione Conferma la Responsabilità Penale nei Reati Tributari

La figura dell’amministratore prestanome è spesso al centro di complesse vicende giudiziarie, specialmente in materia di reati tributari. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: accettare di ricoprire formalmente la carica di amministratore, anche senza partecipare attivamente alla gestione aziendale, non esonera da responsabilità penali. Vediamo nel dettaglio come i giudici sono giunti a questa conclusione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un amministratore di diritto, condannato dalla Corte di Appello per il reato di omesso versamento di imposte (previsto dall’art. 10-ter del d.lgs. 74/2000), in riforma di una precedente sentenza di assoluzione del Tribunale. L’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione sostenendo due motivi principali:

1. Assenza di dolo: a suo dire, egli era una mera “testa di legno”, un semplice prestanome ignaro delle dinamiche aziendali e quindi privo dell’intenzione di commettere il reato.
2. Prescrizione del reato: sosteneva che il tempo per punire il reato fosse ormai scaduto prima della sentenza di secondo grado.

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente accolto la tesi difensiva, assolvendo l’imputato per mancanza di dolo. Tuttavia, la Corte di Appello, su ricorso del Procuratore generale, ha ribaltato la decisione, ritenendolo colpevole.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando in via definitiva la condanna. I giudici hanno smontato entrambe le argomentazioni difensive, fornendo chiarimenti cruciali sulla responsabilità penale dell’amministratore di diritto.

L’analisi sulla responsabilità dell’amministratore prestanome

La Corte di Appello aveva correttamente rivalutato le prove, accertando che l’imputato non era una figura passiva. Egli aveva accettato la carica in cambio di un corrispettivo, era consapevole fin dall’inizio della mancanza di liquidità della società e della volontà dell’amministratore di fatto di garantirsi l’impunità. Inoltre, aveva ricoperto il ruolo per tre anni, compiendo anche operazioni complesse come una fusione per incorporazione. Questi elementi, secondo i giudici, dimostrano che l’imputato aveva accettato consapevolmente il rischio connesso all’esercizio dell’attività d’impresa e alla carica ricoperta.

Il rigetto dell’eccezione di prescrizione

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha effettuato un calcolo preciso dei termini di prescrizione, tenendo conto della data di commissione del reato e degli atti interruttivi. Il risultato è stato che il termine non era ancora maturato al momento della decisione, rendendo l’argomento della difesa irrilevante.

Le Motivazioni

Il cuore della sentenza risiede nella definizione del dolo richiesto per i reati tributari a carico dell’amministratore prestanome. La Cassazione ha specificato che in questi casi è sufficiente il cosiddetto “dolo generico”. Non è necessario che l’amministratore di diritto compia materialmente l’azione illegale; basta che egli abbia accettato la carica con la consapevolezza che la sua nomina avrebbe potuto consentire a terzi (l’amministratore di fatto) di commettere reati.

La prova di questo dolo può essere desunta da una serie di indizi, come:

* La macroscopica illegalità dell’attività svolta dalla società.
* La piena consapevolezza di tale illegalità.
* L’accettazione di un compenso per ricoprire un ruolo puramente formale.

In sostanza, chi accetta di fare da “schermo” per un altro soggetto si assume la responsabilità di tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano, comprese quelle penali.

Le Conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: la posizione di amministratore prestanome non costituisce uno scudo contro la responsabilità penale per i reati tributari. La sentenza invia un messaggio chiaro: la legge non tollera che le cariche sociali vengano utilizzate come meri strumenti per eludere le normative fiscali e penali. Chiunque accetti un incarico di amministratore, anche se solo sulla carta, deve essere consapevole degli obblighi e dei rischi giuridici che ne derivano, poiché la semplice accettazione della carica in un contesto di palese illegalità è sufficiente a integrare l’elemento soggettivo del reato.

Un amministratore ‘prestanome’ può essere ritenuto penalmente responsabile per i reati tributari della società?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che accettare la carica di amministratore, anche se solo formalmente, implica l’assunzione dei rischi connessi, inclusa la responsabilità penale per i reati commessi nell’interesse della società.

Che tipo di dolo è richiesto per condannare un amministratore prestanome?
È sufficiente il ‘dolo generico’. Non è necessaria la volontà specifica di evadere le imposte, ma basta la consapevolezza di accettare il ruolo di amministratore in un contesto di illegalità, consentendo così ad altri di commettere reati.

L’essere un semplice prestanome è una difesa valida per escludere la propria responsabilità?
No. Secondo la sentenza, essere un mero prestanome non è una difesa sufficiente. La responsabilità penale sorge dall’aver accettato il rischio connesso alla carica, essendo consapevoli della mancanza di liquidità della società e della volontà dell’amministratore di fatto di garantirsi l’impunità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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