Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17283 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17283 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata in Cina il 10/11/1968
Avverso la sentenza emessa in data 07/06/2024 dalla Corte di Appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/06/2024, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa dal Tribunale di Ravenna, in data 28/06/2022, nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di omessa dichiarazione fraudolenta a lei ascritta al capo e) della rubrica, in qualità amministratore/legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, in concorso con COGNOME NOME (separatamente giudicato).
Ricorre per cassazione la HU, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento alla mancata attribuzione alla ricorrente della qualifica di prestanome/testa di legno, e alla mancata valutazione degli atti richiamati in appello. Si censura il mancato apprezzamento del verbale della Guardia di Finanza e delle dichiarazioni dell’operante, sollecitato con l’atto di appello, al quale la Corte territoriale aveva risposto con una motivazione apparente, in quanto meramente riproduttiva, anche lessicalmente, delle considerazioni svolte dal primo giudice. Tale iter motivazionale aveva determinato, ad avviso della difesa ricorrente, una sostanziale elusione delle censure formulate con l’atto di appello.
2.2. Vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta presenza della ricorrente in territorio italiano, nel periodo dei fatti ed in quello precedente e successivo. censura la sentenza per aver anche in questo caso sostanzialmente ignorato i motivi di appello – anche quanto alle prove documentali (timbri sul passaporto) essendosi limitata ad una mera riscrittura di quanto osservato dal Tribunale, senza neanche prendere in considerazione i rilievi, svolti in sede di controesame, relativi al fatto che l’apertura di un conto corrente può essere effettuata anche mediante delega.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, in considerazione della non decisività dei profili censurati (potendo anche il prestanome essere chiamato a rispondere del reato di dichiarazione fraudolenta), e degli elementi a sostegno dell’accusa emersi (dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME) anche quanto alla presenza in Italia della ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La “doppia conforme” di condanna non è stata contrastata dalla HU prospettando l’infondatezza dell’accusa di dichiarazione fraudolenta formulata a suo carico, in quanto amministratore e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE Tale ipotesi di reato è stata invero concordemente convalidata dai giudici di merito, i quali – in relazione all’elemento oggettivo del reato – hanno posto in evidenza gli esiti degli accertamenti in sede tributaria, del tutto univoci sia quant all’inesistenza delle operazioni sottese alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE (pacificamente risultata essere una “cartiera”), sia la non rispondenza al vero delle risultanze di contabilità secondo cui l’importo di tali fatture (utilizzate l’indicazione di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni della RAGIONE_SOCIALE ai IVA e IRES dell’anno 2013) appariva saldato a mezzo di bonifici bancari (cfr. pag.
2 della sentenza impugnata, contenente ampi richiami alla decisione di primo grado).
Come già ricordato nell’esposizione che precede, la difesa ha invece incentrato le proprie doglianze sulla riproposizione di quanto già dedotto in appello in ordine alla necessità di considerare la HU una mera “testa di legno”, e di conferire il dovuto apprezzamento al fatto che, al momento della presentazione del bilancio, la ricorrente non si trovava in Italia.
2.1. La prospettazione difensiva non può essere condivisa, avuto riguardo al più recente indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di omessa dichiarazione, il legale rappresentante di un ente che non abbia dello stesso l’effettiva gestione non risponde ex art. 40, comma secondo, cod. pen. per violazione dei doveri di vigilanza e controllo derivanti dalla carica rivestita, m quale autore principale della condotta, in quanto direttamente obbligato ex lege a presentare le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto di soggetti diversi dalle persone fisiche, che devono essere da lui sottoscritte e, solo in sua assenza, da chi abbia l’amministrazione, anche di fatto» (Sez. 3, n. 20050 del 16/03/2022, COGNOME, Rv. 283201 – 01. Nello stesso senso, con specifico riferimento all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, v. da ultimo Sez. 3, n. 46541 de 16/10/2024, Polieri).
Colgono allora nel segno, in tale ottica ricostruttiva, le affermazioni della Corte territoriale secondo cui, da un lato, “la carica rivestita da NOME COGNOME implica la sua responsabilità nei confronti dei terzi per le attività svolte personalmente, o comunque a lei riconducibili, tra le quali si annoverano tutti gli atti di gestion diretta ovvero delegata, comprese quindi anche le dichiarazioni fiscali” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). D’altro lato, la Corte d’Appello ha tratto precise conclusioni da tale diversa e più moderna impostazione, affermando che “grava in capo all’amministratore di diritto, quindi, l’onere di dimostrare che di fatto l’attiv gestoria della società venisse svolta da altra persona e che ella non avesse assunto neppure le doverose informazioni in merito a tale gestione e quindi allo svolgimento dell’attività oggetto delle fatturazioni” (cfr. pag. 6).
2.2. Deve conclusivamente osservarsi che l’odierna ricorrente non si è adeguatamente confrontata nemmeno con le specifiche risultanze, concordemente valorizzate dai giudici di merito, comprovanti una sua posizione non meramente formale.
Oltre alle premesse ricostruttive dell’operante COGNOME, secondo cui la HU era nota all’ufficio perché collegata alla “galassia di imprese” riconducibili a COGNOME NOME e COGNOME NOME (cfr. pag. 2), vengono in rilievo le dichiarazioni non solo di tale ultimo coimputato (secondo cui la HU era da lui conosciuta da anni come persona attiva nella gestione di diverse attività imprenditoriali, per le quali si e
avvalsa della propria collaborazione professionale), ma anche della teste COGNOME
NOME, collaboratrice dello COGNOME, la quale aveva ammesso di essersi rapportata “più volte” con la HU per la gestione della contabilità della NINNA (cfr.
pag. 5 della sentenza, nella quale viene anche riassunta la deposizione del
COGNOME quanto alla dichiarazione fraudolenta per cui è causa, in relazione alla quale lo COGNOME aveva acquisito dalla ricorrente la delega a sottoscrivere le
dichiarazioni, poi esercitata digitalmente).
3. Le considerazioni fin qui svolte rendono ultroneo soffermarsi sui profili dedotti in appello quanto alla presenza in Italia della HU: la mancanza di un
adeguato confronto con le risultanze fin qui sintetizzate impone infatti una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della
Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11 marzo 2025
Il Consiglie