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Amministratore formale: la Cassazione sulla responsabilità

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un amministratore formale (o ‘prestanome’) e del dominus di fatto di una società fallita. La Corte ha stabilito che la responsabilità dell’amministratore formale sussiste quando, pur non gestendo direttamente la società, è consapevole della condotta illecita del gestore di fatto e accetta il rischio che vengano occultate le scritture contabili per nascondere le operazioni fraudolente.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore Formale: Quando il ‘Prestanome’ Risponde di Bancarotta?

La figura dell’amministratore formale, comunemente noto come ‘prestanome’, è spesso al centro di complesse vicende di diritto penale societario. Chi accetta di ricoprire una carica solo sulla carta, lasciando la gestione effettiva a un altro soggetto (l’amministratore di fatto), può essere chiamato a rispondere penalmente in caso di fallimento? Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna sul tema, delineando i confini della responsabilità penale del prestanome per il reato di bancarotta fraudolenta.

I Fatti del Caso: La Gestione di Fatto e il Ruolo del Prestanome

La vicenda riguarda il fallimento di una società a responsabilità limitata. Le indagini avevano rivelato una gestione duale: da un lato, un amministratore di fatto, vero dominus del gruppo societario, che aveva distratto una somma ingente (circa 850.000 euro) a favore di altre società del gruppo; dall’altro, un amministratore unico formale, che secondo la sua difesa era una mera ‘testa di legno’, del tutto estraneo alla gestione operativa e finanziaria. Entrambi venivano condannati nei gradi di merito per bancarotta fraudolenta: il primo per distrazione e per aver occultato le scritture contabili, il secondo per concorso in quest’ultimo reato.

La Decisione della Cassazione sulla Responsabilità dell’Amministratore Formale

Entrambi gli imputati proponevano ricorso in Cassazione. L’amministratore di fatto contestava la prova del suo ruolo dominante e la natura distrattiva delle operazioni. L’amministratore formale, invece, sosteneva la sua totale inconsapevolezza, chiedendo che la sua condotta venisse al più riqualificata come colposa. La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando le condanne.

La Posizione dell’Amministratore di Fatto

Per quanto riguarda il gestore effettivo, la Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello pienamente logica e fondata su prove concrete, come le testimonianze e le stesse ammissioni dell’imputato. Le operazioni di trasferimento di fondi verso altre società del gruppo, in assenza di una valida giustificazione economica, sono state correttamente qualificate come distrattive. La successiva sparizione dei libri contabili è stata vista come una condotta funzionale a nascondere tali illecite operazioni.

La Responsabilità Penale dell’Amministratore Formale

Il punto cruciale della sentenza riguarda la posizione del prestanome. La Corte chiarisce che l’assunzione della carica formale non comporta un’automatica esenzione da responsabilità, né, d’altro canto, una condanna automatica. La responsabilità penale non è ‘di posizione’, ma deve essere ancorata al principio di colpevolezza.
Per affermare la responsabilità per bancarotta documentale, è necessario dimostrare che l’amministratore formale avesse la ‘rappresentazione psicologica’ del disegno fraudolento del gestore di fatto. Nel caso specifico, i giudici hanno individuato una serie di ‘indici di fraudolenza’ che provavano tale consapevolezza:

Il rapporto di fiducia preesistente: l’amministratore formale era l’autista e la guardia del corpo del dominus*.
* L’accettazione dell’incarico senza compenso e senza possedere le competenze necessarie.
* La detenzione del 99% del capitale sociale della società fallita.
* L’aver ricoperto il ruolo di amministratore anche in altre società del gruppo.

Questi elementi, valutati nel loro complesso, hanno convinto la Corte che l’imputato non fosse una vittima ignara, ma un alter ego del gestore di fatto, pienamente consapevole della possibilità concreta che le scritture contabili venissero occultate per nascondere le attività illecite, e che avesse accettato tale rischio.

le motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione sul principio della ‘posizione di garanzia’ che grava sull’amministratore di diritto ai sensi dell’art. 2392 c.c. e dell’art. 40, comma 2, c.p. Chi assume una carica societaria ha il dovere di vigilare sull’operato altrui e di impedire la commissione di reati. L’abdicazione totale a tali doveri non esonera da responsabilità, ma ne costituisce il presupposto. Tuttavia, per integrare il dolo di bancarotta fraudolenta documentale, la giurisprudenza richiede la prova di una ‘consapevolezza effettiva e concreta’ dello stato delle scritture e della loro programmata sottrazione. Questa prova può essere raggiunta anche attraverso un ragionamento inferenziale basato su una pluralità di indici gravi, precisi e concordanti. La sentenza sottolinea come l’attività distrattiva posta in essere dal gestore di fatto fornisca la ‘copertura argomentativa’ per inferire il dolo della bancarotta documentale in capo a chi, come l’amministratore formale consapevole, ha consentito con la propria inerzia la realizzazione del programma criminoso.

le conclusioni

Con questa pronuncia, la Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: l’amministratore formale non può invocare la propria estraneità alla gestione per sfuggire alla responsabilità penale. Quando una pluralità di indici rivela un legame di fiducia e una consapevole partecipazione al disegno fraudolento dell’amministratore di fatto, anche il ‘prestanome’ risponde a titolo di dolo per il reato di bancarotta. La sentenza funge da monito: accettare cariche sociali ‘sulla carta’ non è un atto privo di conseguenze e comporta l’assunzione di doveri di vigilanza e controllo il cui inadempimento, se consapevole, può portare a una condanna penale.

Un amministratore formale (o ‘prestanome’) è sempre responsabile penalmente in caso di fallimento della società?
No, la responsabilità non è automatica. La Cassazione chiarisce che non si tratta di una ‘responsabilità di posizione’. È necessario dimostrare che l’amministratore formale fosse concretamente consapevole dello stato delle scritture contabili e del disegno fraudolento dell’amministratore di fatto, accettando il rischio che ciò accadesse.

Quali elementi possono dimostrare la consapevolezza fraudolenta dell’amministratore formale?
La sentenza si basa su una serie di ‘indici’, come il rapporto di fiducia preesistente con l’amministratore di fatto (in questo caso, era il suo autista e guardia del corpo), l’accettazione dell’incarico senza compenso, la detenzione di quasi tutto il capitale sociale, e l’aver ricoperto ruoli analoghi in altre società del gruppo. Questi elementi, insieme, dimostrano un ruolo attivo e consapevole, non quello di una vittima ignara.

La mancata tenuta delle scritture contabili da parte di un amministratore formale può essere considerata solo una negligenza (bancarotta colposa)?
No, se viene provato l’elemento soggettivo del dolo. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’occultamento delle scritture non fosse una semplice trascuratezza, ma una condotta finalizzata a impedire la ricostruzione del patrimonio e a nascondere le operazioni distrattive dell’amministratore di fatto. La consapevolezza di questo schema fraudolento qualifica il reato come bancarotta fraudolenta (dolosa) e non colposa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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