Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10877 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10877 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BOSCOTRECASE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; COGNOME
che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha riformato solo sotto il profilo sanzioNOMErio la pronuncia del Tribunale della stessa città che aveva condanNOME NOME COGNOME per bancarotta documentale fraudolenta e per aver cagioNOME con dolo il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il dicembre 2016, nella qualità di amministratore di fatto della medesima.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di cui all’art. comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, con riferimento all’art. 2639 cod. civ., nonché vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della qualità di amministratore di fatto.
La sentenza non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia, non mettendo in evidenza l’inserimento organico del COGNOME nella concreta gestione societaria.
2.2. Più diffusamente il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sullo stesso punto. La Corte territoriale non avrebbe indicato gli elementi dai quali trarre conferma alle dichiarazioni raccolte dalla curatela; la motivazione sarebbe illogica laddove ha addebitato una responsabilità al COGNOME per bancarotta documentale, pur avendo questi la disponibilità di una mera copia informatica delle scritture, in ragione dell’incarico professionale di commercialista, essendo le scritture in originale evidentemente nelle mani del reale amministratore.
Nessuna delega gestoria né lo svolgimento di effettivi poteri la Corte ha valorizzato, ricorrendo piuttosto a presunzioni derivanti dalla ritenuta incompetenza professionale di coloro che sono stati rivestiti formalmente della carica amministrativa.
Allega estratti delle dichiarazioni dei coimputati COGNOME e COGNOME per dimostrare che nemmeno costoro hanno accusato il COGNOME di essere l’effettivo amministratore; in ogni caso, il ricorrente lamenta che le predette dichiarazioni siano state valutate dalla Corte senza riferimento agli elementi di conferma.
La sentenza sarebbe contraddittoria laddove ha valorizzato la circostanza che COGNOME abbia chiesto a COGNOME la disponibilità ad assumere l’incarico di amministratore, precisando però come al COGNOME non siano state date indicazioni di sorta: se COGNOME era il reale amministratore, deve aver impartito direttive.
Ancora, la sentenza avrebbe fatto malgoverno delle risultanze del procedimento di prevenzione cui è stato sottoposto il COGNOME: procedimento di
stampo amministrativo, non caratterizzato dalla regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, i cui esiti sono dunque inidonei a produrre il risultato probatorio che i giudici di merito hanno voluto trarvi.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità.
COGNOME avrebbe consegNOME le scritture (in copia) in suo possesso e la Corte territoriale avrebbe solo apoditticamente affermato la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo della bancarotta documentale ascritta.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte territoriale si sarebbe sottratta all’argomentazione circa la sussistenza degli elementi differenziali del dolo della bancarotta fraudolenta, così omettendo di considerare la sussumibilità del fatto ascritto nella fattispecie meno grave di bancarotta documentale semplice.
Quanto alle operazioni dolose, la Corte non avrebbe argomentato che il COGNOME abbia inteso pregiudicare le ragioni dei creditori.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi motivi di ricorso sono affetti da plurimi e concorrenti profili inammissibilità, mentre è semplicemente infondato l’ultimo motivo, nella parte in cui si riferisce alla condanna per il delitto di cui all’art. 223, comma secondo n. 2, legge fall.
Anzitutto il ricorso ripropone argomenti già discussi e confutati dal giudice del gravame, senza alcun confronto con il ragionamento della Corte di appello.
Va allora ricordato che i motivi di impugnazione sono inammissibili quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come pure quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugNOME (nel primo caso, si tratta di “genericità intrinseca”; nel caso di mancata correlazione con le ragioni della decisione impugnata, si tratta di “genericità estrinseca”: Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, in motivazione). In tale ottica è inammissibile il ricorso per cassazione che si risolva nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito: esso infatti non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione in sede di legittimità (Sez. 5, n. 3337 del 22/11/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 21469 del 08/03/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 22445
del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, NOME, Rv. 231708).
Pure dietro l’apparente denuncia di violazione di legge, il ricorso sollecita complessivamente un riesame del merito non consentito in sede di legittimità attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.
Nemmeno il vizio di motivazione, però, è ammissibilmente dedotto, perché il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione e non invece il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione, per essere valutato come ammissibile,, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione.
Anche laddove il ricorso (in particolare, nel secondo motivo) sembra invocare il vizio del travisamento della prova, mediante l’allegazione di brani di dichiarazioni, non coglie nel segno: sia perché non vi è allegazione integrale dei verbali contenenti le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME; sia perché non sono chiariti i termini del travisamento; sia, infine, perché non è dimostrata la decisività dei dati probatori asseritamente travisati, con l’avvertenza che il travisamento, in ogni caso, deve avere ad oggetto non già il significato da attribuire alle dichiarazioni, bensì il “significante”, atteso il persistente divieto di rilettura e di interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370). E, sotto questo profilo, il ricorso non offre alcuna considerazione utile.
Più in generale, è bene ricordare che il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugNOME risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:
l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determiNOME;
l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Con l’ulteriore precisazione, quanto alla l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente (“manifesta illogicità”), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Inoltre, va precisato, che il vizio della
“manifesta illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugNOME, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.
Infine, al giudice di legittimità è preclusa la “rilettura” degli elementi di fat posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME); principio ribadito sottolineando come «l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione abbia un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizione processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti intern del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME).
I principi esposti rendono manifesti i profili di inammissibilità del ricorso, che propone alla Corte di cassazione una diversa lettura delle fonti di prova: a partire dalle dichiarazioni dei coimputati, per giungere all’esito dei procedimenti di prevenzione che la Corte di appello ha valorizzato.
2.1. La Corte di appello, in modo non palesemente illogico, ha valutato (in modo non atomistico e parcellizzato, come invece suggerito dal ricorso) gli elementi di prova raccolti, per argomentare la sussistenza della qualità di amministratore di fatto in capo al COGNOME dalla circostanza che i diversi amministratori che si sono succeduti fossero palesemente privi della capacità di amministrare (in un caso si trattava addirittura di soggetto che non parlava correttamente la lingua italiana e svolgeva le mansioni di muratore) e fossero soci di società diverse riconducibili allo stesso COGNOME; che sia stato il COGNOME ad “assoldare” il liquidatore, dietro promessa di un compenso; che egli abbia detenuto parte delle scritture contabili; che uno degli amministratori formali abbia risposto in modo reticente in ordine alla responsabilità del COGNOME.
2.2. Ciò premesso, non colgono nel segno le critiche del ricorrente in ordine alla motivazione sulla responsabilità per bancarotta documentale, specie laddove censurano l’omessa motivazione su un dolo specifico non richiesto.
La bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, primo comma, n. 2 legge fall. prevede due fattispecie alternative:
quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili che richiede il dolo specifico;
quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).
La Corte di appello ha ritenuto che le scritture siano state tenute in modo irregolare, ed in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari. Ha ritenuto, cioè, che il fatto risultato provato fosse la bancarotta fraudolenta a dolo generico: «la parziale omissione del dovere annotativo, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa» (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677).
E la Corte non si è sottratta all’onere di argomentare in ordine alla sussistenza della piena consapevolezza di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (o di non renderla possibile se non con una particolare diligenza degli organi della procedura: cfr. Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, Cortinovis, Rv. 274455), laddove in particolare ha evidenziato come la tenuta irregolare e lacunosa delle scritture abbia reso difficoltosa la ricostruzione dei movimenti della fallita, peraltro in larga misura riconducibili a fatturazioni per operazioni inesistenti, che hanno procurato un auto-finanziamento della società a danno dell’erario.
Come si è accenNOME in premessa, l’ultimo motivo di ricorso è infondato con riferimento al reato di cui all’art. 223, comma secondo n. 2, legge fall.
Il principio di diritto enunciato anche dal ricorrente è del tutto condivisibile porta, nel caso di specie, a ritenere conforme a legge il dictum della Corte di appello e non palesemente illogico il suo argomentare, che ha valorizzato, sul
punto, l’ingente e sistematico ricorso al debito tributario, in virtù di operazioni commerciali inesistenti e fatturate, a scopo di autofinanziamento derivante dal fittizio credito fiscale: «In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali» (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME Mattia, Rv. 273337).
L’infondatezza dell’ultimo motivo, pur in presenza di inammissibilità del ricorso nel resto, conduce al rigetto, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.