Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28906 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28906 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 06/12/1976
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 09/06/1953
COGNOME NOME nata a PARETE il 20/02/1954
avverso la sentenza del 19/09/2024 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso di NOME e per l’annullamento con rinvio della sentenza in relazione alla bancarotta fraudolenta documentale per NOME COGNOME e NOME NOME e per l’inammissibilità nel resto dei ricorsi.
Lette le conclusioni scritte, pervenute in data 20 giugno 2025, del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME per il ricorrente COGNOME
Lette le conclusioni scritte, pervenute in data 17 giugno 2025, del difensore di fiducia comune, avv. NOME COGNOME per i ricorrenti COGNOME e COGNOME MariaCOGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 settembre 2024 la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia in data 24 marzo 2015 del Tribunale di Torre Annunziata, ha dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il reato di truffa di cui al capo B), rideterminando la pena, e ha nel resto confermato la sentenza con la quale NOME, NOME COGNOME e NOME NOME erano stati condannati alla pena di giustizia:
per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, rispettivamente nella qualità di amministratori di fatto, COGNOME e COGNOME NOME e di amministratore e liquidatore dal 18 novembre 2010, COGNOME NOME, della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata in data 12 maggio 2011, nonché i primi due imputati quali proprietari della RAGIONE_SOCIALE e la seconda quale amministratrice di tale ultima società dal 9 giugno 2011 al 3 gennaio 2012;
per il reato di bancarotta fraudolenta documentale cd. specifica, nelle qualità sopra descritte.
Avverso la decisione della Corte di Appello hanno proposto ricorso gli imputati attraverso i rispettivi difensori di fiducia articolando motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Ricorso NOME COGNOME– NOME.
2.1. Con il primo motivo comune, i ricorrenti deducono violazione di legge di cui all’art. 2639 cod. civ. e vizio di motivazione quanto alla attribuzione del ruolo di amministratori di fatto.
La sentenza impugnata non ha individuato gli elementi sintomatici in base ai quali i ricorrenti possano essere considerati amministratori di fatto, espressivi dell’inserimento organico con funzioni direttive nella sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attività sociale in posizione preminente rispetto all’amministratore di diritto.
A fronte della sentenza di primo grado – che aveva ravvisato la qualifica di amministratori di fatto dei due imputati sulla base unicamente delle dichiarazioni testimoniali del teste COGNOME e di una lacunosa relazione del consulente tecnico del pubblico ministero – la difesa aveva articolato specifici motivi di appello quanto all’assenza di sottoscrizione da parte dei due imputati di assegni e di effettuazione di ulteriori operazioni bancarie per conto della società fallita; quanto alla mancata valutazione della testimonianza di COGNOME, fornitore della società, il quale sosteneva di non conoscere NOME e di non avere mai intrattenuto con quest’ultima alcun
tipo di rapporto di carattere commerciale; quanto alle dichiarazioni dello stesso COGNOME il quale aveva riferito che l’unico soggetto depositario della firma presso l’istituto bancario era il coimputato COGNOME
La sentenza impugnata non ha fornito esaustiva risposta agli specifici motivi di censura limitandosi a valorizzare genericamente l’esercizio non occasionale di concrete attività di gestione nella società dei due ricorrenti e il risultato della perquisizione presso la loro abitazione nel corso della quale era rinvenuta una parte della documentazione contabile, compresi alcuni assegni, della società fallita (senza considerare che nessuno degli assegni rinvenuti indica il beneficiario).
La difesa ha quindi richiamato la giurisprudenza di questa Corte che, ai fini della qualifica di amministratore di fatto, richiede la prova dell’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o funzione.
2.2. Con il secondo motivo comune è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al riconoscimento della penale responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Nella ricostruzione operata sin dalla sentenza di primo grado è risultato che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il curatore inviava al coimputato nonché figlio dei ricorrenti, NOME COGNOME, una raccomandata con la quale lo invitava a depositare le scritture contabili, raccomandata restituita al mittente per irreperibilità del destinatario. Tuttavia, NOME COGNOME provvedeva a contattare il curatore attraverso il proprio legale per la consegna.
La consegna nella prospettiva difensiva è rimasta inadempiuta in ragione del furto della documentazione contabile avvenuto in data 7 gennaio 2011, custodita in un camion per il trasferimento presso la nuova sede della società in Ostuni.
I giudici di merito hanno ritenuto inverosimile siffatta versione in quanto esclusivamente finalizzata ad impedire agli organi concorsuali la ricostruzione della situazione patrimoniale della società.
Lamenta la difesa che, comunque, la sentenza impugnata non ha in alcun modo motivato come la posizione dei due ricorrenti quali amministratori di fatto possa ricollegarsi alla condotta di bancarotta fraudolenta documentale e in che modo i due genitori abbiano contribuito all’occultamento/distruzione delle scritture contabili, sia sotto il profilo materiale che sotto il profilo soggettivo rappresentato da dolo specifico.
2.3 Con il terzo motivo comune è stato dedotto vizio di motivazione quanto alla richiesta delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.
A fronte di uno specifico motivo di appello alcuna motivazione è stata fornita dalla Corte di appello sulla richiesta.
Ricorso COGNOME.
2.4. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla eccessività della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
A fronte di uno specifico motivo di appello alcuna motivazione è stata fornita dalla Corte di appello sulla richiesta.
2.5. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al riconoscimento della penale responsabilità per i fatti contestati.
Nella ricostruzione operata sin dalla sentenza di primo grado è risultato che a seguito della dichiarazione di fallimento il curatore fallimentare inviava al coimputato nonché figlio dei ricorrenti, NOME COGNOME, una raccomandata con la quale lo invitava a depositare le scritture contabili, raccomandata restituita al mittente per irreperibilità del destinatario. Tuttavia, NOME COGNOME provvedeva a contattare il curatore attraverso il proprio legale per la consegna.
La consegna nella prospettiva difensiva è rimasta inadempiuta in ragione del furto della documentazione contabile avvenuto in data 7 gennaio 2011 custodita in un camion per il trasferimento presso la nuova sede della società in Ostuni.
I giudici di merito hanno ritenuto inverosimile siffatta versione in quanto esclusivamente finalizzata ad impedire agli organi concorsuali la ricostruzione della situazione patrimoniale.
Non hanno tuttavia fornito alcuna risposta alle specifiche censure formulate con l’atto di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi nell’interesse di NOME COGNOME e COGNOME NOME sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
Il primo motivo comune di ricorso presentato nell’interesse di COGNOME e COGNOME NOME è fondato.
1.1. La giurisprudenza di questa Corte ha fornito le coordinate ermeneutiche della figura dell’amministratore di fatto: il soggetto, cioè, che, pur non essendo stato investito formalmente della carica di amministratore della società, tuttavia, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici relativi alla qualifica o alle funzioni dell’amministratore di diritto.
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., dunque non postula necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiede l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.
Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare -il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep.2017, COGNOME, Rv. 269101; Sez. 5, n. 35346 del 20/6/2013, COGNOME, Rv. 256534).
In definitiva, l’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: a) mancanza di una formale investitura; b) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; c) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.
Spetta al giudice del merito valutare e perimetrare il novero e la significatività̀ delle attività̀ concretamente svolte, potenzialmente idonee a delineare il ruolo dell’amministratore di fatto, anche nei limiti delle responsabilità̀ gestionali espletate al vertice di uno specifico comparto dell’operatività̀ dell’impresa (Sez. 5, n. 19145 del 13/4/2006, COGNOME, Rv. 234428, che ha ritenuto corretta l’attribuzione effettuata dai giudici di merito della qualifica di amministratore di fatto al preposto al settore commerciale di un piccolo organismo operante nel mercato del commercio, in considerazione del peso decisivo rivestito da costui nella conduzione della società).
La qualifica di amministratore di fatto di una società non può trarsi solo dal conferimento di una procura generale “ad negotia”, ma richiede l’individuazione di prove significative e concludenti dello svolgimento delle funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività imprenditoriale, anche a mezzo dell’attivazione dei poteri conferiti con la procura stessa (Sez. 5 , n. 4865 del 25/11/2021, dep.2022, Rv. 282775, in cui la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva ricondotto all’imputato la qualifica di amministratore di fatto in quanto titolare di una procura generale e della gestione di alcuni conti correnti della società che non risultava avesse generato passività).
A conferma di tali principi, va quindi ribadito che la qualifica di amministratore di fatto si configura in presenza di elementi sintomatici del coinvolgimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase dell’attività aziendale, anche in assenza di formale investitura. Tali elementi possono includere rapporti con dipendenti, fornitori o clienti, nonché il conferimento e l’esercizio di procure generali che attribuiscano poteri gestionali. La valutazione di tale qualifica è rimessa al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità solo se sorretta da motivazione congrua e logica (Sez. 5, n. 4816 del 26/10/2023, non mass).
1.2. Nel caso in esame la Corte territoriale, nel condividere le valutazioni espresse dal giudice di primo grado, ha ribadito che, in base agli elementi acquisiti nel corso della istruttoria dibattimentale, gli imputati svolgevano una continuativa attività gestoria non occasionale nell’ambito della società (p.6 della sentenza impugnata).
In particolare, si interfacciavano con i fornitori per quanto concerne la consegna delle merci ed il pagamento; i rapporti con gli istituti di credito erano materialmente svolti e curati dai due imputati alle attività bancarie sui conti correnti della società (sul punto le dichiarazioni del teste COGNOME).
Inoltre, una parte della documentazione contabile della società fallita è stata ritrovata presso l’abitazione di Salemme Strato.
Ebbene, come già evidenziato, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive che costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534 – 01)
La sentenza impugnata non ha correttamente tenuto in conto i principi affermati da questa Corte e sin qui esposti, limitandosi ad una motivazione generica che accomuna indistintamente le posizioni dei due imputati, senza fornire indicazioni specifiche e individuali quanto alla natura dell’attività compiuta, ai tempi e ai modi con i quali la stessa si esplicava; circostanze fattuali indispensabili per poter addivenire alla qualifica di amministratore di fatto e che solo il giudice di merito è in grado di individuare.
Non si è poi confrontata con gli specifici motivi di appello nella parte in cui chiedevano di valutare la testimonianza di COGNOME, fornitore della società, il quale sosteneva di non conoscere COGNOME e di non avere mai intrattenuto con quest’ultima alcun tipo di rapporto di carattere commerciale; così come non risulta approfondito l’ulteriore tema sollevato dalle difese quanto alle dichiarazioni dello stesso COGNOME il quale aveva riferito che l’unico soggetto depositario della firma presso l’istituto bancario era il coimputato COGNOME
Il secondo motivo comune è anch’esso fondato.
Come è noto, è ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte che distingue le due ipotesi di bancarotta documentale previste dall’art. 216, primo comma n.2, legge fall., richiedendo, per la prima ipotesi, nel caso di sottrazione di tutta la documentazione societaria, la prova del dolo specifico, e nella seconda ipotesi, nel caso di irregolare tenuta della contabilità, il dolo generico.
Pertanto, quando come in questo caso la documentazione è stata completamente occultata o distrutta, peraltro con la presentazione della denuncia di furto del furgone nel quale era inspiegabilmente custodita, ritenuta dai giudici verosimilmente fittizia, è necessario motivare quanto alla sussistenza del dolo specifico.
Come risulta dalla sentenza impugnata in capo agli imputati, aventi la qualifica di amministratori di fatto, la motivazione risulta carente sia in relazione alla individuazione della condotta materiale dagli stessi tenuta nella loro qualità in relazione alla sottrazione delle scritture contabili sia in relazione all’elemento soggettivo del dolo specifico richiesto dal reato contestato.
Il terzo motivo comune relativo al trattamento sanzionatorio resta assorbito dall’accoglimento dei due primi motivi.
La sentenza va dunque annullata nei confronti di COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo esame quanto alla qualifica da essi rivestita di amministratori di fatto della società fallita e al concorso quali amministratori di fatto nella fattispecie di bancarotta documentale specifica contestata.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
5.1. Il primo motivo di ricorso risulta generico, limitandosi ad una indeterminata doglianza quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
L’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep.2017, COGNOME, Rv. 268822).
I contenuti dell’atto di appello riportati nel motivo di ricorso rivelano la loro genericità e la conseguente inammissibilità, che può essere rilevata da questa Corte ai sensi dell’art. 591 comma quarto cod. proc. pen.
5.2. Il secondo motivo di ricorso appare manifestamente infondato.
La censura si risolve infatti in una rivalutazione di merito e reinterpretazione delle medesime risultanze probatorie valutate dal giudice di merito e come tali all’esterno dei limiti del sindacato di legittimità.
Questa Corte ha sul punto più volte chiarito che la decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944)
La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici, ha, nel richiamare l’analisi delle risultanze probatorie di cui alla sentenza di primo grado, evidenziato gli elementi a fondamento della bancarotta distrattiva e documentale, confutando gli specifici rilievi difensivi (p.5 e ss della sentenza impugnata).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente COGNOME al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso di NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME