Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34059 Anno 2025
Sent. n.1296/2025
UDIENZA PUBBLICA DEL
16/09/2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34059 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Venezia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/06/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di annullare con rinvio il provvedimento impugnato a carico di COGNOME NOME per rivalutazione della sussistenza del ruolo di amministratore di fatto, assorbiti gli altri motivi di ricorso, annullare con rinvio il provvedimento impugnato a carico di COGNOME NOME limitatamente alla concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena, dichiarare inammissibili gli altri motivi di ricorso di COGNOME NOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26/06/2024, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale di Napoli Nord in data 25/02/2022, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati dichiarati responsabili dei reati di cui agli artt. 2 e 10-ter d.lgs 74/2000 e condannati alla pena di anni due di reclusione ciascuno.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia e procuratore speciale, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deducono erronea applicazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al ruolo rivestito dagli imputati nella società RAGIONE_SOCIALE
Argomentano che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto gli imputati responsabili dei reati contestati, individuandoli, rispettivamente, il COGNOME quale legale rappresentante, e la COGNOME quale gestore di fatto della società; deduce che tutti i soggetti escussi a RAGIONE_SOCIALE avevano individuato il gestore di fatto della società in COGNOME NOME e riferito di non conoscere COGNOME NOME e che COGNOME NOME svolgeva un ruolo di mera dipendente; era, dunque, illogica la motivazione relativa all’attribuzione delle reali qualifiche, nonché viziata da violazione in legge, perché difforme al principio di diritto, secondo cui per la qualifica di amministratore di fatto è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società. ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività; nella specie, le risultanze istruttorie non consentivano di poter attribuire agli imputati un ruolo direttivo o potere gestorio, presupposto imprescindibile per la contestazione dei delitti di cui agli artt. 2 e 10-ter del d.lgs 74/2000.
Con il secondo motivo deducono carenza di motivazione in ordine al motivo di appello con cui si evidenziava l’assenza di prova in ordine al mancato pagamento dell’IVA.
Argomentano che la Corte di appello, pur risultando dagli atti che la richiesta inviata dal PM all’Agenzia delle Entrate Ufficio Territoriale di Napoli, finalizzata a verificare il pagamento dell’IVA da parte della società RAGIONE_SOCIALE per l’anno di imposta 2017, non aveva riscontro, nulla argomentava in ordine alle deduzioni difensive mosse sul punto con l’atto di appello.
Con il terzo motivo di ricorso deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 131-bis cod.pen.
Argomentano che la Corte di appello aveva rigettato l’istanza di applicazione del disposto dell’art. 131-bis cod.pen., senza argomentare in ordine agli elementi positivi indicati nell’atto di appello (contestazione limitata al solo anno di imposta 2017; importo dell’evasione, di poco superiore alla soglia di punibilità, pari a poco meno del 12%).
Con il quarto motivo di ricorso deducono la illogicità della motivazione nella parte relativa al trattamento sanzionatorio.
Argomentano che la Corte di appello aveva denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, richiamando l’abitualità della condotta, nonostante la contestazione afferisse alla sola annualità del 2017 c.c. ed il beneficio della sospensione condizionale della pena, richiamando in maniera generica le condotte dei prevenuti e non considerando l’importo evaso; la motivazione era illogica, disancorata dal compendio probatorio ed apparente e viziava la sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo ricorso è fondato, ed assorbente delle ulteriori censure, limitatamente alla posizione di COGNOME NOME.
Va osservato che per delineare la figura dell’amministratore di fatto – colui che abbia gestito l’impresa senza investiture formali – è necessario attingere ai criteri stabiliti dall’art. 2639 cod.civ., che, pur essendo norma di più recente introduzione, dettata per i reati in materia di società e consorzi di cui al titolo XI del libro V del codice civile, ha di fatto codificato gli approdi giurisprudenziali che l’avevano preceduta (cfr. Sez. 1, n.18464 del 12/05/2006, Ponciroli, Rv. 234254). L’amministratore di fatto è, dunque, colui il quale, pur non formalmente investito della carica di amministratore della società, eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Va, inoltre, considerato che questa Corte ha affermato, in tema di reati tributari, che ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di ‘amministratore di fatto” non occorre, comunque, l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Sez.3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 27/05/2015, Rv. 264009).
La Corte di appello, non ha fatto buon governo del suesposto principio di diritto, in quanto, con motivazione carente, a fronte di specifico motivo di appello, si è limitata a confermare l’affermazione di responsabilità della COGNOME, richiamando in maniera generica le dichiarazioni rese da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, senza analizzarne in maniera
specifica il relativo contenuto; i Giudici di appello, quindi, non hanno specificamente evidenziato e valutato specifici atti di gestione tipici dell’amministratore riferibili all’attività posta in essere da COGNOME NOME nell’ambito dell’attività commerciale della società RAGIONE_SOCIALE, tali da fondare l’affermazione di responsabilità della predetta, quale amministratore di fatto della società, per i contestati reati tributari.
Trattasi di carenza motivazione in ordine ad aspetti decisivi, relativi all’affermazione di responsabilità di COGNOME NOME, che viziano la motivazione della sentenza impugnata e ne impongono l’annullamento con rinvio affinchè il giudice del rinvio colmi la lacuna argomentativa rilevata.
Il primo motivo di ricorso è invece, manifestamente infondato con riferimento alla posizione di NOME.
La motivazione espressa dalla Corte di appello con riferimento all’imputato COGNOME NOME è congrua e priva di vizi logici ed in linea con i principi di diritto espressi da questa Corte in subiecta materia e, dunque, insindacabile in sede di legittimità.
I Giudici di appello hanno richiamato, a fondamento dell’affermazione di responsabilità per i contestati reati tributari, non solo la qualifica formale dello stesso, quale amministratore unico e legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, ma anche la circostanza, emergente in maniera specifica dal compendio probatorio, che il predetto, in prima persona, aveva anche gestito i rapporti economici partecipando, quindi, attivamente, alla gestione societaria.
Non vi è dubbio che il COGNOME risponda del contestato reato di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000, in quanto amministratore unico e legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, e, quindi, firmatario della dichiarazione di cui al capo al capo c) dell’imputazione.
Va ricordato che costituisce principio consolidato che l’amministratore di una società risponde del reato tributario contestatogli (che nel caso in esame è quello di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto risultante dalla relativa dichiarazione sottoscritta dallo stesso ricorrente, contestato al capo d) dell’imputazione) quale diretto destinatario degli obblighi di legge, finanche se sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939 – 02; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258850 – 01; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006, COGNOME, Rv. 234474 – 01; v. anche
Sez. 3, n. 20050 del 16/03/2022, Cristodaro, Rv. 283201 – 01). E si è più volte affermato che, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società (nella specie, questa Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva assolto il legale rappresentante di una società, trascurando la circostanza che lo stesso era a conoscenza della dubbia regolarità della gestione societaria da parte dell’amministratore di fatto: Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013 – dep. 27/11/2013, PG in proc. Piscicelli, Rv. 258080).
Orbene, nella specie, la Corte di appello ha dato corretto rilievo sia al dato meramente formale di accettazione della carica di amministratore da parte del NOME che al ruolo attivo svolto dal predetto nell’ambito societario, con conseguente accettazione del rischio connesso alla carica di amministratore di diritto in relazione alla commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto.
Da tanto discende la manifesta infondatezza della doglianza.
Il secondo motivo di ricorso è generico.
La Corte di appello, nel confermare l’affermazione di responsabilità, ha richiamato il materiale probatorio e le valutazioni del primo giudice, rimarcando che la verifica fiscale del 5.12.2018 – atto utilizzabile trattandosi di giudizio celebratosi con rito abbreviato – comprovava che la società RAGIONE_SOCIALE aveva omesso di versare l’Iva per l’anno di imposta 2017 per l’ammontare di euro 282.424,00.
Il motivo prospetta, dunque, deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181).
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, nel denegare la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131bis cod.pen., ha rimarcato la gravità del fatto sulla base di una valutazione in senso negativo delle modalità della condotta.
Le argomentazioni sono congrue e logiche e la motivazione è conforme al principio di diritto, secondo cui, ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis cod.pen. ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez.3, n.34151 del 18/06/2018, Rv.273678 – 01: Sez 6, n.55107 del 08/11/2018, Rv.274647 – 01).
Il quarto motivo di ricorso è fondato, nei limiti appresso precisati.
Non coglie nel segno la doglianza relativa alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti.
Va, ribadito il principio secondo cui l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (così sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241); ne consegue che è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.
E’, invece, fondata la doglianza relativa alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il Giudice di merito non ha congruamente motivato le ragioni del diniego di concessione del beneficio richiesto, limitandosi ad affermare che la condotta non consentiva di far presumere una futura astensione in futuro da condotte analoghe.
Trattasi di argomentazione generica e del tutto assertiva e, quindi, di motivazione apparente su un punto della decisione di primo grado specificamente devoluto al Giudice di appello.
Va ricordato che, in tema di sospensione condizionale della pena, il Giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha certo l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., ma deve indicare, con congrua motivazione quelli da lui ritenuti prevalenti (Sez.5, n.57704 del 14/09/2017, Rv.272087; Sez.3,n.35852 del 11/05/2016, Rv.267639; Sez.2, n.37670 del 18/06/2015, Rv.264802; Sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, Rv. 263534, Sez. 3 n. 6641 del 17/11/2009, Rv. 246184; Sez. 3, n. 30562 del 19/03/2014, Rv. 260136).
La carenza motivazionale rilevata vizia sul punto la sentenza impugnata e ne impone l’annullamento con rinvio, affinchè il giudice del rinvio colmi la lacuna argomentativa evidenziata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al punto concernente l’applicabilità del beneficio della sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Così deciso il 16/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME