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Amministratore di fatto: quando si è responsabili?

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per reati tributari a carico di una presunta amministratrice di fatto, sottolineando che la responsabilità penale richiede la prova di un’attività gestoria continuativa e significativa, non bastando generici riferimenti. Per l’amministratore di diritto, la condanna è stata parzialmente annullata riguardo alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, a causa di una motivazione carente. La sentenza ribadisce i rigorosi criteri per definire il ruolo di amministratore di fatto.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore di fatto: la Cassazione fissa i paletti della responsabilità penale

La figura dell’amministratore di fatto è spesso al centro di complesse vicende giudiziarie, specialmente in materia di reati tributari. Chi gestisce un’impresa senza averne la carica formale può essere ritenuto responsabile penalmente? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 34059/2025) offre chiarimenti cruciali, distinguendo nettamente tra la posizione di chi esercita un potere gestorio effettivo e quella dell’amministratore di diritto, spesso un mero “prestanome”.

Il caso in esame: un’accusa di reati tributari

La vicenda trae origine dalla condanna in Appello di due soggetti per reati fiscali legati a una S.r.l. Il primo, amministratore legale della società; la seconda, considerata dai giudici di merito l’amministratrice di fatto. Entrambi erano stati ritenuti responsabili per l’omesso versamento di IVA e per dichiarazione fraudolenta, con una condanna a due anni di reclusione ciascuno.

Contro questa decisione, i due imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, sollevando diverse questioni. In particolare, la difesa sosteneva l’errata attribuzione dei ruoli: l’amministratore di diritto si professava un semplice prestanome ignaro delle dinamiche aziendali, mentre la presunta amministratrice di fatto si riteneva una mera dipendente, indicando un’altra persona come vero gestore.

La responsabilità dell’amministratore di fatto secondo la Cassazione

Il punto cruciale della sentenza riguarda la posizione della co-imputata, ritenuta amministratrice di fatto. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso, annullando la sentenza di condanna con rinvio alla Corte di Appello per un nuovo giudizio. Il motivo? La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata carente e illogica.

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: per attribuire a un soggetto la qualifica di amministratore di fatto, non basta un’affermazione generica. È necessario provare, attraverso elementi concreti, l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della funzione gestoria. Come specificato dall’art. 2639 del Codice Civile, occorre dimostrare un inserimento organico del soggetto nelle dinamiche decisionali, produttive o commerciali della società. Nel caso specifico, la Corte d’Appello si era limitata a richiamare genericamente alcune dichiarazioni, senza analizzare quali specifici atti di gestione fossero stati compiuti dall’imputata. Questa mancanza di analisi specifica ha reso la motivazione insufficiente a fondare una condanna.

La posizione dell’amministratore di diritto (o “prestanome”)

Diversa è stata la sorte dell’amministratore legale. La Cassazione ha rigettato gran parte del suo ricorso. Secondo la Corte, chi accetta la carica di amministratore, anche se solo formalmente, non può esimersi dalle proprie responsabilità semplicemente definendosi un “prestanome”. L’accettazione della carica comporta anche l’accettazione del rischio che la società sia gestita da altri in modo illecito. Un prestanome risponde dei reati tributari a meno che non sia totalmente privo di poteri o possibilità di ingerenza nella gestione societaria.

Tuttavia, la Corte ha accolto un punto del suo ricorso: quello relativo alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. I giudici di merito avevano negato il beneficio con una motivazione generica e assertiva, affermando che la condotta passata non permetteva di presumere una futura astensione da reati. Questa motivazione è stata ritenuta apparente e, pertanto, la sentenza è stata annullata anche per lui, ma limitatamente a questo aspetto, con rinvio per una nuova valutazione.

Le motivazioni della Corte Suprema

La decisione della Corte si fonda su due pilastri giuridici distinti.

1. Prova rigorosa per l’amministratore di fatto: La responsabilità penale è personale. Per condannare un soggetto come amministratore di fatto, l’accusa deve fornire la prova di atti di gestione specifici, ripetuti e significativi. Non sono sufficienti testimonianze generiche o deduzioni prive di riscontri fattuali. Il giudice deve analizzare nel dettaglio gli atti compiuti per dimostrare che l’imputato esercitava concretamente e costantemente i poteri decisionali.

2. Obbligo di motivazione specifica per il giudice: Le decisioni del giudice, specialmente quelle che incidono sulla libertà personale o sulla concessione di benefici, devono essere supportate da una motivazione congrua, logica e non apparente. Negare la sospensione condizionale della pena affermando genericamente che l’imputato potrebbe commettere altri reati non è sufficiente. Il giudice deve indicare gli elementi specifici (previsti dall’art. 133 del codice penale) che lo hanno portato a formulare quel giudizio prognostico negativo.

Conclusioni

La sentenza in commento offre importanti spunti di riflessione. Da un lato, rafforza le garanzie per chi viene accusato di essere un amministratore di fatto, richiedendo ai giudici un’analisi probatoria più rigorosa e puntuale. Dall’altro, ribadisce la serietà degli obblighi che gravano sull’amministratore di diritto, il quale non può facilmente liberarsi dalle proprie responsabilità penali, anche quando la gestione effettiva è in mano ad altri. Infine, la pronuncia richiama tutti i giudici a un dovere di motivazione sostanziale, che vada oltre le formule di stile, per garantire decisioni giuste e trasparenti.

Cosa è necessario per essere considerati penalmente responsabili come amministratore di fatto?
Per essere ritenuti responsabili, non è sufficiente una nomina formale. La sentenza stabilisce che è necessaria la prova di un esercizio continuativo e significativo dei poteri gestionali tipici dell’amministratore. Il giudice deve individuare specifici atti di gestione che dimostrino un inserimento organico e decisionale nella vita della società.

L’amministratore di diritto (prestanome) è sempre responsabile per i reati commessi nella società?
Secondo la Corte, chi accetta formalmente la carica di amministratore accetta anche il rischio connesso alla gestione altrui e, di norma, risponde dei reati commessi. Può essere esente da responsabilità solo se dimostra di essere stato completamente privo di qualsiasi potere o possibilità di ingerenza nella gestione societaria.

Un giudice può negare la sospensione condizionale della pena con una motivazione generica?
No. La Corte ha stabilito che la motivazione per negare un beneficio come la sospensione condizionale della pena non può essere generica, assertiva o apparente. Il giudice deve indicare in modo specifico e congruo gli elementi concreti (come quelli previsti dall’art. 133 c.p.) che giustificano una prognosi negativa sulla futura condotta del condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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