Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29339 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29339 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FERRARA il 25/06/1966
avverso la sentenza del 23/09/2024 della Corte d’appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi ed ai motivi nuovi già depositati ed insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha confermato la pronunzia del Tribunale di Padova del 28.09.2023, che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per i reati di bancarotta fraudolenta documentale (irregolare tenuta di libri e scritture contabili, sino al 31.12.2014, e omessa tenuta degli stessi dopo il 31.12.2014) e di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose (per avere cagionato il dissesto per operazioni dolose, costituite dal mancato pagamento dei debiti erariali e
previdenziali e verso Equitalia), quale co-amministratore di fatto, insieme alla madre NOME COGNOME (deceduta il 14/01/2019) della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Padova del 13.05.2019.
Contro l’anzidetta sentenza, l ‘ imputato propone ricorso, affidato a tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali in relazione alla tecnica di redazione della motivazione per relationem, deducendo che la sentenza impugnata contiene la pedissequa trasposizione di tutte le considerazioni ed argomentazioni della sentenza di primo grado, e che tale tecnica redazionale giustifica la riproposizione in sede di legittimità delle medesime ragioni e motivi dedotti con l’atto di appello .
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta inosservanza ed erronea applicazione di legge e vizio di manifesta illogicità della motivazione e di travisamento della prova, in relazione alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto dell’imputato . Si deduce che la sentenza impugnata si è basata su presunzioni semplici e non su prove certe e inequivocabili , che non provano l’autonomia decision ale dell’imputato né si sorreggono su chiari indicatori che le attività dallo stesso attuate siano svincolate da direttive superiori o vincoli esterni, mentre le attività contestate rientrano nei compiti di figure formali diverse (institore o direttore operativo). Si deduce, inoltre, la violazione del divieto di estensione analogica delle norme incriminatrici applicabili solo a chi riveste, secondo la disciplina civilistica, la qualifica di amministratore, che non sarebbe estensibile, in assenza di norma ad hoc, che riconosca la figura dell’amministratore di fatto nell’ambito dei reati fallimentari.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta vizio di travisamento della prova in relazione all’elemento soggettivo de i reati di bancarotta fraudolenta documentale, contestati ai capi 1) e 2), con riguardo alla consapevolezza dello stato delle scritture contabili, nonché inosservanza ed erronea applicazione di legge, in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti contestati, che andrebbero ricondotti alla fattispecie della bancarotta documentale semplice, nonché vizi motivazionali, deducendo che il destinatario del dovere di corretta conservazione delle scritture contabili sarebbe soltanto l’amministratore di diritto .
Il difensore ha depositato memoria, con la quale, dopo una premessa sul limite del devolutum determinato da una c.d. ‘ doppia conforme ‘, in ordine alla contestazione del vizio di contraddizione c.d. ‘esterna’, ossia, di travisamento della prova, deduce motivi nuovi.
Il primo motivo reitera doglianze, contenute nel secondo motivo ricorso, sulla qualifica, in capo al COGNOME, di amministratore di fatto dell’associazione fallita , in ordine ai capi della sentenza impugnati, deducendo che dalla doppia conforme non si evincerebbe un’illustrazione puntuale della prevedibilità, in capo al l’imputato , del dissesto in relazione al nesso di causalità tra lo stesso e ciascun inadempimento precedente, tra ciascun inadempimento ed il fallimento, anche in relazione alla preesistenza a tali singole condotte di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen.
Il secondo motivo lamenta vizi motivazionali, in relazione alla distinzione tra la bancarotta fraudolenta documentale generica e quella semplice, disciplinata dall’art.217 L. Fall., riguardo all’elemento soggettivo . Si deduce che dalla doppia conforme non si evincerebbe se la condotta valutata sia stata incompatibile con un’ipotesi di trascuratezza colposa e sia stata, invece, collegata alla consapevole finalità di recare pregiudizio ai creditori, al fine di occultare condotte gestorie antidoverose, nonché travisamento della prova del dolo generico di bancarotta fraudolenta documentale generica.
Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di contraddittorietà della motivazione, in ordine alla ritenuta commissione da parte del COGNOME, quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale generica e di bancarotta impropria tributaria da operazioni dolose, sotto i profili oggettivo e soggettivo, in mancanza di prove idonee a ritenerne la colpevolezza ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’, con riferimento ai capi della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato.
Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.
2.1 Va premesso che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. tra le altre Cass., Sez. 3, n. 4700 del 14 febbraio 1994, Scauri, rv. 197497) le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello -ove conformi nelle valutazioni- si integrano a vicenda, fondendosi, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici di secondo grado abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità.
Inoltre, secondo il prevalente e condiviso orientamento di questo giudice di legittimità (Sez. Un., 21 settembre 2000, n. 17, P. ed altri, Rv. 216664), la motivazione “per relationem” è sempre ammissibile ove l’atto richiamato sia conosciuto o conoscibile dall’interessato, appaia congruo in ordine all’esigenza di giustificazione del provvedimento di destinazione e fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione.
Nella specie, la Corte d’appello effettua, ampi riferimenti alle argomentazioni del giudice di primo grado, che, con motivazione concisa, ma congrua, condivide e ritiene corrette, non inficiate, né confutate dalla difesa, poiché medesime sono le censure articolate con i motivi di appello, ed in verità le stesse sono quelle oggi ripercorse con il ricorso.
2.1.1 Come già accennato infatti quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 -01; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735). Il principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni è ammissibile, nel caso in esame, per avere la Corte d’appello ripercorso, sulla base degli atti d’appello, l’iter motivazionale della sentenza di primo grado per verificarne la coerenza e la tenuta con il compendio probatorio (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 30838 del 10/03/2013, Rv 257056) ed esaminato le censure svolte.
I giudici di merito hanno ricostruito nel dettaglio tutte le vicende societarie sulla base delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari e ne hanno dato atto con motivazione precisa, congrua e priva di illogicità, tantomeno manifesta, peraltro in doppia conforme.
Eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione
rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei già menzionati vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile. (Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01; Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023).
E’ qui opportuno ribadire che, avendo la Corte d’ appello adottato criteri di valutazione delle prove del tutto sovrapponibili a quelli fatti propri dal giudice di prime cure, ci troviamo di fronte ad un caso di doppia conforme, con conseguente possibilità di leggere congiuntamente le motivazioni dei due provvedimenti di merito (Sez. II, sentenza n. 37295 del 12/6/2019).
2.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il motivo, riproposto anche con il primo dei motivi nuovi, è reiterativo e non si confronta con la sentenza impugnata che, con motivazione immune da censure e vizi di illogicità manifesta, richiama la sentenza del Tribunale per la coerenza della ricostruzione dei fatti con le risultanze probatorie, non scalfita dalle censure mosse della difesa, costituenti mera riproposizione di argomenti dedotti dinanzi al Tribunale e confutati dal primo giudice.
Invero, nel caso in esame, il motivo si limita a riprodurre le censure dedotte in appello, solo con il riferimento in premessa alla richiesta di annullamento della sentenza impugnata, difettando del tutto di critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato’ e dell’indicazione delle ra gioni della loro decisività rispetto al percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584).
I giudici di merito hanno fondato il giudizio di responsabilità del ricorrente per il ruolo di amministratore di fatto della associazione RAGIONE_SOCIALE dal medesimo svolto. Al riguardo, sono state valorizzate con ragionamento immune da censure: l ‘ attività di gestione degli appalti di servizi, degli infermieri e dei trasporti della società fallita dallo stesso svolta (circostanza riferita dallo stesso ricorrente al curatore) e le dichiarazioni della teste, rag. COGNOME NOME, che si occupava di tenere la contabilità della società (non solo della consulenza del lavoro per conto della stessa), e che ha indicato nel Grillanda il referente dell’associazione fallita, da sempre responsabile della parte amministrativa e contabile.
La Corte d’appello richiama , inoltre, ulteriori elementi, indicati dal Tribunale di ‘natura indiretta ma di enorme peso indiziario’ quali , l’avere l’imputato ricoperto
la carica di presidente del c.d.a. dell’associazione fallita (tra il 2007 e il 2009) prima che gli subentrasse la madre, conservando, a partire da tale momento, fino al fallimento, l’incarico di vicepresidente del c.d.a., attribuito anche alla moglie COGNOME; gli strettissimi legami familiari con l’amministratore di diritto della fallita e con l’unica altra consigliera d i amministrazione; la disponibilità da parte del Grillanda d ei veicoli di pregio dell’associazione ; l ‘avere rivestito la carica di consigliere di amministrazione della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ , Ferrara RAGIONE_SOCIALE (sempre al pari della moglie), formalmente amministrata dalla madre, ormai ottantenne , che ha proseguito l’attività aziendale della fallita per oltre tre anni, sino a soppiantarla, mentre le censure sul punto sono generiche, in quanto non si confrontano con gli elementi di prova valorizzati dal decidente.
L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur non essendo stato investito formalmente della carica di amministratore della società, tuttavia, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici relativi alla qualifica o alle funzioni dell’ammi nistratore di diritto. D’altronde, in termini logici, non è in alcun modo configurabile un amministratore di fatto estraneo alla gestione imprenditoriale: proprio in quanto titolare (di fatto) delle funzioni gestorie, concorre (in termini di causalit à̀ commissiva o omissiva) alla realizzazione degli atti di amministrazione, dei quali si assume la piena responsabilit à̀ .
Proprio l’assunto difensivo per il quale il ruolo di amministratore di fatto dovrebbe riconoscersi solo a colui che assume decisioni nevralgiche per la società, conforta la valutazione dei giudici di merito che hanno correttamente attribuito al ricorrente il ruolo gestorio in ragione della materia di specifica competenza dell’imputato e cioè la gestione de i contratti di appalto di servizi, attività costituente il ‘ core business della associazione fallita’ .
La conseguenza principale del riconoscimento della figura dell’amministratore di fatto consiste nel suo assoggettamento al rispetto dei doveri previsti dall’ordinamento con specifico riferimento all’amministratore di diritto, la cui violazione comporta la configurabilità delle fattispecie di responsabilità configurabili, con i conseguenti obblighi risarcitori nei confronti della società, dei soci, dei creditori sociali e del singolo socio o terzo, ai sensi degli articoli, rispettivamente, 2392, 2393-bis, 2394 e 2395 c.c.
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., dunque, non postula necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiede l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali
sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534 -01; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497; Sez. 5, Sentenza n. 25021 del 2023; Sez. 5, del 14 aprile 2003, n. 22413, Rv. 224948; Sez. 1, del 12 maggio 2006, n. 18464, Rv. 234254; Sez. 5, n. 25075 del 2023; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101; Sez. 5, n. 35346 del 20106/2013 Rv. 256534; Sez. 5, n. 25030 del 2023; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540; Sez. 5, n. 35346 del 20/6/2013, COGNOME, Rv. 256534; Sez. 3, n.22108 del 19/12/2014, COGNOME e altri, Rv. 264009; Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Rv. 283850).
Né può parlarsi di analogia in malam partem per il riconoscimento della responsabilità dell’amministratore di fatto per i reati fallimentari posto che è l’art. 2639 cod. civ. ad introdurre la nozione di amministratore di fatto, concetto cui le norme penali fallimentari fanno riferimento quanto al nomen iuris, salvo poi ricostruire in termini autonomi la fisionomia di tale figura agli effetti penalistici.
Ai fini dell’individuazione della figura dell’amministratore di fatto della società non è necessario che l’attività attuata dal soggetto che si è ingerito nella gestione sociale in assenza di qualsivoglia investitura sia caratterizzata da completezza e, cioè, che sia svolta in tutti gli ambiti tipici della funzione gestoria e attraverso atti conformativi dell’operato della società aventi valenza esterna. In definitiva, l’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: a) mancanza di una formale investitura; b) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; c) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.
Nella ricorrenza delle suindicate condizioni, l’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 cod. civ., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011, Rv. 250844; Sez. 3, n. 33385 del 5/7/2012, COGNOME, Rv. 253269), anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen.
Spetta al giudice del merito valutare e perimetrare il novero e la significativit à̀ delle attivit à̀ concretamente svolte, potenzialmente idonee a delineare il ruolo
dell’amministratore di fatto, anche nei limiti delle responsabilit à̀ gestionali espletate al vertice di uno specifico comparto dell’operativit à̀ dell’impresa (Sez. 5, n. 19145 del 13/4/2006, COGNOME, Rv. 234428).
La Corte territoriale, confrontandosi con il motivo di appello, con motivazione congrua ed immune da vizi e censure, richiamando la sentenza del Tribunale, ha attribuito all’imputato la qualifica di amministratore di fatto della associazione fallita, sulla base di indici dimostrativi univoci del ruolo di dominus effettivo della associazione . L’imputato si occupava, infatti, delle scelte e decisioni strategiche per la vita dell’ente che, sotto il sotto il profilo operativo, comprendeva l’aggiudicazione e l’espletamento dei contratti di appalto di servizi, che costituiva ‘il core business’ dell’associazione fallita, nonché della gestione delle risorse materiali e finanziarie, che prevedeva un elevatissimo numero di dipendenti specializzati, commesse elevate per numero e valore, nonché dell’organizzazione di mezzi e dell’enorme volume di affari generati , dei contatti e dei rapporti con clienti e fornitori. Tale q ualifica che non viene meno anche se l’amministratore di diritto , nella specie, l’anziana madre, abbia in qualche modo esercitato parte dei poteri afferenti al suo ruolo, tanto che i reati sono contestati a titolo di concorso con la madre COGNOME
I giudici di merito confutano con motivazione congrua e corretta, la tesi difensiva che vorrebbe addossare alla anziana madre, quasi ottantenne, la ‘ gestione autonoma della parte contabile e amministrativa’ dell’associazione fallita, tenuto conto che si trattava di un’azienda che generava un fatturato di oltre 5 miliardi di euro l’anno , anche con riguardo al pagamento mensile di somme (in contanti) a decine e decine di dipendenti, fino agli anni immediatamente precedenti il ricovero della madre in una RAGIONE_SOCIALE (a fronte della definitiva perdita della propria autosufficienza).
Dal punto di vista estrinseco, si richiamano gli esiti dell’attività di indagine che smentiscono nettamente le dichiarazioni del COGNOME, quali il verbale di s.i.t. della rag. COGNOME che si occupava della tenuta della contabilità (elaborazione delle buste paga, anno per anno) e di aggiornare i libri obbligatori, della associazione fallita, dalla costituzione sino al 2015 , che indica l’imputato come il referente della detta associazione, anche della parte amministrativa e contabile, ed al quale la teste restituiva buona parte della documentazione concernente gli anni dal 2007 al 2015, e che ha spiegato di aver visto la COGNOME appena qualche volta presso la sede dell’associazione, nell’arco di oltre 10 anni .
Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno ritenuto, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’imputato avesse il dominio su tutti gli aspetti dell’attività economica della associazione fallita: dalla conduzione in piena autonomia della
vera e propria attività aziendale, alla cura degli aspetti amministrativi e contabili di essa.
2.3 Il terzo motivo di ricorso è infondato.
2.3.1 Riguardo all ‘elemento soggettivo dei reati di bancarotta fraudolenta documentale, contestati ai capi 1) e 2), il motivo è infondato ed ai limiti dell’inammissibilità .
È noto che la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, L.F. prevede due fattispecie alternative: quella di sottrazione, omessa consegna, occultamento o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, consistente nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, che richiede il dolo specifico, e quella della fraudolenta tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, Sentenza n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838 -01).
Deve annotarsi che integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (cfr. Sez., n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179 – 01); e tale scopo ben può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda, dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta, colorando di specificità l’elemento soggettivo (Sez. 5, Sentenza n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 -01); è sufficiente il dolo generico nell’ipotesi prevista dalla seconda parte della medesima disposizione per le condotte di infedele tenuta delle scritture contabili in guisa da rendere impossibile la ricostruzione degli affari e del patrimonio sociale (Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 279838).
Ciò posto, i giudici di merito, senza incorrere in vizi logici, hanno ritenuto il ricorrente responsabile di entrambi i reati di bancarotta fraudolenta documentale contestati, al capo 2), per la omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili della società, e per la omessa consegna al curatore di qualsivoglia documentazione, e al capo 1), per la irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili sino al 31/12/2014, ritenendo sussistere tutti i requisiti chiesti dalla norma per entrambe le fattispecie criminose.
Quanto alla deduzione di carenza di motivazione in punto di elemento soggettivo, il motivo non si confronta con quanto ritenuto dai giudici di merito, che fondano la responsabilità dell’ imputato sul ruolo svolto dal COGNOME, di amministratore di fatto, che si occupava della gestione e amministrazione della società fallita, ed esercitava, in modo continuativo e significativo, i poteri tipici relativi alla qualifica o alle funzioni dell’amministratore di diritto, e sul quale incombeva lo specifico obbligo di consegna al curatore.
Riguardo all’elemento psicologico, unico oggetto della contestazione, la Corte d’appello richiama la sentenza del Tribunale (pag.18), che ha ricavato la consapevolezza d ell’ imputato dell’attività illecita svolta dalla complessiva condotta dallo stesso posta in essere: la conduzione, per anni, di una corposa attività a tutti gli effetti commerciale, abusando della denominazione di RAGIONE_SOCIALE, al fine di sottrarsi agli obblighi nei confronti dell’erario ed alla disciplina civilistica , prevista per le società commerciali in tema di obblighi contrattuali e di deposito dei bilanci; lo svolgimento di tale attività, per anni, nella veste di amministratore di fatto dell’associazione fallita, formalmente rappresentata dall’anziana madre; la percezione di utilità economiche dirette e indirette , a discapito dell’integrità patrimoniale dell’associazione fallita; l’incontrollata fuoriuscita, nell’arco di oltre un decennio, di enormi somme di denaro, in contanti, dalle ‘casse’ dell’associazione fallita, di cui è stato impossibile definire l’esatta entità e l’effettiva destinazione, tra cui pagamenti ‘in nero’ ai dipendenti; l’accumulo di ingenti debiti e il sistematico inadempimento di ogni obbligazione tributaria e contributiva, accompagnata dalla prosecuzione, per anni, dell’attività aziendale in condizioni di vistosa insostenibilità economico-finanziaria, tanto da cagionare il fallimento; la precisa scelta imprenditoriale consistita nella derelizione dell’associazione fallita , a cui è stata affiancata una società cooperativa, che ne ha proseguito l’attività (addossando i costi alla prima e riservando i benefici alla seconda). Attività ritenuta, per entrambe le ipotesi di bancarotta fraudolenta, sintomatica della vera e propria volontà di occultare la consistenza del patrimonio della fallita, di ostacolarne la ricostruzione e, in definitiva, di pregiudicare le ragioni del ceto creditorio a proprio vantaggio. Ulteriore indice viene indicato nell ‘abbandono dell’associazione da parte dell’impu tato (a partire dal 2015, senza assumere alcuna iniziativa per il suo scioglimento), e la conseguente inerzia, protratta per anni, sotto il profilo della tenuta della contabilità, in quanto condotte finalizzate a guadagnare tempo, procrastinandone l ‘inevitabile fallimento e rendendo più difficoltoso il rinvenimento (non avvenuto) o la ricostruzione dei documenti utili a metterne in luce la situazione patrimoniale.
La ricostruzione dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nella sua duplice declinazione, si fonda sull’ovvia constatazione
secondo cui, alla luce degli artt. 2214 e segg. cod. civ., la conservazione e la fedele redazione delle scritture di impresa è preciso ed indefettibile onere dell’imprenditore, sia individuale che associato, nonché, di conseguenza, anche dell’amministratore di fatto, individuato ai sensi dell’art. 2639 cod. civ.
Sulla scorta delle superiori considerazioni, con motivazione logica ed immune da vizi, i giudici di merito hanno desunto l’elemento psicologico del dolo specifico, ossia lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto, che ne caratterizzano la valenza fraudolenta, colorando di specificità l’elemento soggettivo , quali le modalità di tenuta di libri e scritture contabili sino al 31.12.2014, la omessa tenuta di scritture contabili a partire da tale data e in particolare nel l’anno 2015 sino alla data del fallimento, obbligo incombente sull’imputato, unico depositario delle scritture contabili dalla data di costituzione della società sino al fallimento, nonché vero e proprio dominus della società fallita con poteri gestori, di disposizione e decisori, consapevole della omessa consegna delle scritture contabili relative alla vita della società amministrata.
2.3.3 Quanto alla riqualificazione del fatto nella fattispecie di bancarotta documentale semplice di cui all’art.217 L.F., la Corte d’appello ha richiamato, senza incorrere in vizi motivazionali, le considerazioni della sentenza del Tribunale, ed ha evidenziato che la gestione della società da parte del ricorrente, che aveva procurato debiti, ammessi al passivo, per ben 5 milioni di euro, era caratterizzata dalla commistione, dal punto di vista operativo e contabile, tra la Cooperativa RAGIONE_SOCIALE, costituita nel 2010, e la RAGIONE_SOCIALE, fallita nel 2019, in quanto la Cooperativa si aggiudicava svariati appalti di servizi, percependone i corrispettivi, senza sostenerne i costi, in quanto l’attività di prestazione degli stessi veniva svolta dai dipendenti della associazione fallita, nonché si è ravvisato un nesso di strumentalità dell’omissione della tenuta delle scritture contabili rispetto all’impossibilità di ricostruire i rapporti tra le stesse società , oltre che all ‘ omissione di versamento di debiti erariali e previdenziali per oltre cinque milioni di euro, oggetto di contestazione al capo 3).
Questa Corte di legittimità ha più volte ribadito che, a differenza che nel reato di bancarotta semplice, in cui l’illiceità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale, l’elemento oggettivo riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori (Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867). L’oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale, cioè, può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell’impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l’ipotesi di bancarotta semplice documentale,
in relazione alla quale l’oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (Sez. 5, n. 44886 del 23/9/2015, COGNOME, Rv. 265508; Sez. 5, n. 22593 del 20/4/2012, COGNOME, Rv. 252973; Sez. 5, n. 7165 del 29/1/1977, COGNOME, Rv. 136073). Nella specie, dopo l’esercizio 201 4 sino alla data del fallimento, veniva consapevolmente e deliberatamente omessa la tenuta di tutte le scritture contabili e non solo di quelle obbligatorie al fine di recare pregiudizio ai creditori per le ragioni esposte.
Le doglianze riguardanti gli ulteriori motivi nuovi, contenuti nella memoria difensiva, sono inammissibili.
3.1 Va, preliminarmente, rilevato che le parti e i difensori conservano il diritto (loro riconosciuto in ogni stato e grado del procedimento) di presentare memorie (articolo 121 del codice di procedura penale) per esporre e illustrare la propria linea difensiva ma, nel giudizio d’impugnazione, tale facoltà non può superare le preclusioni fissate dai termini per impugnare e da quelli concessi per la presentazione di motivi nuovi, ai sensi dell’art. 585, commi 1, 4, 5, cod. proc. pen., cosicché la memoria difensiva non può contenere ulteriori e diverse doglianze rispetto a quelle ritualmente proposte con il gravame o i motivi aggiunti ma può solo supportare, con dovizia di particolari e più puntuali argomentazioni, i temi già devoluti con il mezzo d’impugnazione proposto ‘ ( Sez. 3, Sentenza n. 25868 del 20/02/2024, Rv. 286729 -01). Peraltro, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in p recedenza (cfr. l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 -01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Di Domenica).
Il secondo motivo nuovo, che lamenta vizi motivazionali, in punto di elemento soggettivo della bancarotta semplice, disciplinata dall’art.217 L. Fall. , è inammissibile in quanto inedito, non consentito in sede di legittimità perché mancante del corrispondente motivo di appello e, comunque, manifestamente infondato nel contesto suddetto, nel quale i giudici di merito hanno ampiamente argomentato sulla ricorrenza della bancarotta fraudolenta.
Il terzo motivo nuovo è inammissibile in quanto completamente avulso e non collegato ai motivi originari di ricorso dei quali non può considerarsi uno sviluppo.
Orbene, – posto che i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione
impugnata, che sono stati enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. – costituiscono punti distinti della decisione, come tali suscettibili di autonoma considerazione la questione dei vizi della motivazione in relazione all’elemento soggettivo dei reati di bancarotta fraudolenta documentale, contestati ai capi 1) e 2), dedotta nel terzo motivo di ricorso, e quella dei vizi motivazionali relativa alla affermazione di penale responsabilità dell ‘imputato , quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, per tutti i delitti di bancarotta contestati, anche sotto il profilo oggettivo (Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011, dep. 2012, Aguì, Rv. 251780; Sez. 5, Sentenza n. 40390 del 19/09/2022 Rv. 283803 -01). In tema di impugnazione, infatti, nella nozione di punti della decisione cui si riferiscono i motivi rientrano anche quelli che, sebbene non investiti in via diretta, risultano tuttavia collegati ai punti collegati ai punti impugnati da vincolo logico-giuridico.
È allora evidente come la valutazione dell’elemento oggettivo di tutte le fattispecie di bancarotta fraudolenta contestate costituisca un punto distinto della decisione, non oggetto, nell’odierno caso di specie, neppure di alcuna doglianza nell’originario gravame di merito (ex plurimis, Sez. 5, n. 7646 del 28/05/1984, Rv. 165794; Sez. 5, n. 40390 del 19/09/2022, Rv. 283803).
In ogni caso, per quanto concerne il dolo della bancarotta impropria, per operazioni dolose, si ricorda che ‘a i fini della configurabilità della bancarotta impropria da operazioni dolose non deve risultare dimostrato il dolo specifico diretto alla causazione del fallimento, ma solo il dolo generico, ossia la coscienza e volontà delle singole operazioni e la prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa (Sez. 5, Sentenza n. 16111 del 08/02/2024, Rv. 286349 -01), argomentazione pienamente sviluppata nella sentenza impugnata che, a confutazione dei rilievi svolti in proposito con il motivo d’appello, premettendo che non vi è contestazione sulla sussistenza del fatto, rimanda alle pag. 14 e 15 della sentenza di primo grado, che ha diffusamente spiegato le ragioni per cui ha ritenuto sussistere il dolo del reato in capo al COGNOME, e indica quali indici di fraudolenza l’essere il reale dominus dell’associazione fallita, di cui conduceva l’attività economica, ne conosceva l’andamento ed i risultati (occupandosi anche della contabilità, con l’ausilio della consulente incaricata) nonché il sistematico inadempimento degli obblighi erariali e l’entità dei debiti accumulati già nel 2010.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 20/06/2025.