Amministratore di fatto: quando la gestione effettiva porta alla condanna penale
La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto societario e penale, identificando chi, pur senza una carica ufficiale, gestisce un’impresa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la responsabilità penale, soprattutto in ambito tributario, ricade su chi esercita concretamente il potere decisionale, a prescindere da chi figuri formalmente come amministratore.
Il Caso: Reati Tributari e la Figura dell’Amministratore Occulto
Il caso esaminato riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per reati tributari. Nello specifico, gli veniva contestato di non aver versato le imposte dovute da una S.r.l. per due annualità, agendo in concorso con altri. La sua difesa si basava su un punto cruciale: egli non era l’amministratore legale della società. Sosteneva, infatti, che la responsabilità dovesse ricadere sull’amministratore di diritto, il quale avrebbe potuto effettuare i pagamenti, o sul commercialista.
Nonostante questa linea difensiva, sia il Tribunale che la Corte d’Appello lo avevano ritenuto colpevole, identificandolo come l’amministratore di fatto, ovvero colui che, al di là delle apparenze formali, prendeva tutte le decisioni importanti e gestiva l’attività aziendale.
I Motivi del Ricorso: Una Difesa Infruttuosa
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione: Contestava alla Corte d’Appello di non aver spiegato adeguatamente perché la responsabilità penale dovesse essere attribuita esclusivamente a lui, ignorando il ruolo e i poteri dell’amministratore formalmente in carica.
2. Carenza di prova: Lamentava che non fosse stata provata la sua piena e consapevole partecipazione alle operazioni di indebita compensazione, né le modalità con cui queste sarebbero state eseguite.
In sostanza, il ricorrente cercava di spostare l’attenzione sulla forma (la carica legale) e sulla presunta mancanza di prove dirette del suo coinvolgimento nelle specifiche operazioni illecite.
La Decisione della Cassazione: la Responsabilità dell’amministratore di fatto è Provata dai Fatti
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: la Cassazione non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove, compiti che spettano esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il suo ruolo è verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, coerente e non contraddittoria.
Il Valore delle Testimonianze
Nel caso di specie, i giudici di merito avevano costruito la loro decisione su una solida base probatoria: le testimonianze. Consulenti del lavoro e altri testi avevano dichiarato in modo concordante di essersi sempre interfacciati con il ricorrente, ricevendone direttive e documentazione. Era lui, e non l’amministratore di diritto, il vero punto di riferimento e il soggetto realmente interessato alla gestione societaria.
Le motivazioni
La Corte Suprema ha spiegato che le censure del ricorrente non rientravano nel numerus clausus dei motivi ammessi per un ricorso in Cassazione. Anziché evidenziare vizi di legittimità, il ricorso tentava di ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio, cosa non consentita. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione congrua ed esauriente, spiegando come le dichiarazioni testimoniali avessero inequivocabilmente dimostrato che il ricorrente era il dominus della società, l’effettivo amministratore di fatto.
Le conclusioni
Questa ordinanza rafforza un importante monito: nel diritto penale d’impresa, la sostanza prevale sulla forma. Non è sufficiente nominare un prestanome come amministratore per schermarsi dalle responsabilità. Chiunque eserciti di fatto poteri gestionali e direttivi risponde personalmente delle conseguenze illecite della sua gestione. Le testimonianze di chi ha rapporti con l’azienda (dipendenti, consulenti, fornitori) costituiscono una prova decisiva per identificare il vero centro decisionale e, di conseguenza, il responsabile penale.
Chi è l’amministratore di fatto e quali sono le sue responsabilità penali?
È la persona che, pur senza una nomina formale, gestisce in concreto la società. Secondo la sentenza, questa persona assume le stesse responsabilità penali dell’amministratore di diritto per i reati commessi nella gestione dell’impresa, come l’omesso versamento di imposte.
La presenza di un amministratore regolarmente nominato esclude la responsabilità di chi gestisce la società di fatto?
No. L’ordinanza chiarisce che la responsabilità penale ricade su chi ha effettivamente esercitato i poteri gestionali. Le testimonianze hanno dimostrato che era il ricorrente a interfacciarsi con i consulenti e a dirigere l’attività, rendendo irrilevante chi fosse formalmente l’amministratore.
È possibile contestare la valutazione delle testimonianze davanti alla Corte di Cassazione?
No, di norma non è possibile. La Corte di Cassazione ha ribadito che la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti sono di competenza esclusiva dei giudici di merito. Il ricorso è ammissibile solo se si dimostra che la motivazione della sentenza precedente è manifestamente illogica o contraddittoria, non se ci si limita a proporre una diversa interpretazione delle prove.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23780 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TREVICO il 15/10/1969
avverso la sentenza del 05/07/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale i giudice territoriale ha confermato la sentenza del Tribunale di Benevento del 04/04/2023 di condanna per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 10 quater d.lgs. 74 del 2000 (capo b) perch in concorso con altri, quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE non versava le somme dovute a titolo di imposta per le annualità 2016 e 2017.
Con un primo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione per non aver la Corte di appello indicato le ragioni per le quali i reati contestati dovessero essere ritenuti ascri unicamente al COGNOME, considerato che, nell’anno 2016, l’amministratore era la COGNOME che avrebbe potuto inviare le deleghe di pagamento utilizzando la propria firma digitale o delegando il commercialista e socio COGNOME.
Con un secondo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione per aver la Corte territoriale ritenuto provata la penale responsabilità del ricorrente, nonostante non sia st provata la piena e consapevole partecipazione del Picari alle operazioni di indebita compensazione né essendo stato esposto in che modo sarebbero state compiute tali compensazioni, se direttamente ad uno sportello bancario o postale da parte del ricorrente ovvero tramite internet banking o, da ultimo, attraverso RAGIONE_SOCIALE con delega rilasciata dal ricorrente ad un intermediario. Al contrario, sarebbe emerso dall’istruttoria che le compensazioni sono state effettuate da un intermediario tramite Entranel ma non sono state acquisite le singole deleghe che il ricorrente avrebbe rilasciato all’intermediario finanziario.
Il ricorso è basato su motivi che non rientrano nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindaca in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto fondata la penale responsabilità del ricorrente attese le dichiarazio di NOME e NOME COGNOME i quali hanno dichiarato di aver svolto le funzioni di consulente del lavoro per la PI.GA . e di essersi sempre interfacciati con il COGNOME dal quale ricevevano la documentazione utile per l’espletamento del loro incarico. Tale assunto è confermato altresì dai testi COGNOME COGNOME e COGNOME NOME che hanno confermato di aver intrattenuto diretti rapporti con l’odierno ricorrente sulla base dei quali COGNOME NOME è ritenuto amministratore di fatto della società in questione, nonché colui effettivament interessato al compimento delle operazioni in questione.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 09/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente