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Amministratore di fatto: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta documentale e impropria a carico dell’amministratore di fatto di una società fallita. La sentenza ribadisce che chi gestisce un’impresa senza una nomina formale ha gli stessi doveri e responsabilità penali dell’amministratore di diritto. In particolare, è responsabile per l’occultamento delle scritture contabili e per le operazioni dolose, come il sistematico omesso versamento di imposte e contributi, che hanno causato il dissesto della società.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore di Fatto: Quando la Gestione Occulta Porta alla Bancarotta

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto penale societario, indicando chi, pur senza un’investitura formale, esercita poteri gestionali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale: chi comanda paga, anche se non ha una carica ufficiale. Il caso analizzato riguarda la condanna di un’amministratrice di fatto per bancarotta fraudolenta documentale e impropria, per aver occultato la contabilità e causato il dissesto della società con operazioni dolose. Approfondiamo la decisione per capire la portata delle responsabilità che derivano dalla gestione di un’impresa.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dal fallimento di una S.r.l., dichiarato nel 2016. Le indagini hanno rivelato che la gestione della società era riconducibile a una persona che, pur non avendo cariche formali, agiva come vera e propria amministratrice. In seguito al fallimento, le sono stati contestati tre reati: bancarotta fraudolenta documentale, per aver sottratto o comunque omesso di tenere le scritture contabili; bancarotta preferenziale; e bancarotta impropria da operazioni dolose, per aver aggravato il dissesto dell’impresa omettendo sistematicamente il versamento di debiti erariali, previdenziali e verso fornitori.

Il Tribunale l’aveva condannata per tutti i capi d’accusa. La Corte d’Appello, in parziale riforma, l’aveva assolta dal reato di bancarotta preferenziale, confermando però le altre due condanne e rideterminando la pena. L’imputata ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la propria responsabilità sia per la bancarotta documentale, sia per quella impropria.

La Decisione della Cassazione e la Responsabilità dell’Amministratore di Fatto

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. La sentenza è di grande interesse perché consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla piena equiparazione delle responsabilità penali tra l’amministratore di diritto e l’amministratore di fatto.

La Responsabilità per Bancarotta Documentale

La difesa sosteneva che, dopo la nomina di un liquidatore, l’obbligo di conservare e consegnare la contabilità gravasse su quest’ultimo. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che l’amministratore (di fatto o di diritto) ha il dovere di tenere regolarmente le scritture contabili e di consegnarle al liquidatore al momento della sua nomina. La mancata consegna, unita al successivo mancato rinvenimento dei documenti da parte degli organi fallimentari, integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Il dolo specifico, ovvero l’intenzione di recare pregiudizio ai creditori, è stato desunto dal comportamento complessivo dell’imputata. L’occultamento della contabilità era, secondo i giudici, funzionale a nascondere le operazioni dolose che avevano portato al fallimento, dimostrando così la finalità fraudolenta della condotta.

La Bancarotta Impropria per Operazioni Dolose

Il secondo motivo di ricorso riguardava la bancarotta impropria. L’imputata contestava la sussistenza di un’operazione dolosa e l’intenzione di causare il fallimento. Anche su questo punto, la Cassazione è stata netta. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui il sistematico e protratto inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali costituisce un’operazione dolosa ai sensi della legge fallimentare.

Questa condotta non è una semplice omissione, ma una precisa scelta gestionale che aumenta l’esposizione debitoria della società, rendendo prevedibile il suo dissesto. Ai fini del reato, non è necessario provare l’intenzione di far fallire l’impresa; è sufficiente la consapevolezza di porre in essere un’azione dannosa e la prevedibilità che da tale azione possa derivare il fallimento.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su principi consolidati. In primo luogo, ha riaffermato che, ai sensi dell’art. 2639 c.c., l’amministratore di fatto è gravato dell’intera gamma dei doveri che la legge impone all’amministratore di diritto. Ne consegue che risponde penalmente di tutte le condotte illecite a lui addebitabili, inclusa la corretta tenuta e consegna della contabilità. La nomina di un liquidatore non esonera l’amministratore uscente da questo obbligo fondamentale, che è prodromico a una corretta gestione della liquidazione.

Per quanto riguarda la bancarotta impropria, la motivazione si concentra sulla nozione di “operazioni dolose”. Non si tratta solo di atti di distrazione del patrimonio, ma di qualsiasi iniziativa societaria complessa e strutturata che comporti un abuso di gestione o un’infedeltà ai doveri. Il mancato pagamento dei debiti verso l’Erario, quando sistematico e ingente (nel caso di specie, oltre un milione di euro), rientra pienamente in questa categoria, in quanto rappresenta una modalità di gestione che pregiudica la salute economico-finanziaria dell’impresa, cagionandone o aggravandone il dissesto. L’elemento psicologico richiesto è la consapevolezza e volontà della condotta antidoverosa e la prevedibilità dell’evento, non la volontà diretta di causare il fallimento.

Le Conclusioni

Questa sentenza lancia un messaggio chiaro: la gestione di un’impresa comporta responsabilità precise, indipendentemente dalla formalizzazione della carica. L’amministratore di fatto non può nascondersi dietro la mancanza di una nomina ufficiale per sfuggire alle conseguenze penali delle sue azioni. La decisione conferma che l’occultamento dei libri contabili e le scelte gestionali che portano scientemente all’accumulo di debiti insostenibili sono condotte gravemente illecite, sanzionate come bancarotta fraudolenta. Per imprenditori e professionisti, la lezione è evidente: la trasparenza contabile e una gestione prudente e rispettosa degli obblighi di legge sono presidi irrinunciabili per evitare gravi conseguenze penali.

Chi è l’amministratore di fatto e quali responsabilità ha in caso di fallimento?
L’amministratore di fatto è colui che, pur senza una nomina formale, esercita i poteri di gestione di una società. Secondo la sentenza, egli ha gli stessi doveri e le stesse responsabilità penali dell’amministratore di diritto, inclusa la responsabilità per i reati di bancarotta.

La mancata consegna dei libri contabili al liquidatore costituisce bancarotta fraudolenta documentale?
Sì. La sentenza afferma che l’amministratore (sia di fatto che di diritto) ha l’obbligo di tenere le scritture contabili e di consegnarle al liquidatore. La mancata consegna, unita al fatto che tali documenti non vengono poi ritrovati, integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Il mancato pagamento sistematico di tasse e contributi può essere considerato un’operazione dolosa che causa il fallimento?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che l’inadempimento sistematico e protratto delle obbligazioni fiscali e previdenziali è una scelta gestionale che aumenta il debito della società e rende prevedibile il suo dissesto. Tale condotta integra un'”operazione dolosa” che, se causa del fallimento, configura il reato di bancarotta impropria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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