Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37954 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37954 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/11/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Procura N Generale si riporta alla requisitoria in atti e conclude per l’annullamento con rinvio limitatamente alla bancarotta fraudolenta documentale; inammissibilità nel resto.
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IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 25.5.2022, aveva condannato NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta documentale, bancarotta preferenziale e bancarotta impropria da operazioni dolose, per debiti erariali, previdenziali, verso dipendenti e fornitori non adempiuti, in rubrica a lei ascritti, in qualità di amministratore di fatto della società “RAGIONE_SOCIALE” dichiarata fallita il 18.8.2016, assolveva l’imputata dal delitto di bancarotta preferenziale, con la formula perché il fatto non costituisce reato, con conseguente rideterminazione dell’entità del trattamento sanzionatorio in senso a lei favorevole, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputata, lamentando: 1) vizio di motivazione in relazione alla richiesta di derubricazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale nella meno grave fattispecie di cui agli artt. 16, n. 3, 220, I.fall.; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 223, co. 2, n. 2), I.fall., per difetto dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo del reato.
Con requisitoria scritta del 3.5.2024, da valere come memoria, in quanto nelle more il difensore di fiducia dell’imputata ha chiesto la discussione in forma orale del proposto gravame, per poi rinunziarvi, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga accolto, con riferimento al primo motivo di impugnazione, e dichiarato inammissibile nel resto.
Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi, in parte infondati, in parte inammissibili.
Con il primo motivo di ricorso l’imputata pone in realtà due questioni.
5.1. La prima attiene all’errore in cui sarebbe caduta la corte territoriale nell’affermare la responsabilità della NOME per il delitto di bancarotta
fraudolenta documentale, posto che dal primo gennaio 2015 al venti luglio dello stesso anno e fino alla data del fallimento la contabilità sociale era stata curata dal liquidatore, dottAVV_NOTAIO, sicché incombeva su quest’ultimo, al momento dell’accettazione dell’incarico conferitogli dal tribunale, l’obbligo di acquisire tutta la documentazione contabile e il successivo obbligo di consegnarla al curatore fallimentare, posto che l’ingerenza in azienda della NOME era cessata alla data del 20.7.2015.
Tale tesi non può essere condivisa.
Si osserva al riguardo che, come affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639, c.c., assume la qualifica di amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale), tra i quali vanno ricomprese le condotte dell’amministratore “di diritto” (cfr., ex plurimis, Sez. 5, 20/05/2011, n. 39593, Rv 250844; Sez. V, 2/3/2011, n. 15065, Rv. 250094).
Premesso che la qualità di amministratore di fatto della NOME non ha formato oggetto di specifica doglianza, non può, pertanto, non rilevarsi che su quest’ultima gravava l’obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili quanto meno sino all’atto della nomina del liquidatore, posto che, ai sensi dell’art. 2487 bis, co. 3, c.c., intervenuta la nomina dei liquidatori e la determinazione dei loro poteri, comunque avvenuta, sorge a carico dell’amministratore di “diritto” e, correlativamente, dell’amministratore “di fatto” su cui, come si è detto, gravano i medesimo doveri, l’obbligo di consegnare ai liquidatori, tra l’altro, i libri sociali e una situazione dei conti alla data di effetto dello scioglimento della società (cfr. Sez. 5, n. 36435 del 14/6/2011, Rv. 250939).
A tale obbligo, come rilevato dalla corte territoriale, la NOME non ha adempiuto, pur ingerendosi nell’attività dell’azienda, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, sino al 20.7.2015, quindi ben oltre la data di nomina del liquidatore, che aveva consegnato al curatore del fallimento una semplice rielaborazione personale degli affari sociali, non avendo mai ricevuto in consegna i libri sociali obbligatori, né le scritture ausiliari di supporto, inerenti il periodo precedente all’assunzione della carica (cfr. pp. 3 e 13 della sentenza di secondo grado).
Dalla mancata consegna della documentazione contabile da parte dell’amministratore di fatto al liquidatore, anche successivamente all’intervenuta nomina di quest’ultimo, in uno con il mancato rinvenimento della suddetta documentazione da parte degli organi del fallimento, correttamente la corte territoriale ha desunto, con logico argomentare, la responsabilità dell’imputata per il reato di bancarotta fraudolenta documentale specifica.
Si tratta di un epilogo decisorio, che non consente di accogliere l’invocata diversa qualificazione giuridica, conforme, peraltro, ai principi affermati di recente in un condivisibile arresto di questa Sezione, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, nel caso di scioglimento e liquidazione di una società di capitali, la nomina dei liquidatori produce effetti dal momento in cui è stata iscritta nel registro delle imprese, sicché gli amministratori della società, fatta salva l’ipotesi in cui abbiano presentato le dimissioni in precedenza, rispondono penalmente delle condotte poste in essere fino a tale momento (cfr. Sez. 5, n. 48114 del 26/10/2023, Rv. 285488).
5.2. La seconda questione attiene alla carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Al riguardo va, innanzitutto, rilevato e che per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema d’impugnazioni, è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ah origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun
esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Rv. 277281).
D’altro canto, va rammentato che non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che indichi con adeguatezza e logicità le circostanze e le emergenze processuali che siano state determinanti per la formazione del convincimento del giudice, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata.
Pertanto, anche il silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata perché non è necessario che il giudice confuti esplicitamente la singola tesi difensiva disattesa, fornendo specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p. (cfr., ex plurimis, Sez. 2, 12/02/2009, n. 8619; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260841; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593).
Orbene, in una serie di condivisibili arresti si è precisato, che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), I. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr.
Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Per integrare tale forma di bancarotta (cd bancarotta fraudolenta documentale specifica), non si richiede, dunque, un effettivo pregiudizio delle ragioni del ceto creditorio, ma solo che la condotta del soggetto attivo del reato sia sostenuta dalla finalità di arrecare pregiudizio ai creditori (ovvero di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto).
Al riguardo deve osservarsi che gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, che rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.
Dovendo, piuttosto, consistere in circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio dei menzionati eventi alla luce della finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica; della consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica.
Appare, pertanto, evidente che tra le suddette circostanze assume un rilievo fondamentale la condotta del fallito nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell’impresa.
Orbene dalla puntuale ricostruzione dei fatti fornita dalla corte territoriale appare evidente come la finalità di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio sia facilmente desumibile sulla base, da un lato, dell’accertata condotta di bancarotta impropria da operazioni dolose posta in essere dalla ricorrente, di cui si tratterà in seguito, che era specifico interesse dell’imputata non emergesse (cfr., in questo senso, sia pure con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione, Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659; Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, Rv. 283983); dall’altro, della condotta elusiva posta in essere dalla ricorrente, che, come si è visto, aveva tenacemente omesso di consegnare la necessaria documentazione contabile al liquidatore e del multiforme ruolo assunto dalla Salvator,e che risultava, al tempo stesso, amministratrice di fatto della fallita e titolare di società interagenti con quest’ultima compagine sociale, di cui era anche collaboratrice in ragione della qualità professionale rivestita.
Inammissibile appare il secondo motivo di ricorso.
Appaiono, invero, manifestamente infondati, generici e versati in fatto, i rilievi difensivi, con cui la NOME, da un lato, rappresenta che in qualità di socio di maggioranza della società fallita aveva versato ingenti somme di denaro per ovviare al grave dissesto in cui la società versava alla fine del 2014, dissesto che l’avrebbe condotta alla messa in liquidazione, a differenza del socio di minoranza, completamente disinteressatosi delle sorti dell’impresa, contestando anche una lacuna motivazionale per non avere, la corte territoriale, specificamente ricostruito in che termini la condotta contestata abbia avuto efficienza causale rispetto al fallimento, dall’altro, eccepisce la mancata dimostrazione dell’intenzione della NOME di determinare, con la sua condotta, il fallimento della società.
Non è revocabile in dubbio, infatti, che la condotta della NOME, come correttamente affermato dai giudici di merito, rientri nella previsione di cui all’art. 223, co. 2, n. 2), I. fall., conformemente alla notevole elaborazione giurisprudenziale operata in subiecta materia dalla Corte di Cassazione, dalla quale il Collegio non ritiene di discostarsi.
Si è da tempo evidenziato, in particolare, che, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all’art 223, comma secondo, n. 2, I. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione
dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato.
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata proprio al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società (cfr. Sez. 5, n. 47621de1 25/09/2014, Rv. 261684).
Può affermarsi, pertanto, che costituisce oramai “diritto vivente” l’approdo interpretativo secondo cui le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali, assistenziali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 30735 del 05/04/2019, Rv. 276996; Sez. 5, n. 24752, del 19/02/2018 Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, Rv. 270046; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492), inadempimento rispetto al quale, per tornare al caso in esame, i versamenti effettuati dalla NOME nelle casse sociali, insufficienti a fronteggiare il dissesto già in atto, costituiscono una vicenda esterna, del tutto inidonea a incidere sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui su discute.
Si è chiarito, altresì, come, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompano il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 L c.p., · né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo
l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, Rv. 259051; Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262189).
Sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, infine, si è opportunamente sottolineato come, in tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato sia configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (cfr. Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Rv. 265510).
Pertanto, sostanziandosi il fallimento determinato da operazioni dolose, in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare (cfr. Cass., Sez. 5, n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207), che nel caso in esame appare logicamente desumibile, come ritenuto dalla corte territoriale, dalla rilevante esposizione debitoria verso l’Erario, pari a oltre un milione di euro, a fronte di insinuazioni al passivo per 2,2 milioni di euro, derivante dal mancato sistematico inadempimento dei debiti erariali (cfr. p. 13 della sentenza oggetto di ricorso).
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 1’11.6.2024.