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Amministratore di fatto: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un soggetto che, pur non avendo cariche formali, agiva come amministratore di fatto di una società fallita. La sentenza ribadisce che la responsabilità penale deriva dall’esercizio effettivo dei poteri gestori, a prescindere dalla qualifica formale, identificando come dominus della società colui che ne aveva promosso la costituzione e ne dirigeva concretamente l’attività, a fronte di un amministratore di diritto risultato essere un mero prestanome.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore di Fatto e Bancarotta: La Cassazione Conferma la Responsabilità Penale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 22536 del 2024, torna a far luce su una figura di grande rilevanza nel diritto penale societario: l’amministratore di fatto. La decisione conferma un principio ormai consolidato: per la legge, chi comanda paga, anche se non ha una carica ufficiale. Questo caso chiarisce come la responsabilità per reati gravi come la bancarotta fraudolenta non si fermi alle nomine formali, ma vada a colpire chi concretamente esercita il potere gestorio all’interno di un’azienda. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: La Gestione Occulta della Società

Il caso riguarda una società dichiarata fallita, la cui gestione era formalmente affidata a un’amministratrice di diritto. Tuttavia, le indagini hanno rivelato una realtà ben diversa. L’amministratrice era una semplice “prestanome”, una lontana parente dell’imputato, priva di qualsiasi competenza tecnica (laureata in scienze motorie) e coinvolta in un momento di difficoltà economica.

Il vero dominus della società era un altro soggetto, un consulente con competenze in giurisprudenza e iscritto all’albo dei tributaristi. Era stato lui a costituire la società, a predisporne l’atto costitutivo e a gestirne ogni aspetto operativo e finanziario. Le sue direttive erano eseguite dall’amministratrice formale, il cui ruolo si limitava a compiti meramente esecutivi, come firmare assegni.

Al fallimento della società, l’imputato veniva condannato in primo e secondo grado per concorso in bancarotta fraudolenta documentale e distrattiva, proprio in qualità di amministratore di fatto. Contro questa decisione, proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il ruolo dell’amministratore di fatto

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna e offrendo importanti chiarimenti sulla figura dell’amministratore di fatto.

Il Rigetto del Primo Motivo: La Prova della Gestione di Fatto

La difesa sosteneva che il ruolo di amministratore di fatto fosse stato desunto erroneamente dalle sole dichiarazioni, a suo dire contraddittorie, della prestanome. La Cassazione ha respinto questa tesi, evidenziando come la decisione dei giudici di merito fosse fondata su un quadro probatorio solido e convergente: le dichiarazioni dell’amministratrice formale, la relazione del curatore fallimentare e gli accertamenti della Guardia di Finanza.

Era emerso chiaramente che l’imputato era il dominus effettivo: aveva costituito la società, partecipava alle verifiche fiscali come delegato e possedeva le competenze tecniche che mancavano totalmente all’amministratrice di diritto. Questi elementi, nel loro insieme, costituivano “indici sintomatici” inequivocabili della sua gestione effettiva.

Gli Altri Motivi di Ricorso: Prove Documentali e Responsabilità per le Scritture Contabili

Anche gli altri motivi sono stati respinti. La richiesta di acquisire nuovi documenti è stata giudicata irrilevante, poiché la credibilità della prestanome era già stata ampiamente vagliata sulla base di un coacervo di prove.

Infine, riguardo alla bancarotta documentale, la Corte ha ritenuto logica la conclusione che fosse proprio l’imputato a detenere le scritture contabili. Essendo il consulente contabile della società e data l’assoluta incompetenza dell’amministratrice legale, non poteva che essere lui il responsabile della loro tenuta e, di conseguenza, della loro sottrazione.

Le Motivazioni: Il Principio di Effettività

Il cuore della motivazione della Corte risiede nel cosiddetto “principio di effettività”. Le norme penali in materia di reati societari e fallimentari, come l’art. 223 della Legge Fallimentare, non si riferiscono a una qualifica formale, ma all’esercizio concreto delle funzioni. Sarebbe irragionevole e contrario alla legge escludere dalla responsabilità chi, pur senza un’investitura formale, esercita di fatto i poteri gestori, spesso con la connivenza degli organi societari formali.

La nozione di amministratore di fatto, come chiarito dall’art. 2639 del codice civile, presuppone l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della funzione. Non è necessario che eserciti tutti i poteri dell’organo di gestione, ma è sufficiente un’apprezzabile attività gestoria, anche in un singolo settore, che dimostri un suo inserimento organico nell’assetto societario.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza ribadisce un messaggio chiaro: nel diritto penale d’impresa, la sostanza prevale sulla forma. La responsabilità penale per i reati societari non può essere elusa attraverso schermi formali o l’utilizzo di prestanome. Chiunque eserciti un potere direttivo e gestorio all’interno di una società, influenzandone le decisioni strategiche e operative, è chiamato a rispondere delle proprie azioni, proprio come un amministratore regolarmente nominato. Questa pronuncia serve da monito per consulenti e professionisti: superare il confine della mera consulenza per entrare nell’area della gestione aziendale comporta l’assunzione di tutte le responsabilità, anche penali, che ne derivano.

Chi è considerato ‘amministratore di fatto’ e quando risponde penalmente?
L’amministratore di fatto è colui che, pur senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri gestionali di una società. Risponde penalmente perché la legge dà rilevanza all’esercizio effettivo delle funzioni, considerando responsabile chi prende le decisioni e dirige l’attività, indipendentemente dalla carica ufficiale.

Un consulente può essere ritenuto amministratore di fatto?
Sì, un consulente può essere considerato amministratore di fatto se la sua attività non si limita a fornire pareri tecnici, ma si estende all’esercizio di concreti poteri decisionali e gestionali, diventando il vero ‘dominus’ della società, come avvenuto nel caso esaminato.

Come si dimostra in un processo il ruolo di amministratore di fatto?
Il ruolo di amministratore di fatto viene provato attraverso una serie di ‘indici sintomatici’. Questi includono la partecipazione diretta alla gestione, l’essere riconosciuto come capo da dipendenti e terzi, l’aver costituito la società, la gestione dei rapporti con le banche e le autorità fiscali e, in generale, l’esercizio di poteri che dimostrano un inserimento organico e direttivo nella vita aziendale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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