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Amministratore di fatto: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta di un ex amministratore, ritenuto amministratore di fatto della società fallita. La sentenza chiarisce che la responsabilità penale sussiste quando, nonostante le dimissioni formali, l’imputato continua a gestire la società attraverso l’uso di prestanome, compiendo operazioni dolose che portano al fallimento, come l’omissione sistematica del versamento di imposte e la sottrazione delle scritture contabili.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore di Fatto: Quando la Gestione Occulta Porta alla Bancarotta

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto penale societario, specialmente nei casi di bancarotta. Si tratta di colui che, pur senza un’investitura formale, esercita i poteri gestori di un’impresa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 14355/2024, torna su questo tema cruciale, confermando che la responsabilità penale non si ferma alle apparenze formali, ma guarda alla sostanza dei poteri esercitati. Il caso analizzato riguarda un ex amministratore condannato per bancarotta fraudolenta per aver continuato a dirigere la società anche dopo le sue dimissioni, attraverso l’interposizione di meri prestanome.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dal fallimento di una società, dichiarato nel 2013. Un soggetto era stato amministratore unico della società dal 2000 al 2004. Dopo tale data, la carica era stata assunta formalmente da altre due persone in successione: prima un suo stretto collaboratore e poi un uomo molto anziano, completamente estraneo alla gestione aziendale.

Secondo l’accusa, confermata nei gradi di merito, l’imputato non aveva mai smesso di essere il vero dominus della società. Anzi, la sua gestione, sia formale che di fatto, era stata caratterizzata da operazioni dolose, in particolare la sistematica omissione del versamento di oneri fiscali e contributivi sin dal 2002. Tale condotta aveva generato un debito erariale di quasi 200.000 euro, cagionando il dissesto dell’impresa. Inoltre, all’imputato veniva contestata la sottrazione delle scritture contabili per arrecare pregiudizio ai creditori.

La difesa sosteneva che, dopo la cessazione della carica nel 2004, non vi fossero prove di un’effettiva e continuativa attività gestoria da parte dell’imputato, il quale andava considerato un semplice extraneus rispetto ai reati commessi successivamente.

La Qualifica dell’Amministratore di Fatto nella Bancarotta

Il cuore della questione giuridica risiede nell’individuazione dei criteri per attribuire la qualifica di amministratore di fatto. La giurisprudenza è costante nell’affermare che non contano le qualifiche formali, ma le concrete funzioni esercitate. Per riconoscere un soggetto come amministratore di fatto, è necessario individuare prove significative e concludenti del suo inserimento nella gestione della vita societaria, con poteri direttivi in qualsiasi fase (organizzativa, produttiva o commerciale).

Gli indici sintomatici tipici sono:
* La costante assenza dell’amministratore di diritto.
* La mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti.
* Il conferimento di deleghe in settori fondamentali.
* La diretta partecipazione alle decisioni strategiche.

Nel caso di specie, la Corte doveva stabilire se, nonostante la presenza di amministratori formalmente in carica, l’imputato avesse mantenuto il controllo effettivo della società, rendendosi così responsabile delle condotte che l’hanno portata al fallimento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo la motivazione della Corte di Appello logica e coerente. I giudici hanno sottolineato come le sentenze di primo e secondo grado formino un unico corpo argomentativo, nel quale la responsabilità dell’imputato emerge chiaramente.

In primo luogo, la condotta di sistematica omissione dei pagamenti di tributi e contributi era iniziata nel 2002, quando l’imputato era ancora amministratore di diritto, e la parte di debito accumulata sotto la sua gestione formale rappresentava già più della metà del totale.

In secondo luogo, la successione degli amministratori dopo il 2004 è stata ritenuta puramente fittizia. I successori erano semplici prestanome, installati per schermare il vero gestore. Il secondo successore, in particolare, era un soggetto anziano, residente altrove, che non aveva mai avuto contatti con l’azienda né avviato alcuna delle nuove attività previste dal mutato oggetto sociale. Tali operazioni, come il trasferimento fittizio della sede in Bulgaria, sono state interpretate come manovre elusive finalizzate a sottrarre la società alle responsabilità patrimoniali e a far perdere le proprie tracce.

La Corte ha concluso che, in assenza di un reale subentro nella gestione, il controllo effettivo era rimasto in capo all’imputato, il quale ha continuato a dirigere la società verso la dismissione delle sue residue risorse. Di conseguenza, essendo lui il gestore di fatto, era anche il soggetto tenuto a conservare le scritture contabili. La loro sottrazione è stata quindi correttamente attribuita alla sua volontà di occultare le proprie responsabilità.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto penale d’impresa: la responsabilità penale segue il potere effettivo. Chi gestisce una società, anche senza un incarico formale, ne risponde penalmente per i reati commessi nella sua amministrazione. La nomina di amministratori “di paglia” o “testa di legno” non solo non è sufficiente a esonerare da responsabilità il gestore occulto, ma costituisce un forte indizio della sua presenza e delle sue intenzioni fraudolente. Questa decisione serve da monito: i tribunali guarderanno sempre al di là dello schermo societario per individuare e punire chi realmente detiene le redini del comando, soprattutto quando queste portano l’impresa al fallimento a danno dei creditori e della collettività.

Chi è l’amministratore di fatto secondo la giurisprudenza?
È la persona che, pur in assenza di una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri di gestione e direzione di una società. La sua identificazione avviene sulla base di prove concrete, come la costante assenza dell’amministratore di diritto e il mantenimento del controllo effettivo sull’attività d’impresa.

Un ex amministratore può essere ritenuto responsabile per la bancarotta avvenuta dopo le sue dimissioni?
Sì, può essere ritenuto responsabile se viene provato che ha continuato a gestire la società come amministratore di fatto, utilizzando i successori formali come semplici prestanome e compiendo le azioni che hanno causato il dissesto.

Perché la sottrazione delle scritture contabili è stata attribuita all’amministratore di fatto?
Poiché l’imputato ha mantenuto il potere concreto di amministrare la società, nonostante le dimissioni formali, su di lui ricadeva l’obbligo di tenere e conservare correttamente le scritture contabili. Di conseguenza, la loro omessa consegna è stata considerata una condotta riconducibile alla sua volontà di sottrarsi alle proprie responsabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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