Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14355 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14355 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 23/06/2023 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 13 febbraio 2020 del Tribunale di Roma che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per le condotte di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose e di bancarotta fraudolenta documentale, unificate in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ai sensi dell’art. 219, secondo comma, n. 1, r.d. n. 267 del 1942 e, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla predetta aggravante, lo aveva
condannato alla pena ritenuta di giustizia.
In particolare i Giudici del merito hanno affermato la penale responsabilità del COGNOME per avere egli, quale amministratore unico, dal 13 dicembre 2000 al 22 giugno 2004, e poi quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE sino alla data del suo fallimento, dichiarato il 16 ottobre 2013, cagionato per effetto di operazioni dolose il fallimento della società, omettendo sistematicamente di effettuare i versamenti fiscali e contributivi sin dall’anno 2022, nonché per avere sottratto i libri e le altre scritture contabili onde arrecare pregiudizio ai cred sociali o assicurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando un solo motivo con il quale denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’attribuzione all’imputato della qualifica d amministratore di fatto della società fallita.
Il ricorrente, dopo avere richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione che, in tema di bancarotta fraudolenta, afferma che la qualifica di amministratore di fatto di una società richiede l’individuazione di prove significative e concludenti dello svolgimento delle funzioni direttive in qualsias fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività imprenditoriale (Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, Capece, Rv. 282775; Sez. 5, n. 2502 del 20/01/2023, COGNOME, non massimata), segnala che la Corte di appello non ha indicato alcuna attività gestoria concreta, certa e non episodica da lui svolta successivamente alla cessazione della carica nel 2004.
Sostiene che a tal fine non è sufficiente affermare che non vi è prova che NOME COGNOME, amministratore della società dal 15 ottobre 2007 al 10 luglio 2009, abbia effettivamente gestito la società o abbia impartito ordini ai dipendenti, neppure essendovi la prova che in detto periodo la società fosse amministrata di fatto dal ricorrente. Anche la circostanza che i due dipendenti della società si fossero dimessi e fossero stati assunti dal COGNOME non aveva alcun valore indiziario, atteso che a seguito del subentro del nuovo amministratore COGNOME la società, che si era sempre occupata di servizi di contabilità, aveva profondamente mutato il suo oggetto sociale ed i dipendenti non avevano le competenze tecniche per dedicarsi alla nuova attività imprenditoriale. Né risultava che i dipendenti, assunti dal COGNOME, avessero continuato a prestare attività di lavoro nell’interesse della società poi fallita.
Neppure i Giudici del merito hanno affermato che l’imputato avesse esercitato deleghe conferitegli dalla società o avesse avuto rapporti con i
dipendenti della stessa o comunque compiuto atti di gestione.
Ancora, la circostanza che il COGNOME avesse prestato, a garanzia dei debiti societari, una fideiussione ancora attiva nel 2020 era circostanza priva di rilievo poiché la fideiussione non integrava un atto gestionale; né poteva dirsi certo che la fideiussione non si fosse estinta prima del 2020 e anche su molte altre circostanze fattuali vi erano lacune investigative.
Anche la mancanza di approfondimenti circa il debito erariale e la sua evoluzione nel corso del tempo impedivano di apprezzare l’effettiva portata della condotta dell’imputato, considerato che le omissioni del pagamento dei tributi e contributi erano iniziate nel 2002, mentre il COGNOME era cessato dalla carica nel 2004.
Quanto alle scritture contabili, non avendo egli amministrato di fatto la società successivamente alla perdita della carica, occorreva provare che egli avesse attivamente contribuito, quale extraneus, alla condotta di sottrazione delle stesse attuata dall’amministratore della società poi fallita, mentre la Corte di appello non ha indicato alcuna prova di siffatto contributo.
Il difensore del ricorrente ha fatto pervenire in data 12 gennaio 2024 istanza di trattazione orale, che è stata rigettata per tardività con provvedimento del 18 gennaio 2024, comunicato in pari data allo stesso difensore, che già in data 16 gennaio 2024 ha fatto pervenire una memoria di replica alla requisitoria scritta del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora, come nel caso di specie, i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep. 2012, NOME, Rv. 252615).
In questi casi, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di prim grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595); le due sentenze possono essere lette
congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
Sulla base di tale principio deve osservarsi, quanto alla condotta di bancarotta fraudolenta da operazioni dolose, che entrambe le sentenze hanno affermato che la condotta di sistematica omissione del pagamento dei tributi e degli oneri contributivi è iniziata nel 2002, quando l’imputato ancora era amministratore di diritto della società.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza di primo grado indica precisamente, anno per anno, gli importi non pagati nel periodo dal 2002 al 2008 (vedi pag. 7 della motivazione della sentenza di primo grado) e gli importi relativi al periodo dal 2002 al 2004 appaiono comunque superiori complessivamente ad euro 110.000,00, ossia più della metà dell’intero debito erariale di euro 194.000,00 per il periodo dal 2002 al 2008.
Peraltro, la sentenza di primo grado evidenzia che, sebbene la società sia stata formalmente amministrata da NOME COGNOME dal 22 giugno 2004 al 15 ottobre 2007 e poi da NOME COGNOME, la circostanza che il COGNOME abbia continuato di fatto ad amministrare la società emerge da plurimi e convergenti indizi.
In primo luogo, il COGNOME viene definito dallo stesso COGNOME uomo di sua fiducia e suo collaboratore, al quale, in assenza di altra forma di retribuzione, a titolo di gratificazione egli ha ceduto la quota intestata alla coniuge NOME n i.
Successivamente al COGNOME è subentrato nella carica NOME COGNOME, domiciliato a Teano, ove era titolare di una concessionaria di autovetture. Il COGNOME, molto anziano, essendo nato il DATA_NASCITA, non risulta che abbia mai avuto contatti con i dipendenti o che abbia gestito la società, che, a seguito del suo ingresso, ha mutato il suo oggetto sociale dalla prestazione di servizi di contabilità in quello della attività di compravendita di immobili; tale attività è, tuttavia, stata mai avviata, cosicché la società, che veniva privata di ogni attività, trasferiva la sua sede in Bulgaria, ma solo fittiziamente, tanto che trasferimento non impediva al Tribunale civile di dichiarare il suo fallimento. Poiché il COGNOME non aveva alcun interesse ad acquisire una società già gravata da ingenti debiti verso l’erario assumendosi la qualità di socio accomandatario e quindi la responsabilità illimitata per le sue obbligazioni per poi non avviare alcuna attività imprenditoriale, del tutto logicamente i giudici del merito hanno ritenuto che il suo subentro fosse avvenuto nell’esclusivo interesse del COGNOME e del COGNOME, interessati ad addossare le loro responsabilità su un altro soggetto.
Al contempo il COGNOME, secondo quanto emerge dalla sentenza di primo
grado, pur dopo il subentro del ‘COGNOME, ha continuato a controllare la società, concorrendo negli atti finalizzati alla dismissione delle sue residue risorse economiche.
Il Tribunale segnala che le uniche persone che avevano interesse a far perdere le tracce della società erano coloro che l’avevano amministrata negli anni precedenti cagionandone il dissesto attraverso la sistematica omissione del pagamento degli oneri fiscali.
La successione del COGNOME nella carica di amministratore della società è stata meramente fittizia, con la conseguenza che, in assenza di un suo reale subentro, il controllo effettivo della società è rimasto in capo a coloro che l’avevano in precedenza amministrata, ossia il COGNOME ed il COGNOME.
È ben vero che, in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall. vanno individuati sulla base delle concre funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta, e che hanno valore di indici sintomatici della qualità di amministratore di fatto conferimento di deleghe in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti (Sez. 5, Sentenza n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273) e nel caso di specie ricorrono la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, nonché il mantenimento del controllo della società in capo al COGNOME, che ha partecipato alle condotte di dismissione delle attività residue.
Non rileva, invece, che il COGNOME non abbia svolto in modo continuativo attività gestoria nel periodo successivo al subentro del COGNOME, poiché in detto periodo la società, ormai priva di dipendenti, non ha esercitato attività imprenditoriale.
Avendo il COGNOME mantenuto in capo a se stesso il concreto potere di amministrare la società, nonostante il solo apparente subentro del COGNOME e del COGNOME, lo stesso era tenuto a rispettare gli obblighi inerenti alla tenuta dell scritture contabili, cosicché la loro omessa consegna vale ad integrare la condotta di bancarotta fraudolenta documentale, ove si consideri che tale condotta risulta riconducibile alla volontà del COGNOME e del COGNOME di sottrar alle loro responsabilità, al pari del trasferimento all’estero della sede della societ poi fallita.
La motivazione che emerge dalle due sentenze di merito, come sopra sintetizzata, non appare affatto contraddittoria o illogica ed il motivo di ricor risulta conseguentemente infondato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 01/02/2024.