Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11213 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11213 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI COGNOME nato a AGNONE il 22/05/1975
avverso la sentenza del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv. COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 14 giugno 2024, la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Ancona in data 4 luglio 2022 con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di 3 anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante prevista dall’art. 219, comma 2, n. 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fall.), del delitto previsto dagli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223, legge fall., per avere, in qualità di amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE dal 26 aprile 2012 al 16 marzo 2015 e di amministratore di fatto sino al 6 novembre 2015, data della dichiarazione di fallimento, distratto, occultato, distrutto o comunque dissipato i beni nella disponibilità della società, consegnatigli tra 1’8 gennaio 2015 e il 24 febbraio 2015 dalla RAGIONE_SOCIALE in virtù dei contratti di locazione di beni mobili in data 8 gennaio 2015, 29 gennaio 2015, 4 febbraio 2015, 20 febbraio 2015 e 24 febbraio 2015 (capo A), nonché del delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1 e 223, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 perché, COGNOME in qualità di amministratore unico dal 26 aprile 2012 al 16 marzo 2015 e di amministratore di fatto per il periodo successivo e fino alla data della dichiarazione di fallimento e NOME COGNOMEnei cui confronti si è proceduto separatamente), in qualità di amministratore unico dal 16 marzo 2015 alla data della dichiarazione di fallimento della società RAGIONE_SOCIALE distraevano la vettura Mercedes targata TARGA_VEICOLO, concessa in leasing alla fallita dalla RAGIONE_SOCIALE, cespite tenuto nascosto alla curatela e restituito soltanto il 20 gennaio 2016, dopo che il curatore era venuto a conoscenza del contratto di leasing a seguito della ricezione di un verbale di infrazione del codice della strada; in Ancona il 6 novembre 2015 (capo B).
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il travisamento della prova, con conseguente mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. L’affermazione della Corte di appello, secondo cui COGNOME avrebbe acquistato i beni in leasing dalla RAGIONE_SOCIALE nell’ambito di un’operazione volta a conseguirne la illegittimamente disponibilità in una fase in cui si stava solo formalmente spogliando delle quote sociali e della qualità di amministratore, sarebbe smentita dalla sentenza n. 235/2021 Reg. Sent., emessa dal Tribunale di Ancona in data 11 dicembre 2021 all’esito del giudizio per bancarotta documentale (proc. n. 331/17
R.G.N.R.), secondo cui non sarebbe stato provato che la cessione fosse un atto fittizio volto a far subentrare nell’amministrazione della società solo apparentemente un terzo soggetto, che avrebbe emesso degli assegni sul conto dalla società in epoca successiva alla cessione. La ricostruzione accolta dalla sentenza impugnata sarebbe smentita anche da altre prove documentali prodotte nel giudizio di appello, quali le lettere inviate da COGNOME alle banche e alle ditt fornitrici il giorno successivo al subentro del nuovo amministratore e aventi come oggetto «cambio sede legale – cambio proprietà – cambio amministratore», nonché i provvedimenti di archiviazione dei «verbali di violazione … dell’art. 2 della legge n. 386/1990», emessi dalla Prefettura di Fermo. Inoltre, la colpevolezza dell’imputato sarebbe smentita dalla sentenza n. 1514 del Tribunale di Fermo in data 1° dicembre 2023, da cui emergerebbe la estraneità di COGNOME ai fatti contestati.
Sotto altro profilo, il ricorso deduce il travisamento della relazione della curatela ex art. 33 legge fall. (pag. 2) e del verbale di prima comparizione (pag. 3), da cui emergerebbe che COGNOME abbia avuto conoscenza del fallimento soltanto dopo avere ricevuto la comunicazione dal curatore; che, successivamente ad essa, egli si sia messo in contatto con il nuovo amministratore tramite posta elettronica all’indirizzo EMAIL , che abbia reperito la vettura a Civitanova su indicazione di NOME e che tale contatto abbia avuto luogo prima del tentativo del curatore di comunicare lo stesso NOME, avvenuto dopo il 20 gennaio 2016. Ciò si porrebbe in contrasto con l’affermazione della Corte di appello secondo cui «l’assunto dell’imputato dell’interlocuzione con il cittadino moldavo tramite posta elettronica è smentito dal curatore nella sua seconda relazione quando ha rappresentato a pag. 2 che a quell’indirizzo era risultato impossibile l’invio di corrispondenza» (così a pag. 5, 4 0 cpv. della sentenza impugnata).
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen, 216, comma 1, n. 1, 223, r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Agli atti risulterebbero due rivendiche di beni mobili con domanda di ammissione al passivo, di cui una effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE e l’altra dalla RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente il 23 dicembre 2016 e il 29 gennaio 2016, entrambe rigettate dal Tribunale di Ancona, atteso che l’autovettura Mercedes tg. TARGA_VEICOLO sarebbe stata già riconsegnata e gli altri beni non sarebbero stati inventariati. In tutti i casi, tali beni non avrebbero fatto parte del patrimonio della fallita, quin non avrebbero leso la garanzia dei creditori, ma la loro «manomissione/sottrazione» potrebbe avere semmai comportato la responsabilità dell’imputato per un reato diverso dalla bancarotta. La giurisprudenza avrebbe più volte affermato che non fanno parte del patrimonio del fallito i beni posseduti a titolo precario, con mera detenzione, sui quali altri soggetti vantino il diritto all
restituzione, essendo beni che il curatore deve restituire ai proprietari (come accaduto per la Mercedes tg EX982PE), sicché la loro sottrazione non sarebbe idonea a ledere i diritti dei creditori. In ogni caso, la giurisprudenza riterrebbe che la distrazione del bene oggetto dei contratti di leasing debba comportare un pregiudizio per la massa fallimentare derivante dal diritto del concedente al riscatto del valore residuo del bene, chiedendo le rate non pagate e la restituzione del bene. Nel caso di specie, tuttavia, i contratti di leasing sarebbero stati risolti prima della dichiarazione di fallimento, sicché i beni non sarebbero mai entrati nella massa fallimentare, tanto è vero che la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non sarebbero state ammesse alla procedura fallimentare, né sarebbe stato conveniente per il curatore riscattare tali beni essendo stati i contratti risolti prima del fallimento. Pertanto, la precedente distrazione dei beni in questione non avrebbe determinato alcun danno per il fallimento.
La giurisprudenza avrebbe affermato, inoltre, che in caso di cessione del contratto o di restituzione del bene, si debba valutare, ai fini della configurabilità di un effettivo danno alla massa dei creditori, se la locazione finanziaria avesse un valore positivo (vale a dire se con il pagamento di poche rate il curatore avrebbe potuto acquisire in modo vantaggioso la titolarità del bene), ovvero avesse un valore negativo (in quanto il pagamento delle rate residue avrebbe rappresentato soltanto un onere a carico del fallimento).
Sotto altro profilo, si osserva che ai sensi dell’art. 2380-bis cod. civ., l gestione dell’impresa spetta in modo esclusivo all’amministratore, il quale compie tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale e adempie a tutti gli obblighi imposti alla società. In base a tale diposizione l’amministratore risponderà unicamente delle condotte tenute nel periodo in cui era in carica, non potendo essere responsabile delle condotte successive alla cessazione del suo incarico o antecedenti al suo insediamento. Nel caso di COGNOME, tuttavia, non sarebbe stato acquisito alcun elemento da cui possa desumersi che egli abbia svolto in «… modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualif o alla funzione» (art. 2639 cod. civ.) e che egli abbia esercitato (o concorso ad esercitare) la carica di amministratore di fatto della società dopo la cessione delle quote, essendovi, anzi, la prova che, subito dopo la cessione, abbia inviato lettere a banche e ditte fornitrici comunicando la cessazione dalla carica di amministratore e che si sia attivato per far recuperare il più possibile al curatore, fornendo tutte le informazioni di cui disponeva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Va premessa, secondo l’ordine logico delle questioni poste, la disamina del tema relativo all’accertamento della qualifica di amministratore di fatto.
2.1. Sul punto va ricordato che il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che essa debba essere riconosciuta sulla base delle concrete funzioni esercitate e non già rapportandosi alle mere qualifiche formali (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497 – 01), venendo all’uopo richiesta la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società; accertamento che costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 – 01).
2.2. Nel caso di specie, il ricorso contesta il ruolo di amministratore di fatto rivestito dall’imputato dopo la cessione della società e fino al fallimento di essa, senza confrontarsi con le argomentazioni delle due sentenze di merito, la cui motivazione è destinata a integrarsi reciprocamente, secondo cui COGNOME aveva orchestrato una callida operazione di cessione delle quote a un soggetto che si era reso immediatamente irreperibile; e ciò al fine di consentire allo stesso imputato di mantenere il controllo sul compendio societario e, in particolare, sui beni oggetto di leasing, non a caso acquisiti in prossimità della sua uscita dalla compagine sociale, di cui aveva, però, mantenuto la disponibilità di fatto, come dimostrato proprio dalla vicenda della autovettura. Quest’ultima, infatti, era stata restituita da COGNOME al curatore, dopo che egli aveva fintamente provato a mettersi in contatto con l’ormai irraggiungibile amministratore di diritto.
Dunque, il presente motivo, non confrontandosi con la complessiva ricostruzione fattuale compiuta dalla sentenza impugnata, risulta del tutto aspecifico, rivelandosi, altresì, comunque non consentito in sede di legittimità, atteso che esso finisce per sostanziarsi in una evidente sollecitazione volta a pervenire a una differente valutazione del compendio probatorio, in realtà riservata al giudice di merito.
Le considerazioni che precedono impongono di disattendere anche le censure difensive articolate con il primo motivo, volte a prospettare un travisamento della prova consistente nella omessa valutazione di due sentenze e di vari documenti, prodotti nel corso del giudizio di merito e da cui emergerebbe: che COGNOME non avrebbe esercitato il ruolo di amministratore di fatto, secondo quanto si evincerebbe dalla sentenza n. 1514 del Tribunale di Fermo in data 10 dicembre 2023, che nel pronunciarsi sull’accusa di aver commesso ulyttruffa ai danni di NOME COGNOME in concorso con NOME COGNOME avrebbe escluso che lo stesso COGNOME abbia assunto tale ruolo gestorio; che ad analogo
esito condurrebbe la sentenza n. 235/2021 Reg. Sent., emessa dal Tribunale di Ancona in data 11 dicembre 2021, all’esito del giudizio per bancarotta documentale (proc. n. 331/17 R.G.N.R.), essendo stato riconosciuto che non erano stati acquisiti elementi tali da supportare l’ipotesi di un coinvolgimento dell’imputato in attività gestorie compiute dopo la cessione delle quote; che tali attività sarebbero smentite anche dalle comunicazioni dell’avvenuta cessione a banche e ditte fornitrici compiute da Di COGNOME; che vi sarebbe la prova ricavabile dalla relazione ex art. 33 legge fall. (pag. 2) e dal verbale di prima comparizione (pag. 3) – che il curatore avrebbe tentato di comunicare con NOME , dopo che COGNOME lo aveva contattato per recuperare la NOME, sicché non sarebbe dimostrato l’assunto della Corte di appello, ovvero che all’indirizzo di posta elettronica indicato (EMAIL fosse risultato impossibile l’invio di corrispondenza.
Tuttavia, non può non rilevarsi che, come condivisibilmente osservato dal Procuratore generale in sede di requisitoria scritta, il compendio in questione non è stato allegato al ricorso, né i contenuti della richiamata documentazione sono stati trascritti integralmente, di tal che le relative argomentazioni non possono essere ritenute autosufficienti.
Né può ritenersi significativo il richiamo alla relazione del curatore e al verbale di prima comparizione per dimostrare che l’indirizzo di posta elettronica in uso a NOME fosse effettivamente attivo, non emergendo ictu ocuii da tali documenti, pur citati per stralci nel ricorso, la prova della circostanza, solo labialnnente dedotta da COGNOME, che egli fosse realmente riuscito a contattare il nuovo amministratore prima che il curatore vi avesse, a sua volta, tentato. Va, infatti, ricordato che in caso di cd. doppia conforme, la deduzione del vizio di travisamento della prova per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, per essere consentita in sede di legittimità, deve consistere nella rappresentazione di una incontrovertibile e pacifica distorsione del dato probatorio, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01).
Infondato è, infine, il secondo motivo, con cui la Difesa deduce che i beni distratti non sarebbero mai entrati nella massa fallimentare, per essere stati i contratti risolti prima della dichiarazione di fallimento.
Sul punto, è la stessa sentenza di secondo grado che dà effettivamente atto dell’avvenuta risoluzione quantomeno dei contratti di leasing stipulati con la RAGIONE_SOCIALE anche se poi essa ha dato conto di come lo stesso imputato, nell’atto di appello, avesse riferito che la società aveva formalizzato le
rivendiche dei beni mobili con domanda di ammissione al passivo in data 29 gennaio 2016 (circostanza ribadita nel secondo motivo dell’odierno ricorso), a riprova del fatto che l’effetto estintivo conseguente alla dichiarazione della società non avrebbe risolto i rapporti nascenti dai contratti. Mentre nulla viene riportato con riferimento all’autovettura Mercedes, anche se pure con riferimento ad essa la sentenza ha riferito che, sempre nell’atto di appello, l’imputato aveva precisato che la Se/ma RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la rivendica del veicolo con domanda di ammissione al passivo in data 23 dicembre 2016 (circostanza anch’essa ribadita nel secondo motivo di ricorso).
In ogni caso, come osservato dalla Corte di appello, integra comunque il delitto di bancarotta patrimoniale la condotta di distrazione di beni entrati nella effettiva disponibilità della società fallita in virtù di un contratto di leasing, quand’anche esso sia stato risolto prima della dichiarazione di fallimento per inadempimento. Quel che rileva, a tal fine, è, infatti, la disponibilità di fatto, in capo all’utilizz dei beni successivamente distratti, considerato che, comunque, la sottrazione dei beni (che nel caso del materiale informativo non è stato mai restituito) comporta un pregiudizio per la massa fallimentare, gravata dell’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione, ai sensi dell’art. 79, legge fall. (Sez. 5, n. 44350 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268469 – 01).
Secondo la Difesa, tuttavia, la circostanza che nessuna delle due società concedenti si sia insinuata nel passivo dimostrerebbe che nessun vulnus sia in concreto derivato alla massa fallimentare. Tuttavia, in proposito è appena il caso di osservare che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo concreto, sicché l’atto di depauperamento incidente negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale deve essere idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (ex plurimis Sez. 5, n. 28941 del 14/02/2024, Messina, Rv. 287059 – 01). Tale condizione è stata pacificamente integrata nel caso in esame, considerato che dalla condotta distrattiva era comunque conseguita, prima della richiesta di fallimento, una situazione debitoria rispetto alla quale le società concedenti avevano cercato di assumere le più opportune iniziative, sollecitando, come detto, le revindiche con le rispettive domande di ammissione al passivo, benché esse non siano state accolte (per ragioni che il ricorso non ha peraltro documentato, risultando, ancora una volta, non autosufficiente su un punto assolutamente qualificante).
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 10 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente