Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20089 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20089 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato ad Altamura il 19/09/1978, COGNOME NOME nata ad Altamura il 27/05/1951, NOMECOGNOME nato ad Altamura il 12/02/1980, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 21/11/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi; udito, per l’imputato, l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 21 novembre 2022, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari in data 2 ottobre 2019 con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME erano stati condannati, con la diminuente del rito: i primi due, alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione e, la terza, alla pen
di 2 anni e 8 mesi di reclusione, in quanto riconosciuti colpevoli: i primi due, dei delitti previsti dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 2, 223, comma 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, commesso in Bari il 14 aprile 2014, per avere, in concorso fra loro, NOME COGNOME quale amministratore dal 22 aprile al 25 novembre 2013 e NOME COGNOME quale amministratore di fatto della fallita RAGIONE_SOCIALE tenuto i libri e le altre scritture contabili obbligatorie in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, con lo scopo di recare danno ai creditori, non redigendo il bilancio 2013 e omettendo, per lo stesso anno, di tenere il libro giornale e il libro degli inventari (capo B); tutti e tre, del delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 2 comma 1, n. 1, 223, comma 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, commesso in Bari il 14 aprile 2014, per avere, in concorso tra loro, distratto beni della società fallita, in quanto i due COGNOME, nella qualità indicata, e la COGNOMEmadr dei COGNOME), quale amministratrice della RAGIONE_SOCIALE (la cui proprietà era riferibile al nucleo familiare COGNOME), stipulato un contratto di compravendita con il quale la RAGIONE_SOCIALE trasferiva alla RAGIONE_SOCIALE la proprietà, di fatto a titolo gratuito, di un fondo rustico in agro di Altamura; con l’aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità (capo C); soltanto i primi due, del delitto previsto dagli artt. 110 cod. peti., 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, 219, comma 1 e 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, per avere, in concorso tra loro, distratto beni della RAGIONE_SOCIALE realizzando una cessione di ramo d’azienda al prezzo irrisorio di 80.100,00 euro, determinato indicando voci passive fittizie (1.339.501,00 euro per debiti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, 318.305,00 euro per debiti nei confronti della Cosedil, 910.755,16 euro relativi al «Fondo per rischi e oneri futuri» e 441.657,36 euro per «TFR»), con l’aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, in Bari il 14 aprile 1014 (capo D), soltanto i primi due, del delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 216, comma 3, 223, comma 1, 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, per avere, nelle qualità indicate, sia prima che durante la procedura fallimentare, allo scopo di favorire NOME COGNOME e a danno degli altri creditori, eseguito il pagamento nei suoi confronti di 20.000 euro, dovuti per retribuzioni non corrisposte, in Bari dal 14 aprile 2014 al 31 marzo 2015 (capo E). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta
documentale contestato al capo B) per non avere redatto (recte: approvato) il bilancio relativo all’esercizio 2013 e avere omesso di tenere il libro giornale e il libro inventari.
Dopo avere premesso che la mancata approvazione del bilancio non integra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale in quanto, di per sé, il bilancio non costituisce una scrittura contabile obbligatoria ex art. 2214 cod. civ. e la sua mancata approvazione non impedisce né ostacola, in alcun modo, la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita, si osserva che NOME era cessato dalla carica di amministratore nel novembre 2013, prima che si concludesse l’esercizio e che fosse possibile redigere il relativo bilancio. Sarebbe, dunque, erronea l’affermazione dei Giudici di merito secondo cui su NOME «incombeva comunque l’onere della presentazione del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio». Quanto, poi, alla omessa tenuta del libro giornale e del libro inventari relativi all’esercizio 2013, non rinvenuti in sede di procedur concorsuale, si opina che la bancarotta documentale è reato proprio dell’amministratore, il quale non può rispondere della tenuta della contabilità nel periodo successivo alla dismissione della carica.
Inoltre, non sarebbe stato accertato se il mancato rinvenimento delle scritture contabili fosse imputabile alla sottrazione o distruzione delle stesse da parte dell’imputato, non potendo esse argomentarsi unicamente dalla commissione dei fatti di bancarotta patrimoniale. Peraltro, sarebbe stato dimostrato che all’epoca in cui NOME COGNOME era amministratore della RAGIONE_SOCIALE l’intera contabilità veniva regolarmente tenuta e aggiornata, secondo quanto dichiarato da NOME COGNOME dipendente amministrativa della RAGIONE_SOCIALE sino all’inizio del 2014. In ogni caso, la documentazione acquisita dalla curatela fallimentare avrebbe consentito la puntuale ricostruzione del patrimonio, dei movimenti contabili e di tutte le posizioni di debito/credito.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui al capo C) della rubrica, relativo alla cessione di un fondo rustico «a titolo gratuito» in favore della RAGIONE_SOCIALE con pagamento «fuori atto»; cessione che sarebbe avvenuta per impedire che un creditore come RAGIONE_SOCIALE potesse ottenere il ristoro dei propri crediti, risultando «fittizia» (pag. 4).
La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare che la condotta contestata sarebbe in concreto inoffensiva, atteso che il bene oggetto di trasferimento risultava gravato da un’ipoteca giudiziale anteriore al fallimento, opponibile alla massa dei creditori, sicché il trasferimento del fondo sarebbe stato comunque inidoneo a recare pregiudizio al ceto creditorio e al creditore ipol:ecario, che poteva opporre all’acquirente il preesistente privilegio trascritto sul bene venduto. Per tali
ragioni, quand’anche il fondo fosse rimasto nella disponibilità della società fallita, su di esso si sarebbe integralmente soddisfatto il creditore munito di privilegio.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui capo D) della rubrica, concernente la cessione, in favore della RAGIONE_SOCIALE, di un ramo d’azienda «al prezzo irrisorio di C 80.000,00», determinato «indicando voci passive fittizie».
Premesso che mancherebbe agli atti qualsiasi valutazione del ramo d’azienda ceduto che possa consentire di verificare la congruità del prezzo, le sentenze di merito avrebbero ritenuto che l’amministratore abbia sottostimato il prezzo di vendita, indicando, nella situazione patrimoniale allegata all’atto di cessione, tra le passività asseritamente inesistenti, i seguenti importi: 1) somme da corrispondere ai dipendenti a titolo di TFR per 441.657,36 euro; 2) debiti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per 1.339.501,00 euro; 3) debiti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per 318.305,00 euro; 4) Fondo per rischi e oneri futuri per 910.755,16 euro.
Quanto alla posta relativa al TFR, il perito avrebbe effettivamente accertato che la RAGIONE_SOCIALE aveva versato agli ex dipendenti della RAGIONE_SOCIALE il trattamento di fine rapporto, con pagamento, nel 2013, di circa 307 mila euro e, nel 2014, di altri 64 mila euro. Sul punto, però, la sentenza di meritò conterrebbe soltanto un riferimento al mancato perfezionamento del trasferimento dei dipendenti in capo alla RAGIONE_SOCIALE, che sarebbe totalmente ininfluente rispetto all’assunzione del debito e alla sua corrispondenza al dato reale.
Quanto alla posta debitoria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, originata dalla sottoscrizione dei preliminari di compravendita di due suoli edificabili nel comune di Palo del Colle, il perito avrebbe contestato esclusivamente le modalità di rilevazione contabile, smentendo l’assunto del Giudice di primo grado, secondo cui l’iscrizione del debito non troverebbe alcuna giustificazione, non corrispondendo ad alcun effettivo debito di quest’ultima società verso la prima, in realtà attestato dai cennati preliminari di vendita.
Nessun accertamento era stato richiesto al perito in ordine al debito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, rimasto privo di qualsivoglia verifica e tuttavia richiamato dal Collegio di appello per affermare che attraverso la relativa posta sarebbe stato conferito al ramo d’azienda ceduto un valore inferiore a quello reale.
In ogni caso, la circostanza che alla società fallita siano state notificate cartell esattoriali per un importo complessivo superiore a 7 milioni di euro (come risulta dalle istanze di insinuazione al passivo acquisite all’esito dell’esame del curatore fallimentare) comporterebbe che le passività del ramo di azienda ceduto fossero ampiamente superiori agli elementi attivi trasferiti, che ammontavano,
complessivamente, a 3.594.200,47 euro, sicché la cessione non avrebbe recato alcun pregiudizio alla massa dei creditori.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto d cui al capo E) della rubrica, relativo al pagamento preferenziale in favore di COGNOME, attuato con il versamento di 20.000 euro per ridurre il debito che la RAGIONE_SOCIALE aveva nei suoi confronti per retribuzioni arretrate non pagate. La Corte territoriale non avrebbe considerato che il delitto de quo non sussiste, secondo la giurisprudenza di legittimità, quando il pagamento viene effettuato nella ragionevole convinzione di poter evitare il fallimento, sulla base delle condizioni in cui versava la società, in quanto la strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevole e presumibile riequilibrio finanziar patrimoniale, è incompatibile con il delitto. La sentenza di appello avrebbe esaurito la valutazione sulla illiceità della condotta nella constatazione della anteriorità de pagamento: presupposto necessario, ma non sufficiente. In ogni caso, il reato sarebbe prescritto.
2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La valutazione, compiuta in modo complessivo e unitario per tutti gli imputati, non consentirebbe di apprezzare effettivamente e responsabilità di ciascun imputato e di considerare che l’odierno ricorrente aveva ricoperto la carica di amministratore della società fallita per un brevissimo periodo.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione anche NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo sei distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 216, comma 1, n. 2, cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla attribuzione, in capo a NOME COGNOME della qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, fondata su affermazioni apodittiche, quali l’esistenza di rapporti di parentela con altri imputati ovvero lo svolgimento di attività pratiche negli uffici della società. In realtà, nozione di scelta gestionale, che la Corte di cassazione richiama quale indice sintomatico dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, evocherebbe il fatto che i compiti svolti nell’interesse delda società devono ingenerare il convincimento negli estranei che il soggetto sia amministratore della
società. La Corte di appello di Bari avrebbe omesso tale accertamento, come di confrontarsi con le censure svolte nei motivi di appello.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto contestato al capo B). Avendo NOME COGNOME cessato la propria carica di amministratore unico della società in data 22 aprile 2013, egli non sarebbe stato tenuto all’approvazione del bilancio di esercizio 2013. Quanto, poi, alla omessa tenuta del libro giornale e del libro inventari relativi all’esercizio 2013, la Corte non avrebbe riscontrato che i libri contabili fossero stati sottratti o distrutti dagli imputati ovvero che questi fossero soggettivamente responsabili del loro mancato rinvenimento. In ogni caso, due mesi dopo l’avvicendamento delle cariche, sarebbe stato redatto un bilancio straordinario, allegato all’atto di cessione dell’azienda, che avrebbe consentito una pedissequa ricostruzione della attività di impresa nel 2013, con esclusione del dolo specifico richiesto dall’art. 216, tanto più che tutta la documentazione relativa all’attivit gestionale era stata redatta e aggiornata almeno fino ai primi di febbraio 2014, come riferito da NOME COGNOME che avrebbe fatto riferimento anche alla collaborazione del dott. COGNOME responsabile della registrazione delle fatture.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto contestato al capo C). La condotta contestata sarebbe inoffensiva, atteso che il bene oggetto di trasferimento era gravato da un’ipoteca giudiziale anteriore al fallimento e, pertanto, opponibile alla massa dei creditori, sicché il trasferimento sarebbe stato inidoneo a esporre a pericolo il bene tutelato.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto contestato al capo D), ribadendosi, a sostegno, le medesime argomentazioni svolte con il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME cui si rimanda, e censurandosi l’immotivata decisione della Corte di appello di non procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale al fine di affidare nuovo incarico peritale per valutare le nuove emergenze scaturite nel giudizio di appello all’esito dell’esame testimoniale del curatore fallimentare.
3.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 157 e 159 cod. pen. e carenza della motivazione in ordine alla mancata rilevazione della estinzione del reato per prescrizione, nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui al capo E), relativo al pagamento preferenziale in favore di COGNOME
La responsabilità di NOME sarebbe stata affermata a partire dal ruolo di amministratore di fatto della società, senza che nessun contributo causale sia stato
attribuito all’imputato. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto sussistente il reato a partire dalla constatazione della anteriorità del pagamento, senza considerare che quando esso sia eseguito nell’ambito di un’operazione di riorganizzazione aziendale volta ad assicurare la continuità delle attività imprenditoriali, l’anteriori non costituisce un indice univoco della natura preferenziale dello stesso.
Sotto diverso profilo, la sentenza avrebbe omesso di considerare che il reato contestato al capo E) si era estinto per prescrizione alla data del 10 ottobre 2022 e, dunque, prima dell’emissione della sentenza di appello il 21 novembre 2022.
3.6. Con il sesto motivo, i ricorsi lamentano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per i due ricorrenti. La valutazione compiuta in modo complessivo e unitario per tutti gli imputati non consentirebbe di apprezzarne effettivamente ruoli e responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tutti i ricorsi sono infondati e, pertanto, devono essere respinti.
Preliminarmente, e per una migliore comprensibilità sia degli argomenti di ricorso, sia delle ragioni della decisione, va osservato che i Giudici di merito hanno ritenuto accertato che le società coinvolte nelle operazioni descritte nell’imputazione erano tutte riferibili alla famiglia COGNOME: premesso che la COGNOME era la madre dei due COGNOME e che il socio principale della originaria società RAGIONE_SOCIALE era il marito della donna e padre degli altri due imputati, anche i soci principali delle società RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE erano parenti dei tre odierni ricorrenti.
Nella sentenza di primo grado sono ricostruiti i tentativi del curatore fallimentare di entrare in possesso degli ordinari libri e delle scritture contabili del società, che si arrestavano al 31 dicembre 2012, mentre la documentazione successiva non era mai stata consegnata, non essendo rilevante la consegna al curatore di un faldone di fatture emesse dalla fallita, che nulla ha a che vedere con i libri sociali e le altre scritture contabili obbligatorie. Quanto alla posizione NOME COGNOME, la sentenza di appello ha ritenuto che, essendo stato amministratore dall’aprile 2013 al 25 novembre 2013, egli sarebbe stato tenuto a presentare del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio, sicché egli non sarebbe esonerato dagli obblighi, avendo ricoperto il ruolo di amministratore proprio nel periodo in cui si erano concentrate le operazioni distrattive che avevano svuotato il patrimonio societario, contestate ai capi C), D) ed E). Quanto alla responsabilità penale del fratello NOME, amministratore unico dal 2008 al 22 aprile 2013, data
in cui aveva ceduto le funzioni al coimputato, la sentenza ha evidenziato che le operazioni che avevano portato al dissesto della RAGIONE_SOCIALE erano avvenute sotto la regia dei 2 fratelli; fermo restando che egli aveva continuato a occuparsi attivamente, anche dopo le dimissioni della qualifica formale, della conduzione della società, provvedendo quotidianamente agli inc:assi, ai versamenti in banca e ai contatti con il commercialista, cui consegnava i registri Iva, fornendo appunti per la redazione delle prime note e la registrazione delle fatture (si vedano, sul punto, le testimonianze di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME). Quanto all’elemento soggettivo, è stato evidenziato che NOME COGNOME era socio unico della società fallita, sicché aveva il potere di nominare gli amministratori – e di prendere le decisioni rilevanti in materia di modifica dell’oggetto sociale e dei diritti dei soci, dovendo quindi ritenersi che egli fosse consapevole di quanto avveniva nella società di famiglia, anche con riguardo alla tenuta dei libri e scritture contabili per l’anno 2013. In tale prospettiva, tenu conto delle operazioni descritte ai capi successivi, si è ritenuto che la mancata tenuta delle scritture contabili fosse preordinata a non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio societario e arrecare danno ai creditori.
Con riferimento al delitto contestato al capo C), le indagini della Guardia di finanza hanno fatto emergere che in data 11 giugno 2013 la RAGIONE_SOCIALE aveva venduto alla RAGIONE_SOCIALE un fondo rustico, con operazione ril:enuta in frode del creditori in quanto la RAGIONE_SOCIALE, creditrice della prima società, aveva ottenuto nei confronti di essa un decreto ingiuntivo in data 28 giugno 2013 per il valore di 320.906,00 euro sulla base del quale era stata costituita sul bene un’ipoteca il 10 luglio 2013. Inoltre, era stato indicato nell’atto che il pagamento del prezzo convenuto, di 495.000,00 euro, era avvenuto addirittura il 4 luglio 2006, quando la cd. Legge Bersani sulla tracciabilità dei pagamenti non operava ancora, a favore di una società, la RAGIONE_SOCIALE costituita due anni dopo e cioè il 5 febbraio 2008, non esistente al momento del pagamento «fuori atto»; pagamento mai attestato da alcun documento e contrario a ogni canone di buon governo societario, sì da far ritenere che l’operazione sia stata fittizia, distraendo risor dalla disponibilità della società al fine di sottrarre il bene all’aggressione di tu creditori, anche quelli a favore dei quali non risultava iscritta l’ipoteca. Quanto all sussistenza del dolo, tenuto conto della dichiarazione di fallimento intervenuta solo pochi mesi dopo, giova riportarsi alla motivazione della sentenza di primo grado. Il danno rilevante realizzato nei confronti della massa creditoria, tenuto conto delle somme di denaro in considerazione, e la commissione di più fatti di bancarotta, chiaramente interconnessi, ha indotto a ritenere configurabile anche l’aggravante contestato. Quanto a NOME COGNOME la sua responsabilità è stata affermata quale concorrente extranea nella bancarotta, avendo fornito un contributo causale
idoneo alla realizzazione della condotta distrattiva, quale acquirente fittizia del bene e consapevole autrice della diminuzione del patrimonio ai danni dei creditori.
Con riferimento al delitto contestato al capo D), gli accertamenti della Guardia di Finanza e la relazione del perito, prof. NOME COGNOME è emersa l irragionevolezza del prezzo di cessione di un ramo d’azienda da parte della RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE anch’essa costituita da appartenenti alla famiglia COGNOME, realizzata, il 31 maggio 2013 e dunque a pochi giorni di distanza dall’operazione di cui al capo C), dietro il pagamento di 80.000,00 euro, a fronte di un valore stimato dalla polizia giudiziaria in 3.594.200,47 euro, artatamente ridotto attraverso l’iscrizione, nel bilancio di cessione, di voci di passivo infondate. Pertanto, valorizzando tali indici di fraudolenza sopra esposti, l’operazione è stata ritenuta distrattiva, considerato che, con la cessione, la RAGIONE_SOCIALE era diventata una scatola vuota e tenuto conto dei particolari legami familiari tra gli autori dell’operazione, delle circostanz di tempo della cessione, con la conseguente responsabilità di NOME COGNOME che rivestiva la carica di amministratore nel periodo in cui si erano verificati i fatti e operazioni in questione e di NOME COGNOME quale amministratore di fatto, avendo egli nominato come amministratore di diritto, da socio unico, suo fratello proprio prima che iniziassero le operazioni distrattive e avendo continuato a occuparsi attivamente, anche dopo le dismissioni della qualifica formale, della conduzione della società. Ricorrono senza dubbi anche gli estremi delle aggravanti del danno patrimoniale di rilevante gravità e della cd continuazione fallimentare prevista dall’art. 219 co. 2 n. 1, legge Fall.
Con riferimento al capo E), le indagini hanno segnalato che, con atto notarile in data 4 luglio 2013, la RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE un ramo di azienda per il corrispettivo di 20.000,00 euro, da corrispondere con 8 cambiali all’ordine della RAGIONE_SOCIALE da 2.500 euro ciascuna, utilizzato per ridurre l’esposizione debitoria della RAGIONE_SOCIALE, per retribuzioni non pagate, nei confronti del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME zio per parte di madre dei due NOME. Cessione effettuata poco tempo dopo le due precedenti operazioni descritte ai capi C) e D), sotto la direzione amministrativa legale di NOME COGNOME il quale aveva provveduto a girare a NOME COGNOME le cambiali ricevute come pagamento per la cessione del ramo di azienda, in una fase in cui COGNOME era certamente consapevole dello stato di decozione della società amministrata, avendo egli personalmente concorso alla realizzazione del graduale depauperamento nei termini esaminati, con le condotte di cui ai capi C), D) ed E), a pochi giorni di distanza, l’una dall’altra. Un pagamento privilegiato che aveva violato il principio della par conditio creditorum, considerato che proprio alcuni dipendenti della società, rimasti privi di tutela, avevano dato avvio al procedimento. Quanto alla richiesta di integrazione della perizia, essa è stata
respinta in quanto il quadro probatorio è apparso chiaro, sì da rendere non necessario approfondire ulteriori successive evenienze, essendo importante lo stato e le azioni realizzate nelle date accertate.
Tanto premesso, muovendo dal ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, infondato è il primo motivo, con c:ui la difesa deduce la violazione dell’art. 216 legge fall. e il vizio di motivazione con riferimen all’attribuzione della qualità di amministratore di fatto a NOME COGNOME.
3.1. In argomento, va premesso che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 legge fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497 – 01; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268273 – 01; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 – 01). In particolare, ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, si è affermato che la relativa nozione di, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Nondimen significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società (Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282775 – 01); è il caso, ad esempio, dei rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero di qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534 – 01). E il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 2514 del 4/12/2023, dep. 2024, Commodaro, Rv. 285881 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2. Tanto osservato, si è già evidenziato che le due sentenze di merito hanno posto in luce numerosi elementi di fatto che hanno fondato il riconoscimento, niente affatto illogico, che NOME COGNOME abbia svolto un attivo ruolo gestorio, estrinsecatosi nell’assumere le scelte strategiche della fallita (come la nomina del fratello come amministratore, peraltro poco prima dell’inizio delle attività distrattive), nell’occuparsi degli incassi e dei versamenti in banca, di predisporre appunti manoscritti per la redazione delle prime note e la registrazione delle fatture, nonché nel tenere i rapporti con il commercialista, cui aveva consegnato i
registri Iva e dal cui studio aveva ritirato la documentazione contabile, nel pattuire, in misura pari al 10% del fatturato, i compensi con il nuovo amministratore, NOME COGNOME, significativamente nominato soltanto dopo l’avvenuto trasferimento di tutto il patrimonio. A fronte di tale quadro, che ha fatto puntuale applicazione dei criteri che, come visto, la giurisprudenza di legittimità ha enucleato per il riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto, le affermazioni difensive si connotano in termini di insuperabile genericità, avendo il ricorso affermato che il requisito soggettivo richiamato dall’art. 216 sia stato interpretato erroneamente e in termini puramente formali, senza però chiarire in quali termini ciò sia avvenuto; che la sentenza impugnata abbia omesso di approfondire le censure rivolte, sul punto, nei motivi di appello, senza peraltro chiarire quali queste fossero; che la motivazione abbia valorizzato i rapporti di parentela con altri imputati ovvero le attività pratiche di svolte all’interno degli uffici della so (v. pag. 2 del relativo ricorso), senza dunque confrontarsi con la puntuale ricostruzione degli indici fattuali compiuta dai Giudici di merito.
Ne consegue, dunque, l’inammissibilità del presente motivo.
Venendo, quindi, alle censure svolte, con riferimento al capo C), attraverso il secondo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e il terzo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME e NOME COGNOME deve rilevarsi la manifesta infondatezza delle considerazioni difensive.
4.1. Va premesso che i due motivi di impugnazione presentano una sostanziale sovrapponibilità, in specie in relazione al profilo della dedotta inoffensività dell condotta contestata, derivante dalla circostanza che il bene oggetto di trasferimento era gravato da un’ipoteca giudiziale anteriore al fallimento, sicché il trasferimento sarebbe stato inidoneo a esporre a pericolo il credito, tutelato da una garanzia reale; laddove, rispetto ai creditori non privilegiati, la presenza di tale garanzia avrebbe reso la loro posizione recessiva al momento del soddisfacimento della loro pretesa, di tal che la vendita non avrebbe recato un concreto pregiudizio alle loro ragioni, , c munque destinate a soccombere.
4.2. Le considerazioni difensive non possono essere in alcun modo condivise.
Va premesso, infatti, che come specificato dalle sentenze, l’ipoteca era stata costituita a garanzia del credito di 320.906,00 euro ovvero di una somma inferiore al valore economico del bene, come determinabile in rapporto al prezzo convenuto all’atto della stipula della vendita, in data 11 giugno 201:3, nella misura di 495.000,00 euro. Ne consegue, pertanto, che in ogni caso, anc:he assumendo che l’ipoteca fosse stata validamente costituita, la vendita simulata di un cespite di valore economico maggiore al credito garantito avrebbe comunque sottratto ai creditori non assistiti da alcun previlegio un cespite sul quale, almeno in parte, soddisfarsi, con evidente pregiudizio per le loro posizioni creditorie.
C122-
Quanto, poi, al diritto della RAGIONE_SOCIALE garantito dall’ipoteca, la cessione del bene alla RAGIONE_SOCIALE era avvenuta, come detto, in data 11 giugno 2013 e, dunque, prima della costituzione del diritto reale, il 10 luglio 2013; sicché l’assunto secondo cui il creditore ipotecario avrebbe, comunque, potuto soddisfare la propria pretesa si palesa priva di fondamento.
4.3. Quanto, poi, alla responsabilità di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, le sentenze hanno diffusamente spiegato, in maniera niente affatto illogica, come essa discendesse, quanto al primo, dal ruolo di amministratore di fatto dal medesimo svolto accanto al fratello, amministratore di diritto della fallita; e quanto alla seconda, dalla sua veste di amministratrice della RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei beni oggetto della vendita. Anche sotto tale profilo, dunque, la motivazione dei due provvedimenti di merito resiste pienamente alle censure difensive.
Venendo, poi, al delitto contestato al capo D), le censure svolte, rispettivamente, con il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME e con il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME, sono infondate.
5.1. Come già illustrato, le doglianze difensive sono dirette a dimostrare che il valore del ramo d’azienda ceduto alla RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stato artificiosamente eroso attraverso la indicazione di voci passive fittizie.
In realtà, quanto alla posta relativa al TFR, il perito avrebbe effettivamente accertato che la RAGIONE_SOCIALE aveva versato agli ex dipendenti della RAGIONE_SOCIALE il trattamento di fine rapporto, con pagamento, nel 2013, di circa 307 mila euro e, nel 2014, di altri 64 mila euro; quanto alla posta debitoria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, il debito troverebbe giustificazione nei preliminari di vendita; il debito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sarebbe rimasto privo di qualsivoglia verifica; la circostanza che alla società fallita siano state notifica cartelle esattoriali per un importo complessivo superiore a 7 milioni di euro comporterebbe che le passività del ramo di azienda ceduto fossero ampiamente superiori agli elementi attivi trasferiti. E si lamenta che la Corte di appello abbi immotivatamente deciso di non procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale al fine di affidare un nuovo incarico peritale per valutare le nuove emergenze scaturite all’esito dell’esame testimoniale del curatore fallimentare.
5.2. Come correttamente rilevato dal Procuratore generale in sede di requisitoria, con tali motivi le difese, in realtà, riproducono, sostanzialmente, le doglianze già espresse nell’atto di appello, alle quali la Corte territoriale ha fornit adeguata risposta.
5.2.1. Quanto alla posta relativa al TFR dovuto agli ex dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, la sentenza di appello ha evidenziato che il perito aveva accertato, dall’esame del libro unico del lavoro della RAGIONE_SOCIALE che per 40
dipendenti su 46 formalmente ceduti, il rapporto di lavoro era, ‘in realtà, proseguito alle dipendenze della società cedente, sicché è stato coerentemente osservato che non appariva giustificato il trasferimento alla cessionaria di un debito per TFR relativo a lavoratori dipendenti non effettivamente trasferiti.
Sul punto, il ricorso si limita ad affermare, da un lato, che il mancato perfezionamento del trasferimento dei dipendenti sarebbe totalmente ininfluente rispetto all’assunzione del debito; e, dall’altro lato, del tutto contraddittoriamente che il perito avrebbe accertato che la RAGIONE_SOCIALE aveva versato agli ex dipendenti essi il trattamento di fine rapporto, con pagamento, nel 2013, di circa 307 mila euro e, nel 2014, di altri 64 mila euro. Tuttavia, in disparte la circostanza che quest’ultima considerazione è meramente labiale, contraddicendo, senza fornire alcuna dimostrazione dell’assunto, l’opposta affermazione contenuta in sentenza, non può non osservarsi come il ricorso non si confronti con la logica osservazione secondo cui sarebbe del tutto irragionevole che un soggetto economico si facesse carico dell’onere di corrispondere il TFR ai dipendenti formalmente in carico a un’altra società.
5.2.2. Quanto alla posta debitoria iscritta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, l’affermazione difensiva secondo cui essa avrebbe trovato giustificazione giuridicoeconomica nella sottoscrizione dei preliminari di compravendita di due suoli edificabili nel comune di Palo del Colle, non si confronta con un duplice, decisivo, rilievo contenuto nella sentenza di secondo grado. La Corte territoriale, infatti, da un lato ha evidenziato che la voce relativa ai rapporti con la RAGIONE_SOCIALE era stata iscritta due volte tra i debiti nel bilancio di cessione; e, dall’altro lato, che essa aveva alcuna giustificazione, riguardando il saldo finale di una compravendita il cui contratto definitivo non era mai stato stipulato.
5.2.3. Quanto, ancora, al debito nei confronti della Cosed/7, la sentenza di primo grado, la cui motivazione è destinata a integrarsi con quella del grado successivo, aveva osservato che la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato con tale società un contratto preliminare di vendita con il quale la seconda si impegnava a cedere due unità immobiliari al prezzo complessivo di circa 318.305,00 euro, che al 31 maggio 2013 risultava quasi integralmente salsato, residuando soltanto un debito di 5.600,00 euro. Dunque, l’osservazione difensiva secondo cui il debito non sarebbe stato oggetto di verifica appare per un verso aspecifica, non confrontandosi con l’accertamento riportato in primo grado; e, per altro verso, generica, non riportando il passaggio dell’atto di appello che avrebbe contenuto una censura della prima decisione e rispetto al quale la sentenza di appella avrebbe omesso di pronunciarsi.
5.2.4. Quanto, infine, alla circostanza che alla società fallita fossero state notificate cartelle esattoriali per un importo complessivo superiore a 7 milioni di euro e che, pertanto, le passività del ramo di azienda ceduto fossero ampiamente
superiori agli elementi attivi trasferiti, anche in questo caso la doglianza è inammissibile, fondandosi su un presupposto fattuale estraneo alla traiettoria argomentativa sviluppata dalla sentenza impugnata nella sua motivazione.
Ancora, relativamente al delitto contestato al capo E), le censure svolte dai ricorsi, rispettivamente con il quarto (NOME COGNOME) e con il quinto motivo (NOME COGNOME e NOME COGNOME), sono manifestamente infondate.
6.1. Sotto un primo profilo, le doglianze riguardano la configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale che, in particolare la difesa di NOME COGNOME revoca in dubbio alla luce dell’orientamento secondo cui in tema di bancarotta preferenziale, l’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia dell’attività sociale o imprenditoriale e il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Sez. 5, n. 54465 del 5/06/2018, M., Rv. 274188 – 01). L’imputato, infatti, si sostiene in ricorso, avrebbe agito con «la ragionevole convinzione (…) di evitare il fallimento». Sul punto, tuttavia, è appena il di osservare che tale asserzione non viene suffragata da circostanze concrete che possano sostenerla, avendo le sentenze a più riprese evidenziato come l’imputato fosse perfettamente consapevole della situazione di sostanziale decozione della società, in ragione delle quali si era determinato alle già evidenziate operazioni distrattive. Quanto, poi, all’affermazione secondo cui il credito di NOME COGNOME sarebbe stato privilegiato, deve osservarsi che altri dipendenti della società, ai quali si dovette la presentazione dell’istanza di fallimenti, erano titolari di crediti privilegiati, si la prevalenza accordata a uno di essi integrava, pacificamente, la fattispecie contestata, come ritenuto dalle due sentenze di merito. Pertanto, i rilievi difensivi in ordine all’affermata responsabilità degli imputati devono ritenersi inammissibili. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6.2. Sotto altro profilo, le doglianze investono la violazione degli artt. 129 cod. proc. pen., 157 e 159 cod. pen., atteso che la contestata bancarotta preferenziale si sarebbe prescritta.
Sul punto va, infatti, osservato che il relativo termine di sei anni, aumentati di 1/4 per effetto dei vari eventi interruttivi ex art. 161, secondo comma, cod. pen., non risultava ancora spirato al momento della pronuncia, in data 21 novembre 2022, della sentenza di appello, tenuto conto della sospensione della prescrizione per complessivi 384 giorni (e in particolare della sospensione dichiarata dalla Corte territoriale dal 18 ottobre 2021 al 7 febbraio 2022 a seguito del rinvio disposto per legittimo impedimento del nuovo difensore di NOME COGNOME e che, per effetto di tali sospensioni, il termine di prescrizione era stato spostato al 20 ottobre 2023.
14 GLYPH
J1/J`
In proposito, la circostanza che il suddetto termine sia successivamente decorso non assume alcuna rilevanza, tenuto conto, da un lato, del principio secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compreso il caso della prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D., Rv. 217266 – 01) e, dall’altro lato, che in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con l conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966 – 01). Ne consegue che la declaratoria di inammissibilità dei motivi di ricorso relativi al capo E), impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione maturata dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado.
Quanto, infine, al delitto di cui al capo B), le doglianze articolate rispettivamente, con il primo e con il secondo motivo dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e NOME COGNOME, sono infondate.
7.1. Muovendo dall’analisi del motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME la difesa deduce il vizio di motivazione sostenendo che l’imputato, amministratore di diritto dal mese di aprile a quello di novembre del 2013, non potesse ritenersi formalmente onerato della presentazione del bilancio relativo al 2013, da redigersi entro 120 dalla chiusura dell’esercizio e, dunque, entro il mese di aprile del 2014.
Tuttavia, in argomento, va osservato che in tema di bancarotta fraudolenta documentale, è onere dell’amministratore cessato, nei confronti del quale sia provata la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili relative al periodo in cui rivestiva l’incarico, dimostrare l’avvenuta consegna delle scritture contabili al nuovo amministratore subentrante (Sez. 5, n. 55740 del 25/09/2017, COGNOME, Rv. 271839 – 01). In proposito, proprio le dichiarazioni di NOME COGNOME, richiamate dalla difesa, secondo cui sino ai primi di febbraio 2014, la prima nota, le fatture e la contabilità interna della RAGIONE_SOCIALE era stata redatta e aggiornata costituiscono la conferma della responsabilità dell’imputato. Secondo le annotazioni della teste, la documentazione che costei aveva predisposto erano
state consegnate ai COGNOME per la successiva consegna al commercialista COGNOME. Pertanto, proprio accedendo alla tesi difensive, è stato dimostrato che la documentazione contabile, nella disponibilità di COGNOME, non erano poi state trasmesse al commercialista. Tale spiegazione, inoltre, è stata consolidata, sul piano logico, dalla stretta connessione tra le operazioni distrattive e l’esigenza di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio societario al fine di occultarle.
7.2. Quanto, poi, al fatto che sia stato comunque possibile, pur in assenza delle scritture obbligatorie, ricostruire la situazione contabile e patrimoniale, v evidenziato che, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il reato di bancarotta fraudolenta documentale sussiste anche quando la documentazione possa essere ricostruita aliunde. Ci ò in quanto la necessità di acquisire i dati documentali presso terzi costituisce la riprova che i libri e le alt scritture contabili erano stati tenuti con modalità tali da rendere quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari della società (Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, COGNOME, Rv. 279346 – 01; Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262588 – 01).
Con il quinto motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e con il sesto motivo dei ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME le difese prospettano vizi di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e alla mancata rideterminazione del trattamento sanzionatorio stabilito dal primo giudice.
Le doglianze sono, però, generiche e, come tali, inammissibili.
8.1. Invero, la Corte territoriale ha richiamato, quanto alle scelte dosinnetrica, la gravità dei fatti, il valore dei beni sottratti alla curatela e il gr responsabilità conseguente alle posizioni rivestite da ciascuno degli imputati. Va, del resto, ricordato che in sede di concreta commisurazione della pena entro la cornice edittale prevista dalla norma incriminatrice, il giudice esercita, alla stregua di una valutazione globale degli indici di commisurazione di cui all’art. 133 cod. pen., un ampio potere discrezionale che si sottrae, in quanto riconducibile ad apprezzamento di merito, a qualunque sindacato da parte del giudice di legittimità. Quanto agli standard motivazionali che il giudice di merito è tenuto a osservare nell’ambito di tale apprezzamento, questa Corte ha avuto modo di porre in luce che l’applicazione di una pena base in misura pari o superiore alla media edittale richiede una specifica indicazione dei criteri soggettivi e oggettivi elencati dall’ar 133 cod. pen., valutati e apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/0112013, Monterosso, Rv. 255153 – 01); la quale non è invece richiesta tutte le volte in cui la scelta del
giudice risulti contenuta, come avvenuto nel caso in esame, in una fascia «medio bassa» rispetto al regime edittale della pena.
8.2. Quanto, poi, alle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha sottolineato l’assenza di comportamenti valutabili positivamente, non avendo gli
odierni ricorsi nemmeno prospettato quali specifici elementi avrebbero dovuto essere valorizzati in sede di merito, donde l’inammissibilità della relativa censura.
9. Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 12 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
COGNOME Il President