Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15148 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15148 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a LATINA il 18/11/1969
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore NOME
COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformatolakìtaey«r’Off sentenza del Tribunale di Latina – che ha dichiarato NOME COGNOME quale amministratore di fatto e socio di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, dichiarata fallita con sentenza del 22 aprile 2014, colpevole, in concorso con gli amministratori unici avvicendatisi alla guida della società e con il liquidatore ( separatamente giudicati) – di bancarotta fraudolenta per distrazione della somma di C 79.289,35, percepita dal medesimo a titolo di compenso per mansioni di collaborazione, delitto contestato al capo B), rideterminando il trattamento sanzionatorio, previa esclusione dell’aggravante dell’art. 219 I.fall.. Per il reato contestato al capo A), già in primo grado, era intervenuto proscioglimento per prescrizione.
2. Il ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME è affidato a tre motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo, si denunciano vizi della motivazione con riguardo al ruolo di amministratore di fatto attribuito al ricorrente con argomenti illogici e contraddittori. La Corte territoriale ha richiamato solo parzialmente, e genericamente, le dichiarazioni della coimputata NOME COGNOME che ha negato ingerenze gestorie del ricorrente, così incorrendo in un palese travisamento del fatto. In realtà, il COGNOME ha ricoperto un ruolo tecnico all’interno della società, come dedotto con l’atto di appello, con richiami alla prova dichiarativa, anche allegata al ricorso, del tutto ignorata dalla Corte di appello, la cui valutazione si pone in contrasto con consolidati principi di diritto in tema di amministratore di fatto, per la cui configurazione si richiedono specifici elementi sintomatici del ruolo gestorio. Si contesta che sia ravvisabile, nel caso di specie, una situazione di c.d. doppia conforme, che qui rileverebbe, inammissibilmente, in misura negativa, nei termini di motivazione passiva rispetto a quella appellata.
2.2. Analoghi motivi sono dedotti con il secondo motivo, quanto alla qualificazione giuridica del fatto come bancarotta fraudolenta per distrazione anziché bancarotta preferenziale. Si deduce che, nei due verbali di assemblea dei soci del 27.02.2012 e del 10.1.2013, le somme corrisposte al ricorrente fossero state previamente deliberate nel loro ammontare e che si trattava di emolumenti “contrattualizzati”, e che tali somme si riferivano a compensi per attività effettivamente svolta, quale direttore tecnico, o, comunque, per le mansioni di amministratore di fatto.
2.3. Con il terzo motivo, ci si duole della mancanza di motivazione quanto alla determinazione della durata della pena accessoria, indicata in anni due, corrispondente a quella principale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1.11 primo motivo risulta infondato, al limite della inammissibilità, proponendo doglianze già dedotte in appello e riproposte dinanzi al Giudice di legittimità, al quale si chiede di procedere a una, non consentita, rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all’ adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Ma – come è noto – nel giudizio di cassazione sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
1.1. Ebbene, il ricorrente insiste sul proprio ruolo di mero direttore tecnico della società e, dunque, sull’avere svolto attività tecnica, mirando a creare confusione tra tali mansioni effettivamente svolte nell’ambito della società (peraltro, con inquadramento avvenuto quando la società mera oramai decotta), e il ruolo gestorio parimenti acclarato nel giudizio di merito, nel tentativo di sconfessare la tesi che egli si sia occupato, di fatto, della gestione della società fallita. In specie, la difesa si appiglia alle dichiarazioni dell’amministratore di diritto, e poi liquidatore, NOME COGNOME insistendo nella interpretazione secondo cui la stessa avrebbe negato ingerenze altrui nella propria attività, ma il richiamo è, arbitrariamente, parziale, dal momento che quell’affermazione risulta immediatamente sconfessata quando la stessa COGNOME – che peraltro il curatore aveva riscontrato essere scarsamente a conoscenza della situazione finanziaria e contabile della società – ha dichiarato che le decisioni inerenti alla società venivano discusse e prese insieme al Vetica.
1.2. Del tutto ragionevolmente, i giudici di merito hanno, quindi, valorizzato tali dichiarazioni come riscontro alle evidenze delle scritture contabili, dalle quali poteva desumersi che molti documenti recavano la firma del COGNOME quale amministratore, e, in relazione ai pagamenti effettuati in suo favore, facevano riferimento a rapporti di collaborazione e a “debiti verso amministratore”, traendone elementi sintomatici del ruolo gestorio da parte del ricorrente, inquadrato sì formalmente quale tecnico della società, ma in un momento di crisi della società, lasciata in tal modo in perdita per due anni.
1.3. Dovendo escludersi che la amministratrice formale si occupasse effettivamente della gestione sociale, alla luce di quanto riferito dal curatore, è parso logico, ai giudici di merito, trarne la conseguenza, considerando i dati di prova sopra menzionati, che l’amministrazione di fatto fosse assicurata dall’altro socio di maggioranza, appunto il Vetica, ricorrendo all’escamotage di intestargli una funzione meramente tecnica, con la finalità di sostituire l’amministratore uscente con una figura esterna che fungeva da ‘testa di legno’.
1.4. Del resto, la Corte di appello ha anche vagliato attentamente le dichiarazioni dei testi (tra cui la moglie del ricorrente), che – a fronte degli incontestabili dati documentali di cui si è detto, specificamente menzionati nel provvedimento impugnato – ha ritenuto di interpretarli come provenienti da soggetti a conoscenza solo di alcuni aspetti della società, nella quale effettivamente il ricorrente svolgeva, comunque – anche – un ruolo tecnico.
1.5. Ritiene il Collegio che la valorizzazione degli elementi a sostegno del ruolo gestorio del ricorrente risulta congruente, sul piano logico, con le emergenze probatorie, ed evidenzia un modus procedendi nello scrutinio degli elementi di prova, da parte dei giudici di merito, coerente con il consolidato canone ermeneutico secondo cui l’amministratore di fatto risponde a titolo autonomo con riferimento alle concrete funzioni esercitate e quale diretto destinatario della norma incriminatrice, sicchè egli è gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili ( Sez. 5 n. 39593 del 20/05/2011, Rv. 250844), con la conseguenza che, sul piano processuale, è necessaria e sufficiente, ai fini della bancarotta patrimoniale, la prova della gestione della società da parte dell’amministratore di fatto ( Sez. 5 n. 14103 del 19/10/1999, Rv. 215878), sulla base di indici sintomatici di gestione o cogestione della società che la giurisprudenza di legittimità ha enucleato nel conferimento di deleghe in settori fondamentali della attività di impresa, nella diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, nella costante assenza dell’amministratore di diritto, nella mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti. ( Sez. 5 n. 19145 del 13/04/2006, Rv. 234428; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Rv. 268273).
1.6. A tali coordinate la Corte di appello si è puntualmente attenuta, mentre il ricorrente ancora una volta contesta l’interpretazione del rinvenimento di documentazione a firma del COGNOME nella veste di amministratore e dell’annotazione GLYPH contabile GLYPH dei GLYPH suoi GLYPH compensi GLYPH quale GLYPH “compensi all’amministratore”, elementi che si assumono, del tutto illogicamente, generici. La sentenza impugnata non presta, quindi, il fianco alle censure di illogicità,
avendo fatto congrua applicazione dei principi probatori, astrattamente stabiliti, al caso concreto.
Non ha pregio neppure il secondo motivo, mirante a una diversa qualificazione giuridica del fatto di bancarotta.
2.1. Anzitutto va osservato come, dalla lettura del provvedimento impugnato, non emerga che, nei motivi di appello, fosse stata dedotta la giustificazione, in fatto, dei prelievi quali compensi per l’attività di amministratore di fatto, bensì, unicamente, per l’attività prestata quale tecnico della società. Ciò che rende il motivo in parte qua inedito e, dunque, per ciò solo, inammissibile.
2.2. Ciononostante, la qualificazione giuridica quale condotta distrattiva di tali prelievi ritenuta dalla Corte di appello risulta corretta, anche rispetto alla diversa tesi difensiva proposta in via alternativa con i motivi di ricorso. 2.3. Dunque, la Corte di appello ha evidenziato come, con le delibere menzionate dal ricorrente, l’assemblea (composta dal medesimo quale socio al 51%) avesse deliberato l’erogazione di compensi per asserite collaborazioni e non a titolo di compenso per la carica ricoperta, per le quali già il giudice di primo grado aveva constatato l’assenza di documentazione che potesse dimostrarne l’effettivo svolgimento. Più in particolare, il Tribunale ha osservato come, operando, alla luce della carica gestoria di fatto rivestita dal COGNOME, “una valutazione circa la reale funzione delle documentate elargizioni in danaro, che vada oltre il dato apparente e formale…la ‘vestizione’ del compenso a titolo di retribuzione (peraltro nemmeno correttamente imputata come tale) appare un’operazione volta a celare un’indebita percezione di denaro della società che in tal modo è stato sottratto, per finalità personali, dalla massa dei creditori” ( pg. 10), facendo corretta applicazione del principio di diritto a tenore del quale deve ritenersi integrato il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione dalla condotta dell’amministratore “che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come compensi per la carica ricoperta, qualora tali compensi, solo genericamente indicati nello statuto e non giustificati da dati ed elementi di confronto che ne consentano una oggettiva valutazione, siano stati determinati nel loro ammontare con una delibera dell’assemblea dei soci adottata “pro forma”, al solo fine di giustificare l’Indebito prelievo” (Sez. 5, n. 3191 del 16/11/2020, dep. 2021,Rv. 280415). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.4. Nello stesso senso, la Corte di d’appello ha contestato l’effettività del debito a monte del pagamento, in quanto non riscontrato da adeguata documentazione e disposto in un periodo in cui era già sussistente lo stato di dissesto della società ( risalente, secondo il curatore, al 2011), evocando correttamente l’orientamento giurisprudenziale a mente del quale “In tema di
bancarotta, qualora il socio creditore si identifichi con lo stesso amministratore della società, la condotta di quest’ultimo, volta alla restituzione, in periodo di
dissesto, di finanziamenti in precedenza concessi, integra il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale”
(Sez.
5, n.
34505
del
06/06/2014,Rv. 264277;Sez. 5, n.
41143
del
20/05/201
4,Rv. 261250), dal momento che
“nel contesto di riferimento la restituzione assume un significato diverso e più grave rispetto alla mera volontà di
privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto a tutti gli altri.” (Sez.
5
–
n.
50495
del
14/06/2018, Rv. 274602).
2.5. Non si perviene a conclusione differente ove si acceda alla tesi difensiva del compenso giustificato dallo svolgimento di una prestazione
lavorativa in favore della società, poiché, anche in tale caso, rimane la necess di dimostrare l’effettività della prestazione, e venendo in rilievo il principi
“integra il delitto di bancarotta diritto, ripetutamente affermato, secondo cui
fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta dell’amministratore di una società che si appropri di
somme della società a titolo di pagamento per le prestazioni lavorative svolte in favore di quest’ultima, non essendo scindibile la sua qualità di creditore da quella di amministratore. (Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017,Rv. 271464 ; conf. Sez. F, n. 27132 del 13/08/2020, Rv. 279633).
2.6. In conclusione, la Corte di appello si è confrontata con le deduzioni difensive, replicando in modo logico e non contraddittorio, ciò che rende la decisione immune dalle censure di illogicità denunciate.
3.11 terzo motivo – che attinge il trattamento sanzionatorio – è infondato, dal momento che la durata della pena accessoria è stata ampiamente contenuta al di sotto della media edittale e, dunque, in tal caso non è necessaria u specifica motivazione, tenuto anche conto che essa è di durata sovrapponibile a quella della pena principale (Sez. 5 n. 11329 del 09/12/2019 Cc. (dep. 2020) Rv. 278788; conf. Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, dep. 2021, Rv. 280668).
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 7 marzo 2025 I)Consigliere e COGNOME nsore