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Amministratore di fatto: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta a carico dell’amministratore di fatto di una società. La sentenza chiarisce che i compensi prelevati senza un’adeguata giustificazione e in un periodo di dissesto aziendale costituiscono distrazione di beni e non un legittimo pagamento. Viene ribadito che il ruolo di amministratore di fatto si desume da elementi concreti di gestione, a prescindere dalla carica formale.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Amministratore di Fatto e Bancarotta: la Cassazione traccia i confini della responsabilità

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto penale societario, poiché le responsabilità gestorie non si fermano alle nomine formali. Chi gestisce un’impresa, anche senza un incarico ufficiale, è pienamente responsabile delle proprie azioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, confermando una condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione a carico di un socio di maggioranza che, pur non essendo l’amministratore legale, agiva come tale, prelevando somme a titolo di ‘compenso’ da una società già in crisi.

Il Caso: Una condanna per bancarotta

Il caso riguarda un socio di maggioranza e amministratore di fatto di una S.r.l., successivamente fallita. Egli era stato condannato in primo grado e in appello per bancarotta fraudolenta per distrazione, per aver percepito circa 80.000 euro a titolo di compenso per presunte mansioni di collaborazione. L’accusa sosteneva che questi prelievi, avvenuti quando la società era già in grave difficoltà finanziaria, non corrispondessero a prestazioni reali ma costituissero un modo per sottrarre risorse ai creditori.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata attribuzione del ruolo di amministratore di fatto: La difesa sosteneva che l’imputato avesse ricoperto un ruolo puramente tecnico e non gestorio, e che le corti di merito avessero travisato le prove, in particolare le dichiarazioni dell’amministratrice di diritto (una coimputata).
2. Errata qualificazione del reato: Si argomentava che i pagamenti fossero compensi legittimi per l’attività svolta, deliberati dall’assemblea dei soci. Pertanto, il fatto avrebbe dovuto essere qualificato, al più, come bancarotta preferenziale (pagamento di un debito legittimo a preferenza di altri) e non come bancarotta per distrazione (sottrazione di beni).
3. Mancanza di motivazione sulla pena accessoria: Si contestava la durata della pena accessoria, ritenuta non adeguatamente motivata.

L’analisi della Corte: la figura dell’amministratore di fatto

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso. Sul primo punto, ha chiarito che il ruolo di amministratore di fatto era stato correttamente accertato sulla base di prove concrete. I giudici hanno sottolineato che l’amministratrice di diritto, sebbene formalmente in carica, era una mera ‘testa di legno’. Le prove documentali, come scritture contabili che riportavano ‘debiti verso amministratore’ e documenti firmati dall’imputato in tale veste, insieme alla testimonianza della stessa amministratrice formale (che ha ammesso di prendere le decisioni ‘insieme’ a lui), hanno dimostrato in modo inequivocabile il suo ruolo gestorio.

Bancarotta per Distrazione: quando il compenso diventa reato?

La Corte ha confermato anche la qualificazione del reato come bancarotta fraudolenta per distrazione. I prelievi non erano giustificati da prestazioni reali e documentate. Le delibere dell’assemblea che li autorizzavano sono state considerate ‘pro forma’, adottate al solo scopo di creare una parvenza di legittimità per un indebito prelievo di denaro. Essendo l’imputato socio al 51%, tali delibere erano, di fatto, auto-approvate. La Corte ha applicato il principio secondo cui prelevare somme dalle casse sociali a titolo di compenso, quando questo non è giustificato da dati oggettivi e avviene in un contesto di dissesto, integra il reato di distrazione, poiché lo scopo è sottrarre patrimonio alla massa dei creditori per finalità personali.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda su principi consolidati. L’amministratore di fatto risponde penalmente al pari dell’amministratore di diritto perché è destinatario degli stessi doveri di corretta gestione. La prova del suo ruolo può essere fornita tramite ‘indici sintomatici’, come la partecipazione diretta alla gestione, la firma di atti rilevanti e l’assenza operativa dell’amministratore formale. Inoltre, la distinzione tra distrazione e bancarotta preferenziale è netta: se il debito che viene pagato è fittizio o creato ad arte per drenare risorse, si tratta di distrazione. Infine, per quanto riguarda la pena accessoria, la Corte ha ritenuto che non fosse necessaria una motivazione specifica, essendo stata fissata in una misura contenuta e proporzionata alla pena principale.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un concetto cruciale: nel diritto penale d’impresa, la sostanza prevale sulla forma. Non è la carica formale a determinare la responsabilità, ma l’effettivo esercizio del potere gestorio. Chiunque, pur celandosi dietro una ‘testa di legno’, diriga una società, ne assume tutte le responsabilità, inclusa quella per bancarotta fraudolenta. Per gli imprenditori e i professionisti, la lezione è chiara: ogni operazione finanziaria, specialmente se a favore degli amministratori o dei soci in periodi di crisi, deve essere trasparente, documentata e basata su prestazioni reali e congrue, per non incorrere nel grave reato di distrazione di attivi ai danni dei creditori.

Quando una persona può essere considerata ‘amministratore di fatto’ di una società?
Una persona è considerata amministratore di fatto quando, pur senza una nomina formale, esercita concretamente e continuativamente i poteri di gestione. La prova può derivare da indizi come la firma di documenti societari, la partecipazione attiva alle decisioni strategiche e l’essere il punto di riferimento operativo, specialmente se l’amministratore di diritto è una mera figura di facciata (‘testa di legno’).

Percepire un compenso dalla propria società in difficoltà finanziaria costituisce sempre reato?
No, non sempre. Tuttavia, diventa bancarotta fraudolenta per distrazione se il compenso è un pretesto per sottrarre denaro alla società. Secondo la sentenza, ciò si verifica quando i pagamenti non sono supportati da adeguata documentazione che attesti un’effettiva prestazione lavorativa, sono approvati tramite delibere ‘pro forma’ e avvengono in un periodo di già conclamato dissesto finanziario dell’azienda.

Qual è la differenza tra bancarotta per distrazione e bancarotta preferenziale in un caso come questo?
La bancarotta per distrazione si configura quando un bene viene sottratto dal patrimonio sociale senza una causa legittima, come nel caso di pagamenti per compensi fittizi. La bancarotta preferenziale, invece, si ha quando l’amministratore paga un debito reale e certo a un creditore a preferenza di altri, violando la par condicio creditorum. In questo caso, la Corte ha ritenuto che il debito per il compenso fosse inesistente o pretestuoso, qualificando quindi il fatto come distrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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