Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29351 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29351 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVELLINO il 31/12/1984
avverso la sentenza del 13/05/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 16.06.2020, che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per i reati di bancarotta fraudolenta documentale (sottrazione e/o occultamento di libri e scritture contabili) e patrimoniale (distrazione di ramo di azienda, mediante cessione alla RAGIONE_SOCIALE, per l’importo di euro 163.333,33 o , comunque, della somma corrispondente al valore di mercato della cessione), quale legale rappresentante e amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 5.12.2012, dal 21/07/2008 al 10/01/2012 e dal 10/01/2012 alla data del
fallimento, in concorso con il padre, NOME COGNOME liquidatore e amministratore di fatto della società.
Contro l’anzidetta sentenza, l ‘ imputato propone ricorso, affidato ad un unico motivo, che lamenta inosservanza ed erronea applicazione di legge e vizio di mancanza di motivazione in relazione all’art.223 L. Fall. , quanto al reato di cui al capo a), nonché mancata assunzione di prova decisiva. Si deduce l’erronea attribuzione al ricorrente del ruolo di amministratore di fatto della società fallita, in liquidazione dal 10/01/2012, l’ assenza di motivazione, circa il concreto esercizio, da parte del COGNOME, di poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di amministratore, asserendo la insufficienza, al riguardo, del richiamo delle dichiarazioni del custode COGNOME Si deduce che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della documentazione attestante la nomina del liquidatore (con atto pubblico), che dava conto, unitamente al trasferimento di poteri, dell ‘ avvenuta consegna delle scritture contabili a quest’ultimo , che accettandole assumeva l’ onere di custodia in via esclusiva, circostanza desumibile anche dagli atti redatti dalla Guardia di Finanza, Compagnia di Marcianise.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va disatteso.
Il motivo è inammissibile in quanto reiterativo di censure già esaminate e solo parzialmente si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che, con argomentazione immune da censure e vizi di illogicità manifesta, richiama la sentenza del Tribunale per la coerenza della ricostruzione dei fatti con le risultanze probatorie, non scalfita dalle censure mosse della difesa, costituenti mera riproposizione di argomenti dedotti dinanzi al Tribunale e confutati dai giudici di merito.
Deve rammentarsi il principio secondo il quale quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente
costituendo un unico complessivo corpo decisionale, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 -01; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735). Il principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni è ammissibile, nel caso in esame, per avere la Corte d’appello ripercorso, sulla base degli atti d’appello, l’iter motivazionale della sentenza di primo grado per verificarne la coerenza e la tenuta con il compendio probatorio (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 30838 del 10/03/2013, Rv 257056) ed esaminato le censure svolte. I giudici di merito hanno ricostruito nel dettaglio tutte le vicende societarie sulla base delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari e ne hanno dato atto con motivazione precisa, congrua e priva di illogicità, tantomeno manifesta, peraltro in doppia conforme.
2.1 Quanto alla bancarotta fraudolenta documentale, contestata al capo a), in relazione al periodo successivo alla nomina del liquidatore, nella persona del padre del ricorrente, i giudici di merito hanno valorizzato l’effettiva situazione amministrativa della società fallita, al di là delle cariche formalmente rivestite, rispettivamente, dal ricorrente e dal padre, NOME COGNOME.
La Corte d’appello ha fondato il giudizio di penale responsabilità del ricorrente, quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, valorizzando il ruolo di amministratore unico della società dal medesimo ricoperto, dalla data di costituzione sino al 10/01/2012, nonché circostanze ed elementi da cui desumere che, al di là del formale passaggio di consegne in favore del liquidatore, l’imputato continuava a gestire di fatto la società. Al riguardo, si indica la condotta tenuta del COGNOME successivamente all’insediamento del custode COGNOME il quale: si è interfacciato, per la ricostruzione della vicenda societaria, indistintamente, con l’imputato e con il padre ; ha rilevato la frequente e costante presenza del ricorrente e del padre nel capannone, ove erano conservati i beni residui della società, le cui chiavi erano nella disponibilità di entrambi i COGNOME, padre e figlio; ha notato, in una circostanza, l’imputato ed il padre intenti ad asportare materialmente cinque computer dell’azienda, nei quali erano contenute tutte le scritture contabili della società, e denunciato gli stessi, condotta riscontrata da successivi accertamenti del custode sulla proprietà di tali computer da parte della società. Quanto alla sottrazione, nello stesso periodo temporale, dei beni oggetto del contratto di cessione del ramo di azienda, dei beni riferibili alla RAGIONE_SOCIALE e de ll’ultimo computer, i giudici di merito ne hanno correttamente attribuito la responsabilità ai medesimi soggetti, in quanto gli unici a detenere le chiavi dell’ufficio amministrativo della società.
L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur non essendo stato investito formalmente della carica di amministratore della società, tuttavia, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici relativi alla qualifica o alle funzioni dell’ammi nistratore di diritto. D’altronde, in termini logici, non è in alcun modo configurabile un amministratore di fatto estraneo alla gestione imprenditoriale: proprio in quanto titolare (di fatto) delle funzioni gestorie, concorre (in termini di causalit à̀ commissiva o omissiva) alla realizzazione degli atti di amministrazione, dei quali si assume la piena responsabilit à̀ .
La conseguenza principale del riconoscimento della figura dell’amministratore di fatto consiste nel suo assoggettamento al rispetto dei doveri previsti dall’ordinamento con specifico riferimento all’amministratore di diritto, la cui violazione comporta la configurabilità delle fattispecie di responsabilità configurabili, con i conseguenti obblighi risarcitori nei confronti della società, dei soci, dei creditori sociali e del singolo socio o terzo, ai sensi degli articoli, rispettivamente, 2392, 2393-bis, 2394 e 2395 c.c.
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., dunque non postula necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiede l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534 -01; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497; Sez. 5, Sentenza n. 25021 del 2023; Sez. 5, del 14 aprile 2003, n. 22413, Rv. 224948; Sez. 1, del 12 maggio 2006, n. 18464, Rv. 234254; Sez. 5, n. 25075 del 2023; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101; Sez. 5, n. 35346 del 20106/2013 Rv. 256534; Sez. 5, n. 25030 del 2023; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101; Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540; Sez. 5, n. 35346 del 20/6/2013, COGNOME, Rv. 256534; Sez. 3, n.22108 del 19/12/2014, COGNOME e altri, Rv. 264009; Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Rv. 283850).
Ai fini dell’individuazione della figura dell’amministratore di fatto della società non è necessario che l’attività attuata dal soggetto che si è ingerito nella gestione sociale in assenza di qualsivoglia investitura sia caratterizzata da completezza e, cioè, che sia svolta in tutti gli ambiti tipici della funzione gestoria e attraverso atti
conformativi dell’operato della società aventi valenza esterna. In definitiva, l’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: a) mancanza di una formale investitura; b) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; c) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.
Nella ricorrenza delle suindicate condizioni, l’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 cod. civ., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011, Rv. 250844; Sez. 3, n. 33385 del 5/7/2012, COGNOME, Rv. 253269), anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen.
Spetta al giudice del merito valutare e perimetrare il novero e la significativit à̀ delle attivit à̀ concretamente svolte, potenzialmente idonee a delineare il ruolo dell’amministratore di fatto, anche nei limiti delle responsabilit à̀ gestionali espletate al vertice di uno specifico comparto dell’operativit à̀ dell’impresa (Sez. 5, n. 19145 del 13/4/2006, COGNOME, Rv. 234428).
Nella specie, la Corte di merito, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, ha desunto dalla condotta, anche ostruzionistica nei confronti del custode, in concreto posta in essere dal ricorrente, nella gestione di fatto della società fallita, il suo coinvolgimento materiale e morale nella sottrazione e/o occultamento delle scritture contabili e dei libri sociali, mai rinvenuti, e/o comunque di una tenuta tale da ostacolare la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari.
2.2 Riguardo al rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria, il motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato oltre che generico e reiterativo.
Il motivo, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato, e difetta della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
La Corte d’appello, con motivazione corretta ed immune da vizi, nel rito, ha rilevato che la doglianza è stata formulata in termini generici ed acritici, e che l’imputato non ha fornito la prova della sopravvenienza del mezzo istruttorio, né della concreta indispensabilità della prova ai fini dell’accertamento de quo ; nel
merito, ha, comunque, ritenuto la documentazione irrilevante ai fini della decisione oltre che scollegata dal thema probandum.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende. Così deciso in Roma il 11/07/2025.