Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 30779 Anno 2025
Penale Sent. Sez. F Num. 30779 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/08/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Napoli il 20-07-1965, avverso la sentenza del 19-06-2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputata, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 gennaio 2018, il Tribunale di Napoli condannava NOME COGNOME con i doppi benefici di legge, alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuta colpevole di quattro distinti episodi (capi A, B, C e D), riferiti alle annualità 2007, 2008, 2009 e 201W Otl rea – tó di cui all’art. 4 del d. Igs. n. 74 del 2000, a lei ascritto quale amministratrice della società RAGIONE_SOCIALE fino al 10 aprile 2011. Il giudice monocratico disponeva inoltre, ex art. 12 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, la confisca dei beni nella disponibilità dell’imputata, fino alla concorrenza della somma di euro 5.076.551.
Con sentenza del 19 giugno 2024, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava estinti per prescrizione i reati di cui ai capi A, B e C della rubrica e, in ordine al residuo episodio di cui al capo D (annualità 2010), riduceva la pena ad anni 1 di reclusione; ai sensi dell’art. 12 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, la Corte territoriale disponeva inoltre la confisca dei beni in sequestro, nei limiti della somma di euro 912.321, ordinando la restituzione all’avente diritto dell’importo eccedente tale somma.
Avverso la pronuncia della Corte di appello partenopea, la COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa contesta l’omessa risposta della Corte di appello alla doglianza difensiva con cui era stata censurata l’omessa motivazione rispetto alle critiche rivolte ai metodi induttivi applicati dalla Guardia di Finanza e recepiti dal giudice di primo grado per il calcolo dell’imposta evasa e per la conseguente verifica del superamento della soglia di punibilità del reato contestato, non essendo stati considerati, in particolare, i rilievi concernenti la mancata detrazione degli addebiti rilevati sui conti correnti societari e personali dell’imputata, da qualificare come costi deducibili, come pure sarebbe rimasta ignorata da parte dei giudici di appello la dedotta e manifesta erroneità dei calcoli nell’accertamento del reddito imponibile.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il difetto di motivazione delle sentenze di merito in ordine al ruolo di amministratridi fatto della ricorrente, cessata dalla carica di legale rappresentante della Iki Pearls nell’aprile del 2011, per cui i giudici di merito avrebbero dovuto spiegare in che modo la COGNOME avrebbe concorso nel reato commesso cinque mesi dopo dal fratello NOME subentrato nell’amministrazione della società, dovendosi altresì considerare che nel maggio del 2011 la ricorrente ha venduto le sue quote al fratello.
Con il terzo motivo, infine, è stata invocata l’estinzione del reato per prescrizione, che sarebbe maturata prima della sentenza impugnata: si rileva in proposito che la dichiarazione dei redditi poteva essere presentata a partire
dal 22 aprile 2011, data di approvazione da parte dell’Agenzia delle Entrate del modello Unico 2011, fino al termine ultimo del 30 settembre 2011, per cui, in assenza di elementi certi circa la data effettiva di inoltro della dichiarazione fiscale in esame, la stessa ben poteva esser ‘ 451 – Aidà prima del 17 settembre 2011, data di entrata in vigore delta riforma del 2011 che ha elevato di un terzo il termine di prescrizione del reato per cui si procede, con la conseguenza che, in ossequio al principio del favor rei, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare prescritto anche il reato di cui al capo D), trovando applicazione il previgente e più favorevole termine di prescrizione di 7 anni e 6 mesi.
2.1. Con memoria pervenuta il 1° agosto 2025, l’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputata, ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
Dopo essere stato inizialmente assegnato alla Settima Sezione (udienza del 30 maggio 2025), il ricorso veniva assegnato alla Sezione Penale Feriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sono fondate le censure in punto di ascrivibilità della condotta all’imputata articolate nel secondo motivo, mentre le restanti doglianze non sono fondate.
Iniziando per ragioni di priorità logica dal terzo motivo, deve osservarsi che il residuo episodio di cui al capo D non era prescritto al momento della sentenza impugnata, né lo è al momento dell’odierna decisione: deve infatti osservarsi che, come si rileva dalla sentenza di primo grado (pag. 10), la dichiarazione fiscale relativa all’anno 2010 è stata trasmessa telematicamente il 30 settembre 2011, per cui, coincidendo con tale data la consumazione del reato, trova applicazione il regime di cui all’art. 17, comma 1 bis, del d. Igs. n. 74 del 2000, introdotto dal decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011, convertito dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011, in forza del quale la prescrizione massima del reato contestato si computa in 10 anni. Dunque, tenuto conto delle sospensioni intervenute nei due giudizi di merito, per un totale di 1.466 giorni, la prescrizione del residuo reato di cui al capo D)matura il 5 ottobre 2025.
Venendo ora al primo motivo di ricorso, se ne deve parimenti rimarcare l’infondatezza, posto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte territoriale non ha mancato di confrontarsi con le deduzioni esposte nell’atto di appello in punto di sussistenza del reato dal punto di vista oggettivo, ma le ha superate con argomentazioni pertinenti, evidenziando in proposito (pag. 4 della sentenza impugnata) che i verificatori hanno effettuato il computo delle imposte evase confrontando i versamenti bancari con i mastrini di sottoconto della società ed estrapolando gli importi non contabilizzati e non dichiarati al Fisco, mentre gli addebiti su tali conti correttamente non sono stati
valutati come costi, stante la riscontrata assenza di adeguate allegazioni da parte dell’imputata quanto alla loro esistenza, inerenza e incidenza. Del resto, l’accertamento sugli elementi attivi non dichiarati (per un ammontare complessivo, rispetto all’anno 2010, pari a euro 1.920.674,43, con iva evasa pari a euro 384.135 e irpef evasa pari a euro 528.185) è stato confermato anche dalle dichiarazioni rese da alcuni soggetti che hanno emesso assegni bancari versati su tali conti e che hanno ricondotto la negoziazione di tali titoli proprio all’acquisto di materiali preziosi gestito dai fratelli COGNOME iò a riprova del fatto che costoro, negli anni di riferimento, facevano transitare in nero parte dei proventi legati all’attività commerciale della RAGIONE_SOCIALE
2.1. In definitiva, il giudizio operato nelle due conformi sentenze di merito circa la rilevanza penale del fatto, in quanto sorretto da considerazioni razionali e coerenti con le convergenti acquisizioni probatorie disponibili, correttamente intese nella loro valenza dimostrativa, non presta il fianco alle censure difensive, che di fatto sollecitano differenti apprezzamenti di merito estranei al perimetro del sindacato di legittimità, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui l’infondatezza delle doglianze articolate nel primo motivo.
3. E’ invece meritevole di accoglimento il ,Ig – zp motivo, avente ad oggetto il giudizio circa l’ascrivibilità all’imputata della condotta di cui al capo D. Ed invero occorre premettere al riguardo che in tale imputazione il reato ex art. 4 del d. Igs. n. 74 è stato ascritto alla COGNOME quale amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE, di cui l’imputata è stata legale rappresentante fino al 10 aprile 2041. Pertanto, essendo stata presentata la dichiarazione infedele il 30 settembre 2011, i giudici di merito avrebbero dovuto accertare se dalla cessazione della carica alla data di commissione del reato la COGNOME abbia continuato a occuparsi di fatto della gestione della RAGIONE_SOCIALE in modo da poter riferire (anche) a lei la presentazione della dichiarazione risultata infedele. Ora, su questo specifico aspetto la motivazione delle due sentenze di merito risulta oggettivamente carente, essendosi il Tribunale e la Corte di appello limitatiOa precisare che l’imputata era perfettamente inserita nelle dinamiche operative della società, occupandosi ella, in prima persona, della riscossione e della ripartizione degli utili e condividendo le scelte fiscali della società.
Tale affermazione risulta tuttavia riferita agli anni in cui la COGNOME era amministratrice di diritto della RAGIONE_SOCIALE mentre i giudici di merito
avrebbero dovuto spiegare se, dopo la cessazione della carica formale di legale rappresentante della società, la ricorrente, almeno fino al 30 settembre 2011,
abbia continuato a ingerirsi di fatto nella gestione operativa e fiscale della società, accertamento questo tanto più necessario ove si consideri che, nel
maggio 2011, la COGNOME vendette anche le sue quote al fratello NOME.
3.1. Stante la ravvisata lacuna argomentativa sul punto, si impone quindi l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della
Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio, al fine di verificare se, dall’Il aprile 2011 al 30 settembre 2011, la COGNOME sia stata amministratrice di fatto
della RAGIONE_SOCIALE dovendosi al riguardo richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540 Sez. 3, n.
22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Rv. 264009, Sez. 5, n. 35346 del
20/06/2013, Rv. 256534), secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e
significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ciò comporta che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di tale attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare; accertamento che costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 12.08.2025