Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12352 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12352 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2025
QUINTA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 4294/2025
NOME SESSA
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME nato a ALBIGNASEGO il 21/02/1965 avverso la sentenza del 31/05/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME tramite difensore abilitato, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia, che ne ha confermato l’affermazione di responsabilità e la condanna alle pene di giustizia statuite in primo grado, in sede di rito abbreviato, in ordine al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 216 comma 3 e 223 comma 1 r.d. n. 267/42, commesso in qualità di co-amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE fino al 13/09/2017), dichiarata fallita il 22 maggio 2018. In sostanza, il ricorrente Ł stato giudicato colpevole di bancarotta preferenziale, in concorso con la moglie NOME COGNOME, amministratore di diritto, in relazione a taluni prelievi dai conti correnti di somme di denaro – accostati a rimborsi dei finanziamenti da lui effettuati negli anni precedenti – di pertinenza della società, quando quest’ultima era in stato di dissesto.
L’atto d’impugnazione Ł affidato a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, il deducente ha denunciato carenza di motivazione, tale da influire notevolmente sull’esatta applicazione della regola ‘bard’, in ordine alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto della società; i passaggi della sentenza sarebbero manifestamente illogici o apodittici, perchØ generici sarebbero gli elementi concreti a cui essa Ł stata agganciata, come il rapporto familiare, la proprietà delle quote, le ‘distinte bancarie’ solo fumosamente richiamate dal curatore – anche in considerazione dell’omessa indicazione delle singole operazioni a lui riferibili – i rimborsi-spese, di modesta entità, a lui spettanti quale dipendente della fallita, sui quali il prevenuto avrebbe fornito chiarimenti ineccepibili in sede di dichiarazioni spontanee.
2.2. Il secondo motivo ha lamentato la sussistenza del medesimo vizio di motivazione con riferimento all’adeguatezza del trattamento sanzionatorio; al ricorrente Ł stata applicata senza giustificazione una pena piø severa rispetto a quella inflitta, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., alla coimputata Vecchiato; il precedente penale citato dalla pronuncia oggetto del ricorso Ł una sentenza di patteggiamento molto risalente nel tempo, e il reato Ł stato dichiarato estinto; dovrebbe, insomma, ritenersi illogico un trattamento diverso, anche in relazione alla pena accessoria, rispetto a quello riservato alla coimputata, a parità di riflessioni sulla entità del danno economico procurato ai creditori.
2.3. Il terzo motivo, che ha nuovamente richiamato il vizio di motivazione, in quanto meramente apparente o manifestamente illogica, si Ł appuntato sull’eccessività del valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 56-quater L. n. 689 del 1981; a fronte della documentata condizione economica del prevenuto e del suo nucleo familiare, un valore di 50 euro al giorno, giudicato semplicemente ‘equo’, sarebbe da ritenersi oltremodo sproporzionato.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa dell’imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del Procuratore Generale insistendo nelle ragioni di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non Ł fondato.
Il primo motivo Ł infondato, al limite dell’inammissibilità.
1.1. Va, in primo luogo, richiamato il principio secondo cui non sussiste mancanza o illogicità di motivazione allorquando il giudice di secondo grado, ritenuta la completezza e correttezza dell’indagine svolta in primo grado, confermi la decisione del primo giudice. La giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di doppia conforme, Ł radicata nel riconoscere il canone della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado, ammettendosi, cioŁ, che la sentenza di appello si saldi con quella precedente, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, ancor piø, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.).
1.2. La sentenza di primo grado – richiamata e condivisa dalla Corte territoriale – ha, nel dettaglio, illustrato che la società fallita Ł stata costituita nel gennaio 2014, con la denominazione di RAGIONE_SOCIALE, tra COGNOME NOME e il marito, COGNOME NOME, nelle cui ‘mani’ l’attività commerciale Ł passata dopo il decesso di NOME COGNOME, fratello di NOME; che il capitale sociale di 100.000 euro Ł stato suddiviso, al 50%, tra i coniugi; che i medesimi hanno, nell’occasione, deliberato e realizzato l’operazione di scissione della RAGIONE_SOCIALE, con la finalità di distinguere e dividere l’attività immobiliare – rimasta in capo alla scissa, appunto la RAGIONE_SOCIALE – dall’attività di commercio di opere d’arte attribuita alla nuova società, che ha continuato ad operare nell’immobile della galleria d’arte, mentre nella titolarità della scissa – sottratti, dunque, all’egida dei creditori della neocostituita – sono rimasti le opere monumentali dell’artista COGNOME e alcuni immobili in Sardegna; che la new-co. ha sempre operato
in perdita, sin dalla costituzione, e, negli anni successivi, la condizione di dissesto si Ł aggravata, con accumulo di debiti, anche nei confronti dell’Erario; che, in data 13 settembre 2017, la RAGIONE_SOCIALE ha mutato denominazione in RAGIONE_SOCIALE e due mesi dopo la società, in situazione di decozione, ha stipulato un contratto di affitto di azienda con la RAGIONE_SOCIALE; in data 26 marzo 2018, infine, la società ha depositato istanza di fallimento in proprio ed Ł stata dichiarata fallita nel maggio successivo.
1.2.1. Canova, in particolare, in base agli accertamenti del curatore fallimentare, richiamati in sentenza, ha affiancato la consorte nel ruolo di amministratore; si Ł occupato della ‘gestione finanziaria’ della società e tale compito strategico gli Ł stato riconosciuto anche in base alle emergenze degli ‘atti delle cause in essere con la signora COGNOME in arte ‘COGNOME‘; ha operato attivamente sul conto corrente societario e ‘gli ordini di pagamento e le operazioni allo sportello sono (stati) quasi tutti fatti da lui’; ha tenuto personalmente i ‘rapporti con clienti e fornitori’, come desumibile dai ‘consistenti rimborsi spese per trasferte effettuate in tutto il nord Italia’.
1.2.2. Dalle ulteriori, significative proposizioni della sentenza di primo grado si trae, ancora, che i cospicui ricavi incassati dalle vendite perfezionate nell’anno 2017, in pieno stato di squilibrio economico-finanziario, non sono stati utilizzati ‘per saldare i debiti della società’, ma indebitamente prelevati dal conto corrente dal Canova ‘quale rimborso finanziamento soci per complessivi euro 300.000’. E sempre al Canova e alla Vecchiato, indistintamente, Ł stato ricondotto il drenaggio della liquidità, attraverso una serie di prelevamenti all’esito dei quali il giudice ha concluso che ‘il Canova e la Vecchiato risultavano quindi perfettamente consapevoli dello stato di decozione della fallita quando, nell’ultimo trimestre 2016, si restituivano i finanziamenti sopra indicati’, con il compimento di operazioni, tra l’altro, in costante contiguità temporale, indicative di sinergica unità di intenti. A proposito, poi, della disponibilità delle risorse da parte del ricorrente, la sentenza del giudice di prime cure ha elencato e riportato – evidentemente a titolo esemplificativo – quattro operazioni, diluite negli anni, rappresentative della prova che COGNOME accreditasse assegni, ritirasse denaro, impartisse ordini all’istituto di credito per l’esecuzione di pagamenti di cifre considerevoli.
1.2.3. In tal guisa, i giudici di merito hanno desunto, da tali convergenti e sintonici indicatori, attraverso argomentazioni appropriate e affatto illogiche, il ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, con evidenze (durevole maneggio delle consistenze finanziarie dell’impresa, stabile gestione dei rapporti con i clienti e i fornitori, contitolarità del capitale di rischio in un contesto imprenditoriale di non complessa ramificazione) che corrispondono al quadro di riferimento giurisprudenziale che sovrintende l’accertamento della responsabilità di un soggetto sprovvisto della carica formale societaria di amministratore, rivestita di fatto. Si rammenta, sul punto, che, in tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – che costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101). Ed ancora, in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268273). La nozione di amministratore di fatto, dunque, per come introdotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e, tuttavia, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono
l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, ragione per cui la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534).
1.3. Quanto, poi, alla valenza delle dichiarazioni spontanee rese in dibattimento dal ricorrente, enfatizzate dalla ragione di ricorso, occorre rammentare che dette dichiarazioni, per giurisprudenza consolidata, non possono essere equiparate alle dichiarazioni rese in sede di esame nel contraddittorio tra le parti (Sez. 1, n. 25239/2001, Rv. 219432; Sez. 6, n. 13682/1998, Rv. 212088; Sez. 1 23/11/1993; Sez. 1 n. 1708/1993, Rv. 196402), non rappresentano una prova che il decidente sia tenuto a vagliare e costituiscono semplicemente una forma di autodifesa, espressione dello ius dicendi e dello ius postulandi riconosciuto all’imputato personalmente (Sez. 5, n. 4384/1998, Rv. 213105, vedi anche Sez. 5 12603/2017, Rv.269518; Sez. 2, n. 33666/2014, Rv.260049).
1.4. A fronte, quindi, di un congruo corredo argomentativo, che non denuncia evidenti illogicità, i rilievi difensivi svolti sul tema in esame non si palesano idonei a svellere la solida struttura delle motivazioni delle conformi sentenze di merito in scrutinio, piuttosto, rivelandosi orientati a una non consentita frammentazione dei singoli indizi, i quali devono essere, invece, ponderati nell’insieme, e risolvendosi in una critica all’uso del materiale probatorio e in una censura alla ricostruzione di fatto che, invece, il giudice del merito ha operato rispettando i parametri della razionalità e completezza.
Non ha pregio neppure il secondo motivo.
2.1. La determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito ed Ł censurabile in Cassazione solo qualora si presenti frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142) e la relativa motivazione dev’essere specifica soltanto quando la pena sia superiore al medio edittale (ex multis, Sez. 5, n. 35100 del 27/6/2019, Torre, Rv. 276932; Sez. 4, n. 27959 del 18/6/2013, COGNOME, Rv. 258356; Sezione 3, n. 10095 del 10/1/2013, Monterosso, Rv. 255153; sez.3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596). Nel caso in cui venga irrogata una pena non superiore alla media edittale, non Ł necessaria una articolata e dettagliata motivazione da parte del giudice in punto commisurazione, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, cit.; sezione 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
2.2. Inoltre, non costituisce un indice del vizio di motivazione, rilevabile in sede di legittimità, il diverso trattamento sanzionatorio riservato ai coimputati che abbiano definito la loro posizione nelle forme del concordato con rinuncia ai motivi di appello, previsto dall’art. 599-bis cod. proc. pen., perchØ tale modulo definitorio risponde ad una finalità deflattiva di cui non Ł irragionevole tener conto nella modulazione del trattamento punitivo (sez.6, n. 21019 del 18/05/2021, P., Rv. 281508; sez.3, n. 27115 del 19/02/2015, COGNOME, Rv. 264020; cfr. anche, per il principio espresso sia pure con riferimento alla posizione di coimputati che abbiano patteggiato la pena, sez. 6, n. 24402 del 12/03/2008, COGNOME, Rv.240356).
2.3. A tali canoni ermeneutici si Ł attenuta la sentenza impugnata, che ha riservato al ricorrente un trattamento punitivo assestato sui minimi assoluti di legge – anche a riguardo della determinazione della pena accessoria – e, nella cornice commisurativa di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., ha legittimamente tenuto conto di un precedente specifico, sia pure risalente nel tempo (art. 133 comma 2 n. 2 cod. pen.).
2.3.1. Non Ł possibile comparare quello del ricorrente il trattamento comminato alla
coimputata del medesimo reato, peraltro, di poco inferiore nella quantificazione della pena principale, perchØ quest’ultima ha optato per una definizione concordata della pena medesima, fondata sull’applicazione di criteri peculiari, sensibili al contemperamento tra il dovere di assicurare l’equilibrata risposta sanzionatoria dello Stato alla commissione di un reato e l’esigenza di una piø agevole e rapida celebrazione del processo.
3.Il terzo motivo, a sua volta, Ł infondato.
3.1. La Corte d’appello ha correttamente apprezzato le condizioni economiche del condannato e del suo nucleo familiare con la previsione, in ossequio all’art. 56-quater comma 2 L. n. 689 del 1981, ed in armonia con i criteri di cui agli artt. 133-bis e 133-ter cod. pen., del pagamento rateale della pena pecuniaria sostitutiva in 36 rate mensili. Non corrisponde al vero, dunque, che la decisione abbia imposto al ricorrente di corrispondere mensilmente un importo prossimo alla quota del reddito annuale, dal momento che la diluizione in 36 rate della somma di euro 18.250 comporta che il prevenuto debba elargire a tale titolo circa 500 euro al mese, vale a dire poco meno di 17 euro al giorno. Si tratta di un importo molto contenuto, non apprezzabilmente distante dal minimo assoluto dell’equivalente giornaliero di conversione (5 euro) e, invece, lontano dai valori di raffronto censurati dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità (es. sez. 6, n. 14873 del 12/03/2024, COGNOME, citata nel ricorso, che richiama sez.2, n. 2599 del 16/01/2024, COGNOME, non mass.) come abnormi o sproporzionati rispetto alla situazione economico-finanziaria ostesa o comunque riferibile al condannato, in definitiva, certamente circoscritto a parametri di comune, oggettiva accettabilità e sostenibilità.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME